A volte capitano cose che non avresti mai pensato di vedere, o di fare. Ad esempio ho letto svariate volte della città di Fiume, teatro dell'impresa capitanata da Gabriele D'Annunzio, luogo che mai avrei pensato di visitare, finché non mi ci sono ritrovato, quasi per puro caso. Ho messo spesso le capitali europee nel 'mirino', tra le 'cose assolutamente da fare', visitare Parigi, Barcellona o Madrid, ma alla fine, forse dandole un po’ per scontate, vuoi per la vicinanza, e le tante opportunità low cost, non ci ho mai messo piede, della serie "tanto prima o poi ci vado". 
O ancora, non avevo assolutamente progettato di andare in Messico; volevo andare in Kenya, ma preoccupato dallo 'Zika virus' di cui tanto si parlava nel 2017, mi sono ritrovato in centroamerica piuttosto che nel continente africano.
Faccio un lavoro che era il mio sogno da bambino, ma in una specialità che dieci anni fa, mai avrei scelto, quasi la odiavo. Sì, state pensando “arieccolo a parlare delle trame della vita, che due co***”. In effetti è una mia tendenza, non lo nascondo.
Qualche tempo fa, lessi un libro consigliatomi da un caro amico, in cui il protagonista, un postino, in una posizione ‘privilegiata’, si diletta a giocare con il destino, talvolta sostituendosi ad esso, appuntando su un taccuino le coincidenze di cui si accorgeva strada facendo, e in alcuni casi addirittura facendole capitare. Accadimenti che vanno a combinarsi con la vita e in maniera così netta da mutare quelle vite stesse. Se ci pensate è un qualcosa di assolutamente vero: un appuntamento a cui non ci si presenta, una chiamata senza risposta, un trasferimento mancato o avvenuto, un sasso che cadendo stramazza sulla testa di un uomo perché il povero disgraziato per una combinazione astrale si trova proprio lì, in quell'esatto momento, nel posto che lo farà trapassare, o magari arriva in quello specifico punto un istante prima o dopo, il tanto che basta a evitare l’epilogo drammatico. 

Di storie incredibili ce ne sono tante, "sliding doors" che cambiano il fato. Lo stesso Totti, tanto caro a noi romanisti, poteva diventare invece un simbolo della Sampdoria a causa di Carlos Bianchi, o probabilmente una bandiera "strisciata" con un successivo cambio di maglia. Poteva scegliere di andare al Real e vincere, magari aggiudicandosi il pallone d'oro, o forse diventare 'uno dei tanti' nel mare magnum di talento che sempre circola alle latitudini di Madrid: il destino ha detto Roma, destino che non gli avrà regalato cataste di titoli individuali e trofei, senza dubbi l'eterna gratitudine testimoniata dalle lacrime dei tifosi.

Pensate se Marcell Jacobs non si fosse infortunato 'tremila' volte, nel suo periodo da ‘lunghista’: probabilmente sarebbe riuscito ad essere comunque un ‘medagliato’ olimpico e mondiale, viste le premesse, ma quanto gli ha stravolto il futuro essere passato alla velocità? Cioè, magari sarebbe stato un grande atleta, ma cambiando specialità è diventato il più veloce al mondo. Un italiano, il più veloce al mondo. Anche una serie di eventi spiacevoli quindi, può aprire orizzonti di successo.

Tra tutte le cose che mai avrei pensato di vedere, ipotizzando una 'bacheca dell'impossibile', delle cose che non accadranno mai, avremmo di certo trovato uno scomparto con "italiano che vince i cento metri piani": spero tanto che gli anni a venire riservino continue sorprese, ma un atleta azzurro che gareggia una finale - e sarebbe stato già unico - per i cento metri piani, per giunta la vince, e sale sul gradino più alto fermando il cronometro a 9” 80, il tempo con cui chiuse la carriera Usain Bolt, è veramente un evento clamoroso e fuori dal mondo, dal mondo “pre-jabocs” chiaramente.

Senza dubbio c’è più di qualcuno che storce il naso: “eh ho capito, grazie ar ca***, non è italiano-italiano”. Perché noi siamo cosi, inutile negarlo. E’ come se i francesi dicessero “si vabbè, siamo campioni del mondo, ma Mbappè è nero, Benzema è algerino e Griezmann è mezzo uruguaiano”. Sono discorsi che esistono. E’ un retaggio antico. E se si chiamasse Marcello, piuttosto che Marcell, non cambierebbe molto, resterebbe il figlio di un americano, non un italiano che ha rinunciato alla doppia nazionalità - suo diritto di nascita - tra l’altro senza alcun interesse verso l’inglese, che pure dovrebbe conoscere, a prescindere, non per via dello status da italo-americano.
Ma il campione ‘se ne frega’, anzi, si carica:
Dedico l’oro a quelli che non mi sostengono, mi danno la forza di dimostrare che si sbagliano”.
In fondo, non puoi davvero scalfirlo uno così. Un ragazzo che ha superato avversità che sarebbero bastate alla maggioranza degli atleti per mollare, dire basta. Nel 2014, buchi nel tendine rotuleo; 2015 strappo al bicipite femorale ed è costretto a saltare gli europei. Riprende le gare, e dopo un paio di salti la risonanza dice “distacco parziale del tendine”. Nel 2016 infortunio al tallone e addio olimpiade di Rio. Nel 2019, a venticinque anni, si ritrova già con le ginocchia a pezzi, con la cartilagine usurata e fitte praticamente a ogni salto. Agli europei indoor di Glasgow, ci arriva - parole sue - in forma, fa due salti nulli e al terzo gli cede la gamba: un incubo senza fine, a cui non riesce a credere neanche il suo fidato allenatore Paolo Camossi, letteralmente in lacrime dopo l’ennesima disavventura di Marcell.
Lui no però. Marcell non piange, il ragazzo di desenzano del Garda ancora una volta si rimbocca le maniche e mettendo da parte la carriera da lunghista, rispolvera il primo amore, la disciplina che l’aveva avvicinato all’atletica leggera in tenerissima età, preferendo la velocità, la corsa, al basket che tanto ama papà Lamont.
Quello che succede dopo è arcinoto, e non potrebbe essere diversamente per l’uomo che ha cancellato il vuoto di medaglie nei cento metri piani, andandosi ad aggiungere nella casella delle leggende, al fianco del grande Pietro Mennea.

Non solo le sventure fisiche a fermarlo nel tragitto verso la gloria. Nonostante ottimi tempi, infatti, prima di arrivare agli ultimi due anni che l’hanno consacrato alla storia, il bresciano aveva difficoltà a riportare il lavoro fatto in allenamento, nelle gare. A fermarlo, il rapporto inesistente con il padre, con cui aveva avuto sporadici contatti e non buoni: le difficoltà con la lingua, ma soprattutto il senso di abbandono, avevano logicamente lasciato cicatrici che in qualche modo non permettevano al ragazzo di esplodere.

A scuola tutti disegnavano una famiglia con due genitori. Io no. Per avere un’immagine di noi due insieme dovevo cercare tra le poche fotografie rimaste in casa. Ho eretto un muro per proteggermi. L’ho rivisto una sola volta in Florida, quando ormai ero adolescente. Fu come incontrare un estraneo.” 

Ad aiutarlo a superare questo ‘blocco’ mentale e sportivo, oltre alla vicinanza della madre Viviana - sempre presente - la sua futura sposa Nicole Deza, che gli ha dato la serenità che cercava oltre a due splendidi figli, ma soprattutto la mental coach Nicoletta Romanazzi, che aveva da subito notato le sue ‘barriere’, situazione che lasciava molto potenziale inespresso. L’ha aiutato in tantissimi aspetti, oltre quello emotivo, anche sul controllo della respirazione e sulla concentrazione da canalizzare solo sulla gara, lasciando scivolare via ansie e “fantasmi”, come li definirà lo stesso velocista. 

I miei amici mi chiedevano chi fosse il mio papà. Non esiste, rispondevo. Per anni ho alzato un muro. E quando mio padre provava a contattarmi, me ne fregavo. Il lavoro che ho fatto con la mia psicologa è stato importante. Abbiamo lavorato prima sul lato umano e poi su quello sportivo. Lei ha capito da subito che per sbloccarmi avrei dovuto affrontare i miei fantasmi e le mie paure. E’ incredibile la potenza che si muove quando abbatti un muro. Odiavo mio padre per essere scomparso, ma ora ho ribaltato la prospettiva: mi ha dato la vita, muscoli pazzeschi, la velocità.

Fortunatamente Marcell, ha ricostruito il rapporto con il padre, riuscendo a diventare il campione che abbiamo ammirato e che continua a sorprenderci gara dopo gara, facendo incetta di medaglie e tempi straordinari, come l’ultimo successo, l’oro europeo conseguito a Monaco qualche giorno fa.
Chissà se anche l'infelice scelta di Lamont, andare via, non sia stata l’ulteriore spinta verso ‘l’arrendersi mai’ che ha fatto di Jacobs ‘flash’: senz'altro una decisione che non l’ha reso fiero e felice, magari neanche voluta davvero, vista la condizione da militare e il trasferimento lavorativo in Corea del Sud. In ogni caso un passaggio che potrebbe aver rappresentato l’ennesimo ‘lancio di dadi’ del destino: una puntata che ha fatto di un bresciano nato in Texas, la leggenda vivente dell’atletica tricolore.
"Tutti i giorni lavoro per scrivere un pezzo di storia dello sport italiano."

L'hai fatto Marcell. L'hai già fatto. Hai scaraventato giù, con la forza d'animo, contro le avversità della vita, degli infortuni, il muro dello scetticismo, la bacheca dell'impossibile.

ForzaRoma27