Ristoratori, mondo della cultura, del cinema, teatri, musica dal vivo, studenti, insegnanti, personale ATA, palestre, piscine, addetti allo sport di base e, se ho scordato qualcuno, me ne scuso. Fate come se foste inseriti in questo elenco. I sono con Voi. I dimenticati non per lapsus, ma per scelta. Si è deciso di preservare la vita a ogni costo e così facendo la si è distrutta in altro modo. L’errore più grave che si potesse commettere. Domando venia per queste parole forti e premetto che non sarà un pezzo leggero. Calcherò la mano perché ho tutta l’intenzione di portare all’attenzione di chi mi leggerà la gravità della vicenda. So che non potrò avere un gran risultato. D’altronde non sono nessuno. Non ho una base di follower così consistente e non detengo alcuna voce in capitolo. Non sono Willy Peyote, che con la sua Mai dire Mai (La Locura) giunta sesta al Festival di Sanremo 2021, ha avuto un’eco mediatica sicuramente nettamente superiore al sottoscritto. Il cantautore torinese sembra voler mettere in guardia contro l’importanza fornita all’intrattenimento puro che ha caratterizzato l’Italia durante questo periodo pandemico. Addirittura afferma: “Apriamo gli stadi, ma non teatri né live. Magari faccio due palleggi, mai dire mai”. Il messaggio è molto chiaro. E’ scontato: un blogger che fa del pallone la sua fonte primaria d’ispirazione non può che trovarsi in conflitto d’interessi, ma è in grado di concordare lucidamente sul contesto. Aggiungo che certe categorie sono state involontariamente massacrate. Attenzione, però, all’avverbio. La mancanza di dolo non presuppone l’assenza della colpa che considero molto grave. Operando alcune decisioni si conoscevano necessariamente le conseguenze e le si sono accettate passivamente. Un contributo, che somiglia a un’elemosina, non può essere la soluzione anche perché la salute mentale delle persone non ha prezzo.

STORIE DI VITA, L’ITALIA NASCOSTA
Ogni riferimento a fatti e personaggi è frutto della mia immaginazione.

Giacomo e Gino, gli sportivi - Giacomo aveva una palestra. Fino all’11 marzo 2020 se la cavava discretamente. Era in una piccola borgata di un Comune non troppo vicino alla Città e, nonostante il tanto spazio verde, qualche pendolare sceglieva la soluzione indoor per praticare sport. D’altra parte, soprattutto in inverno, diventa difficile poter conciliare gli orari del lavoro con quelli del sole. Il freddo pungente della sera e i rischi legati al buio non sono uno stimolo per fare jogging all’aria aperta alle 19.30 del 15 dicembre. Quei pochi clienti erano soddisfatti della professionalità di Giacomo e ormai affezionati. anche perché un po’ di moto è un toccasana per il corpo e per lo spirito. O almeno così credevo… Ma no, fidatevi di me. Questo dictat vale tutt’ora.
All’improvviso, però, tutto si è fermato. Sarà per poco. Dicevano. Ma il protagonista della nostra storia non ha mai creduto loro. Non è salito sul balcone. Non ha cantato e non ha brindato con lo spritz di fronte alla morte. Perché, scusate, ma è paradossale. Come si potevano immaginare manifestazioni simili se confrontate alle pellicole che passavano sui media: terapie intensive sull’orlo del precipizio, persone inermi e supine con il solo cicalio di una macchina che le teneva incollate alla vita così come un’esile filo corroso dal tempo lascia il quadro appeso al muro di una casa abbandonata, i camion ricolmi di bare che uscivano da Bergamo. Il rumore festante degli happy hour domiciliari ha rappresentato una scena, per me, ingiustificabile. Fortunatamente è bastato il tempo di un amen per rendersene conto e tacerla per sempre. Tornando a noi… Giacomo ha tenuto botta per un po’ poi ha potuto riaprire. Che sollievo, sperava! Ma dentro di sé capiva che questa storia non sarebbe finita così. Infatti, aveva ragione. Chiuso di nuovo. Questa volta non ha retto all’urto. La piccola impresa è defunta. Il sogno di una vita e l’immenso sacrificio per realizzarlo sono con lei. Insieme a lui, però, lavorava un dipendente, Gino. E’ un giovane personal trainer, sempre della zona, che aveva avuto la fortuna di laurearsi in Scienze motorie per poi trovare quel buon posto. Non vantava un grande stipendio, ma era sufficiente per progettare di sposarsi e mettere su famiglia con Lucia. Tutto è saltato. Giacomo ha 45 anni, una moglie quasi coetanea che lavora da insegnante di matematica e due figli ancora bambini. Una vita normale, direte. Eh certo! Avete ragione. Peccato che la sola retribuzione di Maria, la coniuge, non sia sufficiente per garantire il mantenimento di questo nucleo. E quindi? Beh gli sposi sono doppiamente fortunati. Avevano avuto la sana premura e la possibilità non scontata di mettere qualcosa da parte. Inoltre, i genitori di lei riescono in qualche modo a contribuire alle spese. Quelli di Giacomo, purtroppo, non ci sono più. E’ naturale, però, che questa situazione non possa durare a lungo e il protagonista si sta sbattendo al massimo per trovare un nuovo impiego che tarda ad arrivare. Sono sull’orlo della crisi.

Martino e il suo baretto - Ma peggio è andata a Martino. E’ un anziano esercente. Aveva un bar. Lavorava in una grande Città. Il suo locale era sovente frequentato perché in un’importante zona commerciale: studi, uffici, negozi, qualcuno andava a pranzo da lui o si concedeva un caffè durante la pausa. Ha dovuto chiudere e non riaprire più perché il sistema delle zone, che ha funzionato sotto tanti punti di vista, non ha raggiunto il successo sperato per i locali simili a quello in oggetto. Due settimane ok, un mese fermo. E come si fa? Occorre prenotare i viveri che poi rischiano di essere gettati, a proposito di sprechi, e non si può campare alla giornata. Serve organizzazione. Se si viene a conoscenza del proprio destino solo all’ultimo istante, non si riesce a gestire anche soltanto un ordine. Ma sembra che qualcuno, la scienza e la politica, non lo concepisca o, ancora più grave, finga di farlo. In ogni caso, il locale di Martino non c’è più. Lui ha sempre vissuto da solo. Le spese per le varie locazioni e per l’attività non gli lasciavano un grande margine. E’ uno dei tanti che a ogni pasto è in fila alla Caritas dove incontra colleghi e amici di una vita.

Luigi, Marco e le loro scimmie - Luigi è un ragazzo di 20 anni che frequentava l’Università di Filosofia in una piccola Provincia. Aveva una fidanzata, Monica, che ha conosciuto proprio durante i suoi studi. Era una storia iniziata da poco, ma che avrebbe potuto vantare un futuro se solo i 2 si fossero potuti vedere. Poi è arrivato il lockdown. Tutti Zitti e Buoni, grazie Maneskin, ognuno nella propria abitazione. Il ragazzo vive con la madre 47enne, Serena, in un piccolo appartamento di periferia. La fanciulla, invece, abita in campagna in una grande villa con giardino e ambo i genitori. Il rapporto è andato avanti grazie alle videochiamate con cui avevano persino imparato a soddisfare alcune esigenze d’intimità. Ma non poteva continuare così. Mancava il contatto fisico. Un abbraccio, un bacio o uno scambio di sane, naturali effusioni. Tutto è saltato nel giro di qualche settimana e Luigi si è trovato da solo con la mamma. La casa è diventata una prigione. Presto il rapporto tra i due, prima buono e positivo, è degenerato. Le parti hanno cominciato a non sopportarsi reciprocamente e a trattarsi male perché unite in 5 stanze. Un bagno, una piccola sala da pranzo, un cucinotto e due camere da letto. A questo si aggiunge un balconcino la cui vista è il palazzone di fronte. Non un granché. Anzi, il senso di claustrofobia è piuttosto opprimente. Fortunatamente, la singola finestrella del gabinetto, in cui Luigi ha provato a togliersi lo sfizio di qualche sigaretta, affaccia sui campi retrostanti e non coltivati attraversati da un’orrenda ferrovia su cui passa ogni tanto qualche treno. Gigi sognava di poter salire su quel mezzo e andare il più lontano possibile. E’ vero! Non siamo in guerra, ma chiedere a Lui di vivere quella condizione è più o meno come una chiamata alle armi. Fantasticava di uscire e di volare in quella campagna dove non è mai arrivato perché purtroppo un male oscuro l’ha colpito. Non è il covid. Non percepisce nemmeno la sofferenza fisica, ma non si alza più dal letto. E’ lì, inerme di fronte alla gioventù che gli sta sfuggendo di mano e a una serenità che difficilmente farà ritorno. La mamma ha provato a farlo aiutare da dottori competenti, ma non vi è stato verso. Gigi non ha più forze e, dopo qualche seduta, ha abbandonato la terapia. Ha lasciato l’Università. La mattina si alza alle 10. Dopo essersi rigirato nel letto, prova a cercare un lavoro. Non lo trova. La sera si rintana in casa. Ha fatto gli abbonamenti alle note piattaforme online per film e serie. Così se ne spara a raffica per cercare di evadere da una realtà troppo opprimente. Non guarda più i tiggì e non si informa su ciò che gli accade intorno. Attende indifeso e senza speranza che qualcuno gli restituisca la sua vita precedente. Ma non è messo peggio di altri. Marco, infatti, è un coetaneo che prima dell’ultimo anno non aveva mai mostrato grandi segni di squilibrio. Ora sì. Tanto che ha subito un T.S.O. Vive in una struttura costantemente circondato da psichiatri e altri operatori sanitari senza la capacità di intendere e di volere. Viaggia alla giornata tra i farmaci che gli sono imposti. Dio solo sa se riuscirà a uscirne.

Paolo, il bimbo fortunato e Stefano - Paolo, invece, è un ragazzino che ha vissuto il periodo pandemico a cavallo tra elementari e medie. Nello scorso marzo era pure felice. Oddio, amava il calcio e gli pesava non vedere più il suo amato Milan. Non sopportava nemmeno il fatto di non potere giocare a pallone nel campetto con gli amici di una vita. Ma se ne riusciva a fare una ragione. Come? Beh è semplice. E’ un bimbo. La mamma e il papà erano sempre con lui! Che bello! Sonia lavorava da cameriera part time, solo il pranzo, in un ristorante sul lungo mare. Giuseppe, invece, impiegato presso una grande impresa locale che ha adottato senza problemi lo smartworking. L’uomo aveva ormai una certa posizione e un discreto stipendio. La famiglia ha proseguito senza grandi problemi anche se, purtroppo, la donna non ha avuto modo di continuare nella sua attività. Ma torniamo a Paolino. Il fanciullo se la godeva. Stava con la mamma, che non era una gran cuoca, ma la sua professione le aveva permesso di “rubare” qualche trucco del mestiere. Così il tempo trascorreva in cucina tra una pizza casereccia, un buon dolce e perché no, siccome era la primavera del 2020, anche una partita a calcio sotto sera in giardino con il babbo. La fortuna di avere un po’ di verde! I genitori si sono sbattuti al massimo per fare in modo che il loro figlio non patisse le conseguenze psichiche del covid. Ma lo aveva fatto anche Maria. Ricordate chi è? La mamma del quasi adulto Luigi. Le età e i contesti diversi, però, hanno ottenuto risultati quasi opposti. Ma non del tutto. Anche Paolo, infatti, comincia a soffrire la solitudine e la mancanza di una vita normale. In estate si è concesso una piccola vacanza al mare, ma con le note limitazioni che, per un infante, erano molto importanti. Anche adesso, seppur raramente e di soppiatto, vede qualche amichetto, ma la cosa dev’essere molto limitata. Non si può esagerare e non si devono assolutamente violare le norme. Così, però, non può durare a lungo perché nessuno ha il diritto di rubare la vita a qualcun altro. Peggio è andata al suo compagno di classe Stefano, i cui genitori non sanno più come riuscire a mantenerlo e si stanno levando il pane dalla bocca per donarlo a lui.

Eugenia, la coraggiosa – Eugenia, invece, è una donna di 34 anni che si è trovata sola in casa con il compagno manesco, Sempronio. Entrambi svolgevano professioni non essenziali così sono rimasti rinchiusi insieme per un lungo periodo di tempo. L’uomo aveva il brutto vizio di alzare le mani nei confronti della ragazza. Prima del confinamento, però, la cosa era limitata in quanto trascorrevano gran parte della loro giornata fuori dall’abitazione. Nel corso della lunga comunione, però, la situazione è degenerata e la donna ha avuto il coraggio di denunciare l’operato del malcapitato. “Una conseguenza positiva”, penserete. E’ vero, ma ormai l’anima di Eugenia è devastata. Sarebbe stato sicuramente meglio se fosse riuscita a trovare la forza di raccontare la situazione quando ancora era lucida cioè prima di una chiusura che l’ha distrutta.
Tutto questo è servito a salvare Antonio, medico di un reparto di terapia intensiva. Stando protetto, Luigi non si è contagiato e non ha passato la malattia alla fidanzata che, vivendo con i nonni, avrebbe potuto colpirli. Questi, poi, avrebbero corso il rischio di spostare il problema sul citato professore. Ne è valsa la pena? Sicuramente sì. Alcune vite sono state risparmiate. Se si guarda soltanto una parte, però… Ma se ci si pone nell’ottica di Giacomo, Gino, Lucia, Martino, Gigi, Maria, Marco, Paolo, Giuseppe, Sonia, Stefano e pure Eugenia, la risposta è no! Nessuno di loro è scomparso. E’ vero. Esiste il dubbio che, senza le limitazioni, qualcuno avrebbe potuto morire. Ma non credo che questi siano nella condizione di affermare: “Pfiuuu! Abbiamo scampato la minaccia!”. Chiaro?

IN MEDIO STAT VIRTUS O WATHEVER IT TAKES?
Non voglio certo affermare che il covid-19 non sia pericoloso, ma gradirei per l’ennesima volta richiamare a una compensazione delle esigenze. Ci si trova di fronte a una sorta di strategia mondiale che effettivamente ha caratterizzato le decisioni di quasi tutti i Paesi. E’ innegabile. Immaginatevi una bilancia, quella dell’orefice. Da un lato ponete l’emergenza sanitaria. Dall’altro, invece, tutte le necessità precedentemente esemplificate. Noterete che il peso è completamente disorientato. In medio stat virtus è diventato Wathever It Takes. La virtù è nel mezzo si è trasformato nel più banale “Fare qualsiasi cosa necessaria per raggiungere un determinato scopo”. Non me ne voglia il Premier Draghi. Quando, nel 2012, espresse l’ultimo concetto lo fece all’interno di un determinato contesto e ogni situazione va posta nel corretto sistema. L’umbro salvò l’Euro. Ora non si può immaginare che si debba compiere qualsiasi sacrificio per tutelare una vita dal virus a costo di perderne il doppio. Gli eccessi non funzionano mai. E’ necessario riuscire a equilibrare le necessità.

PICCOLE IMPRESE E MULTINAZIONALI
Non credo nel complottismo e non voglio minimamente trattare di argomenti simili. Intendo invece affermare che, dall’UE, ci è stata concessa un’immane somma di denaro. Il riferimento è chiaramente all’arcinoto Recovery. Dovremo spendere nel migliore dei modi e proprio a questo scopo pare sia stato convocato il top: Draghi. L’uomo osannato dall’Europa che, solo con la forza della sua identità, è riuscito a modificare per più giorni l’andamento dello spread. Il salvatore. Colui che porta già nel cognome un’effige di superiorità e, come se non bastasse, è stato ribattezzato mediaticamente SuperMario. Sarà suo il compito di utilizzare quella che era definita, dal predecessore, una “potenza di fuoco”. E’ il momento di agire. L’Italia ha una struttura soprattutto legata alla piccola e media impresa. Queste sono state massacrate fino al midollo dall’emergenza. L’unica e sola soluzione per salvare ciò che ancora non è distrutto è accelerare il più possibile un ritorno alla normalità. Mi spiego. E’ francamente piuttosto inutile riempire di soldi a pioggia. Mi riferisco ai noti sussidi. Ciò è palesato da loro stessi che protestano ormai da mesi chiedendo una sola cosa: riaprire. E’ l’unica chance altrimenti il soldo che ricevono è come una pianta finta. Una volta utilizzata sarà da gettare perché non produrrà alcun frutto. Se anche il piano fosse gestito nel lungo periodo, il rischio sarebbe quello di perdere troppe attività nel breve. E’ come la tutela sanitaria. Non si può tergiversare. Più si aspetta a prendere le decisioni opportune e maggiori saranno le morti. Non vorrei che ci trovassimo di fronte a un Paese completamente diverso e che fa delle multinazionali il suo punto forte. Perché? Significherebbe avere perso troppe persone lungo il cammino. Quel passaggio, che sinceramente non approvo ma può essere considerato interessante da altri, si dovrebbe elaborare con tempistiche e metodi diversi. Non si può sradicare la società in maniera così brutale.

GLI EROI IN UNA SOCIETA’ PSICOLOGICAMENTE AFFRANTA
Ho già più volte citato l’aspetto psicologico e la condizione di menomazione che spesso percepisce chi le pone in ampia considerazione. Persone come Stefano o Luigi, chiaramente inventate come tutti i protagonisti dei racconti prima elaborati, non sono deboli. Non si può sacrificare vite umane lavandosi la coscienza e affermando: “E’ colpa della loro indole”. Non è così. Per questi individui si sarebbe potuto e dovuto fare molto, ma molto di più. Tanti media, invece, troppo sovente non hanno fornito il giusto peso a un certo tipo di sofferenza. Ho continuamente osservato, con il dolore nel cuore, quanto avveniva negli ospedali, ma ho recepito troppe poche emozioni rispetto a chi soffriva di depressioni o simili. Non lo trovo giusto. Non lo considero equo. Il medico è stato definito ob torto collo “un eroe”. Forse nemmeno lui avrebbe voluto vedersi appioppata tale dicitura. Invece, chiusi nelle nostre case abbiamo dovuto sorbirci sovente l’apoteosi dell’ipocrisia. Vi potrei garantire che nella detta categoria esistono tante ottime personalità ma, purtroppo, vi illuderei se vi dicessi che un giuramento, quello di Ippocrate, rende esenti da ogni peccato. Esistono pure dottori malvagi. Come dappertutto d’altronde. Nessun ambiente e alcun settore sfugge. Si tengano le antenne diritte. Sempre. I nonni e probabilmente anche alcuni genitori della mia generazione sono stati abituati a venerare alcune tipologie di professionisti. In una piccola borgata, in passato, il prete, il clinico e il farmacista rappresentavano delle istituzioni. E’ come se la divisa donasse loro un’aurea di perfezione. Era chiaramente un’illusione dovuta al grande rispetto che, una volta, veniva donato ad alcuni eletti. Questi, infatti, avevano avuto l’opportunità e la bravura di studiare e, in un certo senso dal quale mi dissocio, elevarsi dal resto della società. Erano, quindi, ascoltati senza contraddittorio. Ubi maior. Aveva anche un senso. Mi spiego. Queste personalità erano talmente rare che probabilmente il loro ambiente si componeva realmente soltanto di professionalità baciate dalla fortuna. Oggi non è più così. Forse un discorso a parte sarebbe da elaborare per quanto concerne i sacerdoti, ma evito un ginepraio. Attualmente è molto più semplice ricoprire determinate cariche. Non perché la fatica degli studi sia inferiore, ma in quanto le possibilità di iniziare il percorso sono parecchio allargate. Non a caso, forse, la Facoltà di Medicina è a numero chiuso. Appioppare genericamente l’etichetta di “eroe”, quindi, diviene potenzialmente molto pericoloso perché non tutti i fruitori dei media sono in grado di recepirne il significato. Si creano così due conseguenze diametralmente opposte, ma altrettanto brutali: la prima è quella per cui si prenda per oro colato il consiglio di un professionista qualunque, senza prima valutarlo attentamente, mettendo così la propria esistenza nelle mani di un’altra, unica persona. Non è mai saggio. Pure il bambino sa che non deve prendere la caramella dall’estraneo anche se questo assomiglia proprio a un ottimo individuo. Capita, inoltre, che alcune di queste personalità, ormai deliranti nella brodaglia di genuflessioni che le circonda, si sentano onnipotenti e in grado di poter trattare a pesci in faccia chiunque gli si pari davanti. La reazione opposta, invece, è l’esatto contrario. Abbiamo assistito all’orribile scena di chi ha distrutto le auto di operatori sanitari considerandoli colpevoli delle loro attuali sofferenze. Della serie: “Visto che siete i miti per cui dobbiamo sacrificarci tanto, ora la pagate cara”. Da rabbrividire perché la realtà dice che le normative non sono prese in funzione della tutela di una sola categoria, ma dei molti. Se fossero, però, un po’ meno sproporzionate, sono abbastanza certo che lo sarebbero anche gli effetti. Penso, poi, ai pompieri o alle Forze dell’Ordine che sovente si trovano in situazioni tremende. Immaginate i Vigili del Fuoco che scavano a mani nude tra le macerie nella zona rossa di un terremoto con gli edifici intorno a loro che traballano come un ubriaco di ritorno dal bar, minacciando così le loro teste. Spostatevi sul Poliziotto che deve intervenire a sventare una rapina o che sta dando la caccia a un criminale oppure che si trova a dover sedare gli animi di una rissa. Sono forse azioni meno eroiche e importanti di quella di un OSS in un reparto covid? NO! Però non noto tutta questi bagni d’incenso. La loro vita vale meno? NO! Però non noto una grande unità nel fornire loro maggiore protezione e non mi riferisco alla Autorità. Credo che sia giunto il momento di riportare tutti sulla terra e di “dare a Cesare quel che è di Cesare”. Per carità, nessuno nega nulla a un medico. Ci mancherebbe. Ma non ci si speculi romanzando. Penso che molti di loro non lo gradiscano neppure.

IL CTS
Non ho perduto il filo del discorso. Dopo aver già rimarcato l’importanza dei danni psicologici arrecati alle persone dalle norme dell’emergenza, volevo soltanto sottolineare alcuni aspetti sociali che mi pare passino in cavalleria ma, come detto, hanno delle conseguenze potenzialmente molto importanti. E allora si trovino soluzioni alternative! Signori, mi pare che l’estero ci stia impartendo un’importante lezione. Non c’è lockdown che tenga. La salvezza è il vaccino. Lo scrivo da un anno. Insisto su questa strada da quando Mattia Maestri risultò positivo al tampone perché è palese che chiudere in casa le persone senza immunizzarle può essere utile nel breve periodo ma, dal momento in cui ricominciano a circolare, il virus le segue. Il confinamento totale e generalizzato sarebbe vincente se durasse per il tempo necessario a debellare ogni traccia del microbo morto, ormai, da solo. E’ fattibile? Beh penso sarebbe pure follia. Il CTS è un organo sacro in questa emergenza e lo sosterrò. Non voglio dire che non sia utile. Sarebbe come affermare che in un cantiere si può fare senza l’ingegnere. Questo, però, ha il compito di elaborare i progetti. Se il suo unico programma iniziale non soddisfa il cliente, lo deve modificare. In caso contrario, il committente risolverà il contratto affidandosi a un altro professionista. Chiaro il concetto? Le recenti proposte sono nuovamente orientate alla chiusura delle attività e all’ampliamento dei vaccini. Beh… sono convinto che l’Esecutivo avesse già pensato a simili soluzioni. Magari sarebbe necessario che gli scienziati lavorassero giorno e notte alla stesura di protocolli in grado di far ripartire alcuni settori. Sono troppo pochi quelli che hanno funzionato e permesso di proseguire salvando tante persone non soltanto dal covid.