La scorsa settimana il mio articolo su Mourinho è finito nella homepage di calciomercato.com. Il mio primo scritto in assoluto sul genio lusitano, capace di regalarmi delle emozioni uniche. Tra i vari commenti ricevuti, uno mi ha particolarmente colpito. Scrivendo quel messaggio, l’autore ha manifestato senza possibilità di smentita di non aver assolutamente neanche fatto lo sforzo di cliccare per aprire il pezzo sull’evento che ha portato l’allenatore portoghese sulla panchina della Roma. Per carità, nulla di cui stupirsi. Ci sono grandissime firme che non vengono lette e una moltitudine di commentatori si riversa con la bava alla bocca per esprimere il loro colorito pensiero. A volte, addirittura, viene ignorato persino il titolo nella sua interezza, focalizzandosi su una semplice parola. Questo atteggiamento mi ha portato ad una riflessione più ampia.

Perché non abbiamo più voglia di aspettare?
È una domanda che, naturalmente, abbraccia molti più campi che la semplice lettura del pensiero di Indaco32 sull’ex tecnico del Tottenham. Da anni, ormai, il ritmo a cui la nostra vita si è abituata è velocissimo. Non abbiamo più tempo. La produttività, il fatturato, l’equazione tempo=denaro, hanno spinto verso un modello di vita che non prevede spazi superflui. Come ebbi a dire qualche settimana fa, però, il superfluo conta. Ogni tanto, è necessario fermarsi esattamente dove ci troviamo, fare un grande respiro, chiudere gli occhi e non fare letteralmente niente.

Esatto: non fare niente.
Una follia, potrebbe dire qualcuno. E sarebbe lecito, nulla da obiettare. In un’epoca storica che ha fatto della velocità il suo cardine, è il minimo. Tutto è radicalmente mutato. Leggi il quotidiano cartaceo della mattina (roba per pochi, oramai) in cui ti parlano di Sarri che è pronto ad approdare nella Capitale e, qualche ora dopo, ti ritrovi online la notizia che l’ex Tripletista sarà l’erede di Fonseca. E allora a cosa serve il giornale? A cosa serve un libro? Leggere è divenuto quasi fuori moda. Bisogna essere rapidi, senza perdersi in giri di parole, andare dritti al sodo. A volte immagino se Tolkien fosse nato ai nostri giorni. Non avrebbe mai potuto scrivere “Il Signore degli Anelli”. Lo avrebbero preso per una persona datata, che scriveva migliaia di pagine per quale pubblico? Nessuna casa editrice lo avrebbe potuto sostenere.
E vogliamo parlare della musica? Nessun brano può durare più di 3 minuti. La soglia dell’attenzione dei ragazzi (ma non solo) si è vertiginosamente abbassata. Bisogna sempre trovare uno stimolo, bisogna sempre ricercare qualcosa che mantenga alta la concentrazione. E come fai? Con un brano strumentale? No, non è il caso. L’unico modo è tirare fuori rime sconnesse, magari condite di volgarità gratuite, così allora conquisti il mercato. Così conquisti il successo. Quanto mi mancano gli Articolo 31 e Caparezza (almeno lui continua a regalare qualche sussulto, come può confermare il mio amico Dart Fener). E le serie TV? Vogliamo davvero parlare della rivoluzione apportata dallo streaming? Il binge-watching, uno dei termini peggiori nel panorama dell’intrattenimento. Io capisco le logiche, capisco le ragioni, ma quando esce un prodotto e spari nella stessa giornata 8 episodi, che cosa rimane? È solamente un lunghissimo film, suddiviso in capitoli. Il gusto della serie TV era poterla godere di settimana in settimana. Sì, lo ammetto, anche io, ai tempi che furono, avrei pagato per vedere la puntata successiva e non attendere giorni infiniti, ma era quello il bello. Era quella la sensazione che permetteva persino di socializzare. Ricordo Lost, la prima vera serie che vidi in modo appassionato. Ci si confrontava nel tempo tra un episodio e l’altro con amici e compagni di classe, si facevano teorie, si esplorava. Ora, invece, la maggior parte delle serie viene rilasciata in blocco, al punto che bisogna vederle subito, appena uscite, perché altrimenti corri il rischio di beccarti uno spoiler (altro anglicismo specchio di questi anni) che ti rovinerebbe la visione. Non c’è più il piacere, ma l’accanimento. È necessario vederla subito, perché se vuoi essere in pari non hai altra scelta. E vogliamo parlare dell’idea di cui si parlava nell’ambito della Superlega? Ridurre il tempo di una partita. Perché così abbiamo prestazioni migliori? No, sciocco, cosa vuoi che interessi della parte atletica? Spremono i calciatori con 75 partite all’anno e vuoi che gli interessi della tenuta fisica? No, è che i competitors del nostro sport preferito sono i videogiochi. Eh già, una disciplina che richiede sacrificio, competenza, talento, passione e che è dotata di un fascino e di un’aura mistica come nessun altro sport, deve vedersela con la realtà virtuale. Allora sì che nessuno può leggere un articolo! Se il metro di misura deve essere il tempo che impieghiamo per giocare una partita che per quanto realistica è fittizia, allora vale tutto. Scendiamo in campo 20 minuti per tempo, senza recupero, con arbitri tutti in sala VAR, con portieri volanti, sostituzioni illimitate, concerti prima, durante e dopo l’incontro, calci di rigore tirati in streaming da un sostenitore che ha vinto l’estrazione lanciata su un social network il giorno prima (engagement, signori, engagement), con tornei di sette giorni e partite da disputarsi domenica alle 23, martedì alle 10:22 e venerdì sera prima dell’aperitivo. Lasciando da parte queste ultime idiozie (non vorrei che qualcuno le prendesse seriamente in considerazione), è abbastanza sotto gli occhi di tutti che vi sia ormai una sorta di bolla in cui si cerca di vivere la vita in modo sempre più frenetico, senza più lo stimolo ad attendere il momento.

Da anni, la gente sui mezzi pubblici è perennemente concentrata sui propri dispositivi: smartphone, tablet, pc, cuffie. Non si parla più. Non ci si chiede più, neanche nei treni a lunga percorrenza o nei voli nazionali e internazionali, dove sta andando il passeggero che abbiamo di fianco. Una vita, un’esperienza che ci passa affianco per qualche ora, e non sapremo mai nulla di lui o di lei perché dobbiamo controllare… cosa, esattamente? Se è aumentato il punteggio nel nostro gioco preferito? Se qualche calciatore si è incazzato perché è stato sostituito da subentrato e l’allenatore l’ha prontamente richiamato all’ordine come è normale che sia, ma: “Ehi, crisi Inter”? Tranquilli, non vi state perdendo nulla, perché qualche ora dopo ci sarà la news che parlerà di una bella grigliata tutti assieme, di un incontro di boxe a stemperare gli animi e risate a crepapelle dell’intero gruppo. Ma che avranno da essere contenti questi qui a cui non vengono pagati gli stipendi, a cui si chiedono sacrifici (hanno pur sempre la partita IVA, dovete capirlo) e la cui società tra poco finirà in Serie D? Che poi, non sarebbe mica male, magari incontriamo il Sona Calcio e facciamo un bel match contro Maicon ed Enrico Ruggeri.

Chi ha avuto il coraggio di perdere qualche minuto della propria esistenza per arrivare a questo punto, potrebbe farsi un’idea del tipo: «questo qua è rimasto indietro nel tempo». Ecco, no. Utilizzo quotidianamente tutti i dispositivi elettronici, scrivo su una piattaforma che è tale perché il progresso tecnologico ha consentito di farla nascere eccetera, eccetera. Semplicemente, credo che, in una giornata, ci vogliano dei momenti in cui perdere tempo. Sì, esatto: perderlo. Chiacchierare con una persona, un amico o un’amica che non si sente da tempo, chiamare un familiare, fare l’amore con la persona desiderata, scrivere, disegnare, suonare, scolpire, allenarsi. Acquistare la copia di un giornale e mettersi su una panchina, all’interno di un parco, a sfogliarlo. Leggerlo bene, partendo dai titoli, e scorrendolo. Senza fretta, girando le pagine con calma e magari sorseggiando una qualche bevanda acquistata nel chiosco antistante. E quando ordinate questa bevanda, fatela una battuta con il gestore. Una parola, semplice, un complimento, un appunto. Ma fatelo.

Camminate per gli spazi verdi che la vostra zona vi offre, andate nei musei e riconciliatevi con la pazienza, con la storia, con quello che fu.
Andate al teatro, a prendere un paio d’ore di silenzio che riempie più di mille brani trap ascoltati in successione al chiuso della cameretta.
Recatevi al cinema, a guardare un film leggero con la vostra compagnia di amici oppure un bel lungometraggio d’autore se siete soli o tra appassionati: in entrambi i casi, il gioco varrà la candela.
Andate allo stadio, tifando la vostra squadra, sostenendola, facendo foto (sì, le tecnologie servono, vedete?) e provando empatia per 90 minuti più recupero (non uno di meno, sia ben chiaro!).
Vedete nuovi posti: esplorate il Bel Paese, le Alpi, la metropoli milanese, i laghi lombardo-veneti, le Cinque Terre, l’Emilia-Romagna, i borghi umbri e toscani, l’Adriatico, la Città Eterna, Napoli, il Salento, la Lucania, le coste calabresi, le grandi isole (Sicilia e Sardegna) e le piccole. Allargate i confini e puntate all’orizzonte, senza fermarvi.
Tutto questo, mi sembra quasi scontato dirlo, in tempi normali.
Abbiate il coraggio di non farvi prendere dalla paura di non stare sfruttando il vostro tempo a dovere. Non fatevi ingannare. Il tempo è prezioso, ma a volte se ne guadagna molto di più perdendolo.

E io, stamattina, in attesa di un sabato che vede Juventus-Inter (la partitissima per eccellenza) e Roma-Lazio, perderò 5 minuti riascoltando un brano dei Coldplay in versione live. Un pezzo di tantissimi anni fa, forse desueto rispetto a quanto si ascolta ora, ma che… mi lascia i brividi. E lo farò sdraiato, a non fare assolutamente nulla, godendomi il momento. Sì, sto perdendo tempo, ma è la cosa giusta.
È la cosa migliore.

Indaco32