Ci sono momenti nella vita che segnano svolte. Mi è capitato spesso di pensare alle tappe percorse dall’infanzia ai miei attuali trentadue anni. Tutto ciò che 'scegliamo' o che in qualche modo 'scelgono' per noi, ci può destinare in una direzione piuttosto che un'altra. Leggere un libro ti fa 'conoscere' l'autore, quantomeno il suo modo di scrivere e rapportarsi ai lettori; ti dà per forza di cose delle nozioni, delle informazioni che possono influenzarti a tal punto da farti pensare che quello sarà il tuo lavoro; ascoltare una canzone ti coinvolge emotivamente, magari in quel momento il testo di quel componimento era proprio ciò che volevi sentire, per cui "Gianni Togni è un grande, il migliore". Ogni scelta 'sbocca' su una 'vita' diversa: è come essere eternamente su un sentiero con molteplici opzioni, e ogni passo che fai ti fa diventare 'Tizio' piuttosto che 'Caio'. Il primo punto della mia ‘tratta’ esistenziale cade per forza di cose nell’anno 2001. Avevo undici anni quando la Roma si laureò campione d’Italia. Intendiamoci, ci sono altri step intermedi, la passione per il calcio nasceva già prima. Specificando un anno con precisione, posso dire con certezza che nel 1997 avevo visto già più di qualche partita allo stadio con mio padre, che 'causa' amicizia con tifosi della Salernitana, mi portò spesso all’Arechi per seguire la cavalcata che portò i granata di Delio Rossi e Di Vaio in serie A.

Ma il 97’ era anche l’anno di Ronaldo “ il fenomeno “ all’Inter, e mio padre nonostante sia un nerazzurro di quelli ‘irrecuperabili’, non mi ha mai spinto in modo ossessivo verso la sua fede. Perciò, in tenerissima età - circondato da tifosi azzurri - la squadra per cui provavo simpatia era ovviamente il Napoli, anche se Ronaldo brillava di una luce immensa e la tentazione di parteggiare per lui era fortissima. Così il 18 ottobre di venticinque anni fa, facevo ingresso allo stadio San Paolo per il ‘connubio perfetto’: Napoli-Inter: avrei tifato il ‘mio’ Napoli e seguito le gesta dell’attaccante più forte della storia. Mentirei se dicessi che ho ricordi nitidi di quella partita. Quella che ricordo perfettamente è l’emozione nel vedere Ronaldo, e l’assordante tifo azzurro; feci un pò fatica ad abituarmi e inizialmente misi le dita nelle orecchie nel tentativo di abbassare i decibel di quello stadio ‘infuocato’. Alla fine i nerazzurri vinsero e Ronaldo non segnò; ne rimasi un po’ deluso ma: “hey, ho visto il fenomeno! Che bello!”. I verdetti di fine stagione portarono i partenopei in cadetteria, e gli uomini di Simoni arrivarono alle spalle della Juventus in seguito a uno degli episodi più controversi degli ultimi trent’anni di serie A, ovvero il ‘famigerato’ fallo da rigore di Iuliano su Ronnie: ma questa è una storia che ‘non mi appartiene’, quindi evito di sviscerare. Il 1998 fu anche l’anno d’oro di Marco Pantani. Ero in vacanza a Santa Maria di Castellabate - posto fantastico nel Cilento - e mentre eravamo in spiaggia seguivamo in radio le imprese del campione cesenaticense impegnato nel Tour de France dopo essersi aggiudicato un mesetto prima il giro d’Italia. A un certo punto, avendo problemi di interferenze con la radiolina, mio padre provò a cercare un canale ‘migliore’ e si ritrovò su una emittente che trasmetteva in francese: lo speaker esaltatissimo per le gesta del ciclista italiano ‘accompagnò’ l’arrivo di fine tappa con un costante: “Pantanì! Pantanì!” Tra risa generali e allo stesso tempo grande gioia, Marcone 'nostro' andava a prendersi anche il Tour, chiudendo un ‘double’ riuscito a pochissimi. Qualche giorno prima, rientrando a casa seguimmo in televisione la battaglia tra il ‘pirata’ e Jan Ullrich; fanno un primo piano sul tedesco e il ‘poverino’ in salita stava faticando tantissimo, al punto da stare a denti stretti in una smorfia che nella mia mente da bambino pareva un sorriso. E allora dico: “Papà! Guarda come ride quello! Ma perché ride?” I miei si guardarono negli occhi e scoppiarono in una risata nella mia più totale incredulità.

Il 98’ ci regalò in quella estate ricca di sport anche la spedizione mondiale in Francia, e con essa la prima delusione azzurra di cui ho memoria. Oggettivamente anche di quella manifestazione ho in testa solo frammenti: ho ben ‘stampato’ in mente lo sconforto che si respirava nel solito bar vicino casa - quello di Giovanni della scommessa per intenderci - per la doppietta di Salas in Cile - Italia, e l’urlo ‘da stadio’ dopo il rigore segnato da Baggio, i più ancora memori del fatale errore che consegnò la precedente rassegna nelle mani del Brasile. Baggio che ai quarti per un ‘niente’ calciò a lato il possibile vantaggio azzurro contro 'Les bleus'; occasione che resterà a vita negli occhi, considerando la tristezza che di li a poco pervase i paesani per il rigore sbagliato da Di Biagio: traversa che mandò in estasi i ‘galli’ che presero il volo verso la semifinale e diretti al loro primo storico trionfo intercontinentale. Con l’avvento del nuovo millennio arrivano altri due ‘episodi’ chiave che indirizzano il mio pensiero calcistico: l’europeo di Totti e la Lazio campione d’Italia. Arriviamoci con ordine. L’Italia disputa un europeo eccezionale, fermandosi a trenta secondi dalla vittoria. ‘Supermarco’ Delvecchio ci porta in vantaggio nel primo tempo, 1-0 che resiste per tutta la partita. Quasi tutta. Bruno Pizzul in telecronaca accenna ai tifosi italiani già 'in festa' che sventolano fieri il 'tricolore', e senza averne percezione ci becchiamo il pari di Wiltord, letteralmente istanti prima del fischio dell’arbitro: sarà che avevo dieci anni, ma ancora oggi non realizzo come sia stato possibile resistere 60 minuti, per poi farsi ‘fregare’ a risultato acquisito. Senza alcun dubbio, l’episodio che mi ha accantonato l’infanzia per realizzare che non sempre i sogni si materializzano: “Succedono queste cose figlio mio, fa male ma passerà, avremo altre occasioni…Vedrai”, le parole di mio padre lasciavano speranza, ma la delusione nei suoi occhi come in quelli di mia madre raccontavano altro. 

Mesi prima, Antonio - uno dei miei migliori amici - era in visibilio per lo scudetto laziale. Lazio che aveva superato la Reggina con un secco 3-0 e aspettava i minuti conclusivi di Perugia - Juve, gara che terminò in ritardo rispetto alle altre per via di alcuni minuti di sospensione causati dalla pioggia incessante caduta sul capoluogo umbro. Alla fine fu il Perugia di Gaucci a vincere quella partita, con la rete realizzata da Calori - per giunta tifoso bianconero - che regalò ai biancocelesti nell’anno del centenario, il secondo e ultimo scudetto della loro storia. Lo so, starete pensando “ma che ca… Di napoletani sono questi che tifano Lazio e Roma”, pensiero assolutamente condivisibile. Purtroppo la società all’epoca gestita da Ferlaino, viveva momenti bui tra stagioni in a deludenti e retrocessioni in serie b, cosa che ha causato l’allontanamento di almeno una generazione di possibili tifosi, ‘richiamati’ alcuni dalle annate scintillanti delle romane, altri dal fascino delle ‘strisciate’, sempre con un bacino di supporter molto ampio. E poi c’era chi si ‘innamorava’ dei calciatori. Quando vidi Totti calciare il rigore in quella maniera, in una semifinale europea, un Olanda-Italia incredibile che ci aveva visto più volte sul punto di ‘collassare’, crollare emotivamente sotto i colpi di quella nazionale fortissima, quel ‘pazzo’ si presenta davanti a Van Der Sar e ‘je fa er cucchiaio’, con una tranquillità che solo i più grandi possono avere: quella è la scintilla da cui è partito tutto, il ‘fuoco dentro’, la mia follia romanista comincia dagli undici metri percorsi da un calciatore che avrebbe - con il suo gesto tecnico - cambiato per sempre la mia esistenza. Il resto lo fece il compianto Franco Sensi: talmente tanto romanista da indebitarsi per regalarci un sogno, romanista al punto da versare settanta miliardi per il trentenne Batistuta, pur di affiancarlo al ‘pupone’ e a Vincenzino Montella, formando un tridente mostruoso, da scudetto. ForzaRoma27: “Antò, quest’anno la Roma è forte, vince il campionato!”. Antonio: “Noo! Ma che dici? La Lazio è superiore, e se proprio non lo vince la Lazio lo vince la Juve”. ForzaRoma27: “Antò…Totti-Batistuta-Montella, Emerson,Samuel…La Roma è forte”. Antonio: “Non penso che può vincere”. ForzaRoma27: “Allora sappi che se vince ti chiamo a casa e ti canto Grazie Roma!

Un dialogo inciso e intrecciato eternamente nelle vite di entrambi, la tappa numero 1 nel giro della mia esistenza. Andò più o meno così per gran parte della stagione, fino alle 17:04 di Domenica 17 Giugno 2001, appena un minuto successivo alla fine delle ostilità di quel Roma-Parma 3-1, digitai il numero e: ForzaRoma27: "Graaazieeeee Rooooomaaaa! Che ci fai piangere abbracciaaaaati ancoraaaaaa! Grazie Roma!". Antonio: "Si vabbè, che culo". Ma il buon Antonio, pur parlando con comprensibile delusione, sapeva perfettamente che quanto accaduto era la naturale conseguenza di quanto maturato giornata dopo giornata. Grazie a Dio, o forse grazie alla concretezza di Capello, o probabilmente semplicemente perché come disse Riccardo Cucchi, telecronista di certificata fede laziale “Mai scudetto fu più meritato”.

To be continued...