È stata la fine d’anno più difficile della mia vita, senza dubbio.
Il primo gennaio ho letto il post finale del 2020 scritto dalla redazione di VxL e a seguire, visto che lo avevo perso, il post precedente di Jea che preannunciava l’apertura del BAR VivoPerLei.
Questo non è un articolo di calcio, non può esserlo, in teoria non dovrebbe nemmeno essere un argomento da BAR.
Mi spiego.
Mi sono iscritto come utente di questo blog il 3 dicembre del 2020, per caso, seguendo le tracce di un altro utente che ha “twittato” il link ad un suo post in questo blog. Qualcosa di mio lo avevo scritto da poco, così… tanto per mettere giù dei pensieri, di getto e senza una forma particolare, sull’onda emotiva della scomparsa di Maradona, uno degli idoli sportivi della mia gioventù, quindi l’ho pubblicato, senza pensare e senza aver capito nemmeno il meccanismo, il bando, la classifica. Tutto secondario.
In realtà so che scrivere mi piace e lo so da tanto, ho anche realizzato che quando scrivo non penso, mi immergo soprattutto nei miei ricordi e provo a trasmetterli, a descrivere quello che la mia memoria e la mia immaginazione visualizzano nel preciso istante in cui scrivo.
Quel 3 dicembre più che mai ne avevo bisogno, una necessità impellente di occupare tutti gli spazi vuoti nei quali la mia mente poteva vagare in pensieri peggiori e preoccupazioni, e allora ho prodotto qualche scritto, utilizzando alcune idee che già avevo in mente ed eventi forti come l’improvvisa scomparsa di Pablito.
Ne avevo bisogno perché era appena partito un conto alla rovescia.
Oggi, nel 2021, chiunque può prendere il telefono, aprire la relativa applicazione e far partire un cronometro o un conto alla rovescia precisissimo, secondo per secondo, centesimo per centesimo. Il mio, purtroppo, lo scandiva una clessidra un granello di sabbia per volta, piano piano.
Puoi avere un’idea di quando la clessidra esaurirà la sabbia, è chiaramente visibile, ma la certezza del momento, quella no. Non è come quella dei telefoni moderni.
Ci sto girando intorno perché, anche se sono passati alcuni giorni, mi risulta maledettamente difficile scrivere questa cosa, non sono nemmeno sicuro di volerlo fare, ma arrivato a questo punto...

La clessidra ha smesso di rovesciare la sabbia sulla parte inferiore il 28 dicembre, nel pomeriggio.
Quel giorno sul mio cellulare, libero da compiti di cronometro, è arrivata la solita chiamata dell’ospedale, quella che ormai da diversi giorni arrivava più o meno puntualmente. Quella è stata l’ultima.
Un numero in più sul bollettino giornaliero, quel numero ha il volto, il sorriso e il profumo della mia mamma.
Inutile che spieghi cosa c’è intorno a tutto questo, le incredibili cause di questa fine. Siamo tanti, troppi ad aver vissuto lo stesso orrore in questo anno infausto appena concluso, non sono sensazioni ed emozioni che voglio descrivere, dentro ci sono dolori indicibili.
E questa non è nemmeno la cosa più difficile che ho scritto in questi giorni, quella l’ho scritta l’ultimo giorno dell’anno e, a differenza di queste righe che metto a disposizione di occhi che non conosco, di volti che non vedo e di schermi grandi e piccoli che illuminano questi occhi e questi volti sconosciuti, quella cosa ho provato a leggerla, senza riuscirci, all’interno della grande chiesa del me bambino, davanti a tantissimi occhi e volti che conoscevo quasi tutti. Occhi umidi che hanno versato le stesse lacrime che a me impedivano di leggere decentemente quel foglio sempre più bagnato.

Chiedo perdono a chi, suo malgrado, è finito davanti a queste righe pensando di trovare una delle storie che, basate sui miei ricordi e sulle mie emozioni, fanno da sfondo a quello che ho scritto finora in questo blog. E anche a chi è stato ingannato dall’immagine di un Inter-Roma degli anni ‘80 che ho scelto come copertina.
Sono emozioni anche queste, non sono le stesse di dicembre, in quelle oltre ai miei ricordi c’era tanta, tantissima speranza.
In queste purtroppo no e non biasimo nessuno che volesse abbandonare la lettura a questo punto, o che l’avesse già fatto. Questo scritto è soltanto un modo per chiudere un cerchio, il peggior modo possibile.

Come recita il titolo, ho perso. Ma ho perso sul serio e non una partita, una classifica tra blogger o qualunque tipo di contesa. Il problema che si pone ora è rialzarsi e ripartire.
Da sportivo, calciatore praticante di lungo corso, so che ogni volta devi metterci più impegno. Ripartire.
E la partita successiva devi dare di più, molto di più. Perché altrimenti perderai di nuovo.

Stavolta è diverso, stavolta ve lo assicuro l’impegno per non perdere c’è stato, ma non è bastato. E non so davvero come fare per rientrare in campo. Ho altre idee, scritti già pronti, cose delle quali sono soddisfatto e qualcosa meno, ma non ho né la forza e né la voglia di rileggerli, correggerli e pubblicarli, spero di trovarla prima o poi, non vorrei assolutamente che questo fosse un arrivederci o un addio a VxL, perché anche scrivere cose potrebbe aiutarmi a superare questo momento terribile, lo so.

Ora però vorrei concludere con un omaggio alla piccola donna bergamasca che mi ha donato la vita e che in questo momento piango senza tregua.
È già stata in diversi dei miei racconti che ho pubblicato qui sopra.
C’era nel mio racconto di speranza sul vaccino e le mie scarpe da calcio, con le sue divagazioni alternative che ritardarono il mio incontro con lo sport che amo, c’era nel mio grido d’allarme per il calcio del futuro e per la perdita dello spirito del gioco che è stato e che, in maniera un po' provocatoria, ho intitolato “Salviamo i bambini dalla Juve” anche se in quello specifico caso ho omesso di descrivere un episodio che comunque rimarrà per sempre impresso nella mia memoria. E c’era soprattutto nel racconto su Pablito dove parlo di suo padre, mio nonno, e ovviamente anche di lei.
Mi viene in mente una similitudine un po’ azzardata ma che, in questi giorni, affiora costantemente nella mia testa. Parlando con qualche amico mi è venuto spontaneo definire mia mamma una “scatola magica”, nel mio ultimo saluto di cui ho già detto è spiegato perfettamente il motivo, ma non è questo li luogo dove riproporre questi pensieri, tuttavia, siccome siamo in un blog di calcio mi piace ricordare che i tifosi del Chelsea avevano ribattezzato “trick box”, scatola magica appunto il meraviglioso Gianfranco Zola. Nel suo caso sicuro c’entrava l’altezza e molto di più le magie che riusciva a inventare sul campo, credo che il soprannome fu coniato dopo il gol di tacco al Norwich.
Mamma probabilmente era anche più bassa di Zola, ma anche lei faceva delle magie, era fenomenale, non ti annoiavi mai. A volte fin troppo.
E allora, ritorno sul mio racconto che parla dei bambini e della Juve, e sull’episodio che ho omesso.

Ad un certo punto avevo scritto: “e poi, alla fine delle medie, ero diventato improvvisamente tifoso della Roma seguendo il genio del mio compagno di scuola Luigi che mi aveva stregato con le sue doti artistiche applicate al calcio.”
Penso fosse il 1983, seguendo Luigi eravamo arrivati in un posto lontanissimo dalla nostra zona a Milano sud, via Procaccini. Lì c’era un negozio di due vetrine che si chiamava Sior Team, vendevano il merchandising dell’Inter ed i biglietti dello stadio (penso che nello stesso posto oggi ci sia ancora un negozio di maglie da calcio), sapevo di non poterlo e soprattutto di non doverlo fare, ma mi lasciai convincere ed arrivammo fino lì cambiando due o tre diversi tram per comprare due biglietti del settore “popolari” per Inter-Roma.

La domenica mattina quando dissi a mio padre di avere il biglietto dello stadio ovviamente successe il finimondo, le mie lacrime erano inutili, non c’era verso quindi persi l’appuntamento alla fermata della 95 con Luigi che andò allo stadio da solo. A quel punto mia mamma disse a mio papà che mi avrebbe portato allo stadio lei… e lui accettò. Ero in grosso imbarazzo ad andare allo stadio “con la mamma” ma era sicuramente meglio che non andarci.
Arrivati a S. Siro abbiamo preso un biglietto per lei al botteghino, ai tempi i “numerati” erano solo in tribuna rossa e in qualche settore dei “distinti” ma soprattutto, nel secondo anello (i popolari) non c’erano nemmeno le divisioni tra i settori, se iniziavi a girare in un punto dell’anello potevi fare l’intero giro dello stadio. Ricordo che una volta salite le rampe chiesi a mia mamma di sedersi in un punto preciso, avevo poco più di 13 anni non sapevo se ero nella curva sud, nella nord, ma le chiesi di aspettarmi lì e iniziai il mio assurdo giro dello stadio alla ricerca di Luigi con la mia sciarpa della Roma (che mi aveva regalato lui) nascosta sotto il giubbino. Ci ho messo parecchio, guardavo ogni volto ma alla fine mi sono arreso e sono tornato dove avevo lasciato mamma.
A quel punto, guardandomi intorno ho realizzato di essere in curva sud, quella dove, quando in casa giocava il Milan c’era la Fossa dei Leoni e di avere a pochi metri gli ultras della Roma. Abbastanza rinfrancato avevo tirato fuori la mia sciarpa giallorossa, e da lì a pochi minuti mia mamma si era alzata in piedi e seguendo il ruggito di San Siro sollevando il braccio in maniera irregolare aveva iniziato ad urlare: Inteeerr, Inteerrr..!!
Ero spaventato dalla vicinanza ai tifosi giallorossi ma non c’era stato verso di farla smettere e, usando un’espressione a lei consueta che farà sorridere i miei fratelli quando leggeranno queste righe, si era girata verso di me e mi aveva detto “e che fa...?”. Questa era la mia mamma, un patrimonio incredibile di sorprese, aneddoti e follie. E di feste, tante feste.

Ho perso.
Ho perso veramente, ed è una sconfitta irreparabile.
In questi giorni, le cose che mi hanno aiutato più di tutto sono state le persone, e il loro carico di affetto e allora spero di riuscire a trovare la forza di scendere in campo di nuovo, ma vorrei approfittare di questo momento per pensare alle persone che ho “conosciuto” qui e rivolgo un sincero ringraziamento a tutti quelli che mi hanno accolto in questo spazio e che hanno voluto dedicarmi un commento o una lettura oltre, naturalmente, Jea e la redazione.
Buon anno a tutti, il primo senza la mia amata “Pagnotta”.

Saporati.