Era una netta fredda quella tra il due e il tre dicembre. Niente di strano, tutto sommato. Il cielo stellato cullava e conciliava il sonno, che però si faceva sfuggente nel rigirarmi di continuo, quasi a voler scappare da un possibile incubo. Infine crollai, aprendo gli occhi sul mondo dei sogni. 
E durò poco, o forse tanto, difficile quantificare il tempo quando non se ne ha possesso. In ogni caso abbastanza da rivelarmi quel verde del campo, così nitido che saprei riconoscerlo ancora, a quasi vent'anni di distanza, sia nell’universo conosciuto che nella fantasia della mente. Ed era vivido come non mai anche il colore delle bandiere, viola gigliate, che non lasciavano dubbi di appartenenza. Dall'altra parte un calciatore festante dopo un gol; la maglia che indossava è comune a più club, ma solo una con quelle strisce avrebbe affrontato la Fiorentina nella prima domenica di dicembre. 

La sveglia segnava 'ritardo' tra l'apertura fisica delle palpebre e i trecento metri circa che mi separavano dal liceo scientifico; probabilmente anche volendo, sarebbe stato ai limiti dell'impossibile averlo più vicino. Eppure riuscivo puntualmente ad arrivare a campanella suonata, nonostante Antony - lui si, sempre sul pezzo - passava sotto casa e finiva per trovare pure lui la porta di scuola sbarrata; tutto per aspettare sto s...
Per strada quella mattina non c'era niente; non che Terzigno offrisse chissà che grande vista, ma quel giorno ero io a non veder nulla. Che poi non proferii parola nel tragitto; mi limitai al 'buongiorno' e al canonico 'scusa fratello, ho preso sonno pure oggi'.
Le ore scolastiche passarono come se non mi fossi mai svegliato davvero; un unico tormento, quella sensazione di dover agire, far qualcosa, e la voglia solo di rincasare per pensare al da farsi. 
Era ormai sabato pomeriggio, e nella cameretta andavo avanti e indietro come un condannato al patibolo.
Stavo per far qualcosa di cui mi sarei pentito? Probabilmente sì, almeno in quel momento era ciò che mi attanagliava più di tutto. In fondo però sapevo che quel che avevo visto in sogno, non poteva essere casuale; cioè voglio dire, era tutto talmente chiaro nella mia testa…
Allora mi feci coraggio, aprii il salvadanaio e misi quei soldi in tasca come fossero un fucile a canne mozze; il tempo di percorrere i cinque metri che mi dividevano dal bar e:
Buongiorno Giò, mi vedi per favore la quota di Fiorentina - Juve 1-2?
“Si…40”
Quaranta??
Impossibile! Si trattava di un risultato comune, doveva esserci per forza un errore. E l’errore c’era, c’era eccome, ma ciò non impedì che la giocata venisse accettata. Presi con la mano tremante lo scontrino e fissai incredulo la cifra della possibile vincita; a quel punto come da rituale piegai la scommessa e la misi nel portafoglio dileguandomi velocemente; salii in camera e mi inginocchiai in preghiera, cercando di coinvolgere Dio in quella vicenda molto poco sacra e anzi, piuttosto profana.
Felice mi raggiunse per “studiare”; non capitava spesso, nonostante fosse il mio migliore amico, ma era sempre così, quando c’era qualcosa in ballo lui lo ‘captava’, un po’ come capita ai gemelli di sangue.
Mi sono giocato tutto; ho sognato che la Juve vince 2-1 a Firenze”, e non avrei voluto dirglielo, mi ero autoimposto di non spifferarlo ad anima viva, quasi ad aver timore di spezzare la magia; ma lui è mio fratello, e quindi uno dei pochi a poter capire il mio stato d’animo. “Se l’hai sognato, allora hai fatto bene”; pur avendo il sospetto che fosse solo un modo per starmi accanto nonostante tutto, apprezzai le parole e mi acquietai.
Scendemmo in salotto e ad attenderci c'era il meraviglioso sorriso di mia nonna: luminoso come il sole di agosto, al solo vedermi spalancava le braccia e le sue grandi mani avrebbero potuto unire terreno e mondo dei cieli. Il giorno dopo sarebbe stato anche il suo compleanno, e pensando anche a quella congiunzione astrale, mi sembrava che tutto fosse al posto giusto; lessi la cosa come la ciliegina sulla torta, l’ennesimo incastro per un giorno indimenticabile.
All’imbrunire immancabile pizza con Antonio, e successivamente tutti in piazza; mezza scuola davanti a una panchina, in quelle che puntualmente erano due ore di nulla cosmico condite da caffè e coppe di assenzio, in attesa che si facesse abbastanza buio da convincerci di aver dato un senso al sabato sera.

Domenica 04/12/2005
Quella notte scorse piuttosto serena, un po’ perché avevo esaurito le energie nervose, o forse semplicemente avevo un po’ esagerato con la “fata verde”. In ogni caso i pensieri al risveglio non erano annacquati; sapevo esattamente che giorno fosse. Il tempo di una doccia e Luca era già sotto casa per la classica, immancabile carambola della domenica: un’umiliazione fissa e a cadenza domenicale, dato che vincevo una partita su tredici per poi obbligarlo a giocare a calcio-balilla sapendo che lì invece non aveva assolutamente scampo. Prima di congedarci gli rivelai la ‘scottante’ giocata; era un altro dei miei ‘prodi’, un altro con cui potevo essere liberamente folle, e allora ci lasciammo con la promessa che avremmo visto la gara insieme, e che se le cose fossero andata a una certa maniera, un aperitivo sarebbe stato il minimo sindacale.
A pranzo le scene erano da ‘Bar dello Sport’: mio nonno - juventino “gobbo” fino alle falangi - tormentava mio padre - di fede interista - in quel derby d’Italia che si riproponeva ogni santissimo giorno e che aveva i suoi picchi con il sacro pasto della giornata del signore; un’autentico show a colpi di punzecchiature che spaziavano da giocatori a tecnici, da presidenze a proprietà, poi voli pindarici verso la politica con riferimenti di ‘mussoliniana’ memoria contrapposti a 'spruzzate' di leninismo. In mezzo c’ero io, cuore romanista e nessuno sapeva bene il perché; ma in una famiglia campana così lontana dall’azzurro Napoli, poteva mai nascere uno ‘normale’? In compenso le donne di casa simpatizzavano per il “ciuccio”; simpatia appunto, il che non era abbastanza per scalfire il duello tra ‘longobardi’ e ‘Savoia’.

14:30
Alzo lo sguardo e l’orologio segna le due e mezza. La tensione cresce, sono ormai in clima partita, e da parte interessata prendo il telecomando e vado a pagina 201 del televideo per scoprire le formazioni ufficiali.  Ed eccole lì: la squadra di Prandelli scende in campo con: Frey, Ujfalusi Di Loreto Gamberini Pasqual, Brocchi Pazienza Donadel Jorgensen e Fiore in appoggio di Luca Toni;
Capello risponde con: Abbiati, Zambrotta Thuram Cannavaro Chiellini, Camoranesi Emerson Vieira Nedved e un giovanissimo Ibrahimovic in supporto di David Trezeguet.
Ci siamo. La partita che mi avrebbe ‘cambiato’ la vita stava per cominciare.
Lo spazio temporale intercorso tra la lettura delle formazioni al ritrovarmi seduto nel bar con Luca, credo che non sia mai esistito, o almeno è ‘zippato’ tra le cose inutili nella mia testa.

Stadio Artemio Franchi - Firenze: Fiorentina - Juventus ore 15:00
Lo stadio gremito e le bandiere viola erano proprio lì, dove le avevo già viste. Inizia la partita, neanche il tempo di rendersi conto che Pasqual batte un calcio piazzato e lo mette esattamente sulla testa di Toni, il quale gira di testa e schiaccia il pallone sulla traversa; erano passati appena cinque minuti e la Fiorentina stava già per indirizzare la partita; per niente un buon segno dato che per le mie ‘fortune’ serviva un solo gol dei padroni di casa, e vederglielo realizzare cosi, a freddo, non sarebbe stato il massimo. Ancora tre giri di lancette e stavolta sono i bianconeri a rendersi pericolosi: lancio a tagliare il campo del ‘puma’ Emerson, palla pulita sui piedi di Zlatan che senza pensarci troppo serve Trezeguet, il quale da due passi fa 0-1. Non esulto, è troppo presto, ma meglio non poteva cominciare. Scorre il cronometro, la partita è viva, vivissima, e gli uomini di casa non ci stanno a perdere; battagliano a tutto campo, anche se lo spartito è quasi sempre palla lunga a cercare “padron Toni”, che però nonostante la combattività, viene abbastanza ingabbiato dai centrali juventini. Così succede che al diciannovesimo Ujfalusi si mette in proprio, viaggia veloce palla al piede e quando arriva a circa trenta metri dallo specchio fa partire una botta terrificante che si va a schiantare all’incrocio dei pali alla sinistra del portiere; è il secondo legno colpito dai ragazzi di Prandelli, e un segno abbastanza palese che la giornata per i gigliati non sembra poter andare per il verso giusto. 
I successivi primi passano per il bene delle mie coronarie senza particolari sussulti; sembra quasi che si possa giungere all’intervallo con il gol di scarto accumulato dalla vecchia signora. Sarebbe stato un bene? Non so, avrei avuto comunque bisogno di un 1-1 nella ripresa per andare a 'dama'; non facile ma di certo non un risultato inarrivabile. La Fiorentina però non si curava dei miei calcoli, e allo scoccare del trentanovesimo, uno straripante Pasqual fa partire un cross meraviglioso dall’out di sinistra e il “pazzo” Pazzini accetta l’invito; spizza di testa e gira il pallone stupendamente alle spalle di Abbiati: 1-1 e la Fiesole impazzisce. Adesso è tutta un’altra partita, amici. A questo punto il copione della gara aveva preso in un certo senso una piega perfetta per me; c’era tutto il secondo tempo e mi bastava ‘solo’ il gol dei torinesi per spiccare il volo.
Una segnatura a cavallo dei tempi però, ha sempre una rilevanza particolare, 'benzina' pura, una spinta formidabile alla squadra che ne ha beneficiato, lasciando invece un po' di timore in chi l’ha subito. 
Tant'è che il secondo tempo inizia proprio con questi crismi; i gigliati entrano con uno spirito semmai possibile ancora più battagliero, e nei minuti iniziali della ripresa sono indiscussi padroni del terreno di gioco. A più riprese si affacciano nell’area juventina, senza però spaventare davvero l’arcigna retroguardia bianconera. Anche la Juve dal canto suo prova ad infastidire i difensori viola, ma la contesa si consuma per lo più a centrocampo, andandosi in qualche modo ad annullare vicendevolmente. 
Trascorre buona parte della seconda frazione e il risultato recita ancora parità, la quale però rischia seriamente di cadere alla mezz’ora; buco in mediana dopo un disimpegno sbagliato dagli avanti juventini, palla che raggiunge Pazzini dopo una serie di colpi di testa, lo stesso vede nello spazio l’inserimento di Toni, il portiere esce per togliergli spazio ma il modenese colpisce raso terra in direzione del primo palo… La palla scivolava inesorabile alla spalle di Abbiati, e con essa la fine dei miei sogni di gloria. Ma quello era un giorno diverso, c’era un epilogo già scritto e non era quello. Così la sfera prese una direzione 'alternativa'; non cambiò più di tanto, ma quel minimo impercettibile, forse una zolla mal riposta (santa zolla), forse il mio influsso malefico, o forse Dio, Allah o qualunque sia il nome dell’ altissimo; fatto sta che la palla disse ‘palo’, il terzo nella sfida, il terzo per la Fiorentina.
Scampato all’episodio che avrebbe detto parola fine ai miei progetti di vittoria, c’era comunque poco da sorridere; il tempo imperterrito fluiva, e alle compagini quel pareggio cominciava a sembrare molto buono. I gigliati avevano disputato una partita sontuosa - erano in uno stato di forma invidiabile e legittimamente pensavano di meritare i tre punti - ma strappare un pari contro la squadra più forte del campionato era comunque un ottimo risultato. La juve (stranamente) era prima in classifica, e grazie al distacco accumulato avrebbe mantenuto la posizione anche con il pari; un punticino preso a Firenze non era affatto un brutto risultato, soprattutto dopo tanta sofferenza. Come dice però il buon Max Pezzali, bisogna fare i conti con la ‘dura legge del gol’, e se vai cosi vicino al vantaggio com’era successo ai toscani, lo senti sulla pelle che la ‘freddura’ prima o poi arriva; soprattutto se il possibile giustiziere indossa una casacca a strisce bianche e nere. Così capita che Ibrahimovic scodella in mezzo un pallone vagante dalla sinistra, ‘Trezegol’ la colpisce di testa mettendola alle spalle per l’accorrente Camoranesi, l’italo-argentino addomestica il pallone e di destro trafigge un incolpevole Frey; GOAL! L’avrei urlato con ogni fibra del mio corpo, ma la felicità fu talmente folgorante che mi limitai ad alzarmi in piedi, guardai Luca negli occhi e lo strinsi in un abbraccio che sapeva di eterno.
Calma, stiamo calmi, calma” il mio mantra successivo, quasi a riportarmi da solo sulla terra. E poi il quarto uomo alzò la lavagnetta e c’era scritto ‘4’. Quattro lunghissimi minuti, quattro minuti percepiti come  un giunto spazio-temporale tra paradiso e inferno; duecentoquaranta secondi durati più degli anni che avevo. E poi proprio lui, Camoranesi, l’uomo che stava trasformando sogno in realtà, rifila una ‘stecca’ micidiale a Pasqual, che stava scappando - come aveva fatto in maniera inesauribile per tutta la sfida - sulla fascia; cartellino giallo che profumava di arancione, e ulteriore minuto di recupero assegnato. Vana preoccupazione però. La partita aveva già detto tutto, e non sarebbero serviti altri prolungamenti a dare un esito diverso; questa gara era già stata giocata tra le pagine di Morfeo, niente avrebbe potuto far sì che ci fosse altro risultato.

Il rientro a casa fu gioia infinita: “Tanti auguri nonna! Ho giocato e vinto nel tuo giorno”; non dimenticherò mai la felicità nei suoi occhi. 
I giorni a seguire divenni una sorta di ‘celebrità’ locale; nonostante si trattasse di un numero a quattro cifre, chiunque per strada mi chiedeva se fossi il ‘fortunato’ vincitore, e la seconda domanda di solito era la richiesta di una quota del malloppo: manco avessi fatto sei al Superenalotto! 
Tra l’altro scoprii che Giovanni dopo aver emesso la mia scommessa, segnalò la stessa ad altri avventori, chi più chi meno mise una somma sul medesimo risultato. Sfortuna volle che uno dei ‘copiatori’ fosse Pasquale, un collega di mio padre, che tra una parola e l’altra si fece vanto della vincita, la quale non era pari alla mia; a quel punto il mio vecchio fece ‘due conti’ rapidi e capì l’importo che avevo investito e andò su tutte le furie (eufemismo). Al suo rientro ho sperimentato una forza nei polpacci che non pensavo di avere, ma si sa, la paura fa correre veloci!
All’epoca non capivo: “Ma come? Ho vinto e questo mi vuole pure menare?” 
Non smetterò mai di ringraziarlo. Giocare cifre grosse è sbagliato, una lezione che porterò sempre con me.
Non mi stancherò mai di essere grato anche a mia nonna però; la mia ‘paladina’ Giuseppa, strenuamente al mio fianco anche in quella circostanza in cui avevo torto marcio.

Mi sento di mandare un caloroso saluto anche altri protagonisti di questa storia, che poi sono stati i personaggi ‘fissi’ di infanzia e adolescenza; perché non è la vincita ad avermi ‘cambiato’ la vita, ma l’aneddoto, reso meraviglioso dal rievocare le persone che mi hanno circondato. Grazie di cuore Felice, Luca, Pippo, Antonio, Antony, Giò e in fondo:
Grazie infinite Terzigno: Casa - Amicizia - Radici