Prendi una palla a spicchi e un canestro. Un ragazzone di due metri e oltre novanta chili. Prendi un’ala piccola, un numero 3, un giocatore che deve saper fare un po’ di tutto: servire assist, andare a rimbalzo, mettere punti a referto. Già, il referto. Quello del campo, fino a pochi giorni fa, segnava un massimo in carriera di ventidue punti. Poca roba, specialmente per il palcoscenico NBA. Il referto più importante, però, è quello medico. E’ quello che stabilisce la gravità di un infortunio o, peggio ancora, il presentarsi di una malattia. E’ il referto medico a determinare che tu sia un cestista o un paziente. Fino al 13 gennaio, Caris LeVert è stato un cestista dei Brooklyn Nets. Dopo una partita, stava schiacciando un pisolino ristoratore quando il suo smartphone ha iniziato a squillare. Era il suo procuratore. Prepara la valigia, Caris: Brooklyn ti ha venduto agli Indiana Pacers. Una trade importantissima, un giro di giocatori che portava a conclusione l’acquisto più rumoroso nella storia dei Brooklyn Nets: James Harden, il Barba, cecchino dalla media realizzativa spaventosa, lasciava Houston e si accasava sotto il Ponte. A volte la NBA sembra il calciomercato della Longobarda: prendo la metà di Giordano e la giro all’Udinese per un quarto di Zico. Fatto sta che il giorno seguente Caris LeVert si è presentato alla sede degli Indiana Pacers per le visite mediche di rito e la firma del contratto. Esami alle gambe, alle braccia, al cuore, ai polmoni. Tutto ok, il ragazzo sta in formissima. C’è solo una cosa che non va: nella schiena, all’altezza del rene sinistro, c’è qualcosa di strano. Un esame suppletivo, un referto – il più terribile dei referti – che parla di cancro maligno. Bisogna operare, subito. Caris smette di essere un cestista e diventa un paziente. Ha giusto il tempo di chiamare la mamma e comunicarle l’infausta notizia. La madre, per inciso, lotta da dieci anni con la sclerosi multipla. Il papà non c’è, non più. Un altro tumore se l’è portato via quanto il giovane Caris aveva quindici anni.  I riflettori sono infami. Vai da Brooklyn ad Indiana per lasciar posto ad Harden e nessuno ti calcola. I riflettori sono tutti per il Barba e tu – che vorresti un briciolo di celebrità in più – vieni sostanzialmente ignorato. Quando poi scopri di avere un male terribile e mortale che ti divora dentro e vorresti stare un po’ in disparte, senza ammuina, lontano dalle luci, ecco che i riflettori si piazzano sulla tua faccia. E tu stringi gli occhi, trattieni le lacrime, vorresti semplicemente sparire e concentrarti su te stesso, sulla tua vita. Il referto della partita non conta più niente, rispetto al referto medico.
L’operazione avviene undici giorni dopo la tac. Perfettamente riuscita: non serviranno altre cure. La riabilitazione, il ritorno in campo, i due contro due, i cinque contro cinque, lo stridere delle scarpette sul parquet, il ciuff della retina, le pacche sulle spalle.
Si torna a vivere, Caris. Si torna in campo. Si torna a fare canestro.
Due mesi esatti dopo l’intervento, Caris LeVert mette a referto – quello cestistico, non quello medico, finalmente – ventotto punti. Massimo in carriera. Come se non bastasse, come se servisse un punto esclamativo che chiudesse definitivamente questa storia, Caris piazza anche la bomba da tre punti decisiva per la vittoria degli Indiana Pacers contro i Detroit Pistons. “Se non avessi cambiato squadra non avrei scoperto quello che avevo. Lo scambio mi ha salvato la vita”, ha commentato LeVert.
Non più un ragazzo, non più un paziente, non solo un cestista, ma un uomo.  L’uomo che ha sconfitto un cancro con un tiro da tre.