Buongiorno a tutti, oggi vi racconto una storia che sembra difficile da credere, eppure è successa realmente. Una storia degli anni che passa tra gli anni 1980 e 1990, di Anton Giulio Barretti, nome di fantasia per privacy, che ora andremo ad ascoltare nel suo racconto, per il come e perchè questa cosa poi sia successa.

Sono nato a Roma il 10 Dicembre 1972, da una famiglia modesta, mio padre Alberto che era un pizzicagnolo e mia madre Franca casalinga. Fin da bambino sono stato appassionato di calcio e avendo mio padre un tifoso juventino sfegatato, all'età di 6 anni mi iscrisse ad una scuola calcio nelle vicinanze di casa, dove rimasi i primi 4 anni della mia vita calcistica. L'allenatore per la mia statura minuta, troppo basso per la porta, troppo magro per giocare come centrale di difesa, un giorno mi disse "Anton Giulio, tu giocherai come trequartista!", ecco che all'età di sette anni mi ritrovai a smistare palloni a destra e manca, sulle spalle avevo la numero 10 e il mio giocatore preferito era proprio un certo Franz Beckenbauer, una statua nella difesa della Germania Ovest, sembra strano che non avevo un idolo italiano, eppure quel tedesco tutto fiero di se, mi aveva improntato la sua serietà, era impressionante come seguivo ogni suo movimento, anche se poi il ruolo era tutt'altro. Mio padre mi diceva sempre, per la sua juventinità "Ma quale Franz Beckenbauer, tu sarai il nuovo Omar Sivori", chi era Omar Sivori? E chi lo sapeva...Così in poco tempo trovai la titolarità, addirittura mi fa accreditata la fascia di capitano, che indossavo fiero proprio come quell'idolo. A 10 anni ero un pilastro, e cominciavano a circolare voci su squadre interessate a me, ricordo che un giorno mentre uscivo dal un allenamento il presidente della mia squadra parlava con mio padre e gli diceva "Ma come può dire una cosa del genere?". Così dopo essermi fatto la doccia e preparato per andare via, chiesi a mio padre "Papà, cosa ti ha detto il presidente?", lui si mise sulle sue e rispose arrabbiato "Non capisce che tu meriti una squadra migliore di quelle che mi ha detto". Vincemmo il campionato 1981-1982, arrivò l'estate, e a casa mia c'era un via vai tra presidente e dirigenti della squadra dove giocavo. Così un giorno, origliando, dietro la porta della mia camera venni a sapere qualcosa di eclatante...Il dirigente diceva a mio padre "Anton Giulio è richiesto da Roma e Lazio, ma perchè s'incaponisce?", e mio padre "Mio figlio se va via dalla vostra squadra giocherà solo se lo chiama la Juve!", non potevo uscire fuori dalla stanza, anche perchè mio padre mi aveva lasciato che stavo studiando, quindi mi avrebbe sgridato e fatto rientrare in camera. Ecco che il dirigente si alza e ripete "Se ne pentirà!" e mio padre gli disse una parola che è meglio non ripetere. L'estate passò senza più ritorni di nessuno dalla squadra e nessuna telefonata. Ecco che un giorno squilla il telefono di casa, mio padre era a lavoro e mia madre mi chiese di rispondere "Pronto!", dall'altra parte della cornetta mi rispose un signore "Sei Anton Giulio?", "Certo, ma se cerca mio padre non è in casa", e la voce "Ma a te piacerebbe giocare nella Roma?", e io risposi "Certo che si. Ma perchè mi fa questa domanda?", e la voce "Perchè io rappresento la Roma...", ecco che si aprì il portone di casa era mio padre che rincasava, ecco che vedendomi al telefono mi disse "Chi è?", e io senza dire nulla gli passai il telefono "Pronto, chi è?", "Allora non avete capito? Ho già detto tutto al dirigente della squadra di mio figlio, non voglio che a casa ci siano altre telefonate se non dalla dirigenza della squadra attuale. Buongiorno....e si....buongiorno". Così appena appese il telefono dissi "Papà ma era la Roma?", e lui sviando "Macchè, ti pare che la Roma chiama a casa? Era un signore che fa i scherzi per telefono e ho capito che stava prendendoci in giro". Non abboccai alle sue parole, visto che avevo sentito le sue parole con il dirigente della mia squadra. Così parlai con mia madre, e lei mi disse "Tuo padre ha tutta una sua teoria, e oltre a essere juventino è anche un anti tutte le altre squadre, soprattutto anti Roma e Lazio, perchè non può vedere i suoi tifosi". La stagione ricominciò, e come al solito ero titolarissimo, ma la mia squadra era quasi del tutto tutta nuova, molti erano andati in altre squadre, altri avevano fatto il grande salto in squadre importanti, e io stavo ancora lì per volontà di mio padre. Ecco che arrivò natale 1982, e a casa cominciarono ad arrivare dei regali; il primo fu un borsone della Roma, e una lettera che ripeteva a chiare lettere "Questo regalo è per Anton Giulio, nella speranza che accetti di giocare nella nostra squadra. Un caro saluto AS Roma", dopo poche ore un altro borsone, stavolta della Lazio "Sappiamo che sei un bravissimo calciatore, e vorremmo che accettassi la nostra offerta. Un caro saluto SS Lazio". Mio padre però irruppe con un "Non aprire nessuno dei due borsoni!", li prese e richiamando il fattorino che li aveva portati, glie li caricò sul suo furgoncino e gli disse "Puoi riportarli al mittente, e gli dica di non disturbarci più. Ha capito!". Il fattorino annuì e portò via i due borsoni. Mia madre cominciò a rimproverare mio padre "Ma perchè ti comporti così? Tuo figlio è un giocatore forte, ha solo 10 anni, ma se arivano a fare cose simili significa che pensano possa diventare un giocatore delle loro squadre del futuro", e mio padre fermo sulle sue parole, fece uno sguardo seccato e se ne andò via, senza parlare. Sapevo che quel che disse al dirigente della mia squadra "....Solo se lo chiama la Juve!", era una cosa che non si sarebbe mai rimangiato. Sul campo continuavo a dare dimostrazione, e me lo ripeteva anche l'allenatore, di essere parecchio superiore a quei ragazzini in campo, e ripeteva ad alta voce "Sto' ragazzino è de nartra categoria, ma come fa ancora a giocà quà?", lo aceva per farsi sentire da mio padre che un giorno se ne uscì così "Infatti non capisco, perchè la Juve ancora non l'ha chiamato, si sono fatte avanti solo squadrette...". L'allenatore, che lo conosceva da anni, gli disse "Lo hanno chiamato, ma qualcuno mi ha riferito che ha rifiutato, io vorrei proprio sapere chi è stato a rifiutare il ragazzino oppure....", mio padre si sentì tirato in ballo "Pensi che sono stato io a fargli dire di no? Ebbene si, mio figlio giocherà o qui o alla Juventus e in nessun altra squadra. Vincemmo anche il secondo campionato di fila, e l'estate 1983 arrivò, portandosi dietro lettere su lettere di società italiane, dalle solite Roma e Lazio, dalla Fiorentina al Torino, fino ad arrivare al a squadre dell'Interregionale che da poco si chiamava Serie D, ma sia l'offerta alla squadra detentrice del mio cartellino, che la destinazione era troppo distante per mio padre, ed ecco che dissi a mio padre "Se non mi mandi a giocare in una di queste squadre, smetto di giocare!", lui mi rispose "Per me puoi smettere anche subito!", e così feci. Non giocai più al calcio fino ai 18 anni, quando avrei potuto scegliere qualsiasi destinazione. Piano piano le squadre che mi avevano cercato si fecero da parte e non arrivarono più, ne cartoline ne telefonate, silenzio totole. Continuai a giocare a calcio con i miei amici del quartiere, e partecipai a parecchi tornei. Nel 1990 a 18 anni compiuti, decisi i tornare su un campo da calcio, sempre di una squadra delle periferie romane, sempre nello stesso ruolo, sempre pronto a far vedere di che pasta ero fatto. Certo quei otto anni senza calcare un vero campo da calcio si sentì, tanto che i piedi ancora c'erano. La stagione la conclusi con 10 reti e parecchi assist per l'attaccante che si rivelò il capocannoniere della categoria. A fine stagione però non si fece vivo nessun club, se non della stessa categoria della mia squadra. Rimasi due anni, poi girai per le squadre della Regione per altri 10, per poi ritirarmi nel 2002.

Oggi faccio un mestiere normale, sono pittore, orgoglioso del mio lavoro, certo la crisi si sente e neanche poco, ma si tira avanti. Spesso quando i miei figli mi chiedono di accompagnarli agli allenamenti, arrivando sul campo mi rivedo sgattaiolare su quel terreno, e mi tornano in mente tutti quei momenti della mia gioventù. Ho sempre pensato se davvero avrei avuto la fortuna di divenire un giocatore professionista a grandi livelli, oppure se dopo poco tempo mi avrebbero rimesso alla porta e oggi alla fine sarei sempre un pittore. Sono certo che se a uno dei miei figli dovesse arrivare qualsiasi offerta, qualora abbia la mia stessa fortuna, non mi tirerei indietro, anzi trasferirei la mia intera famiglia ogni volta che si sposta per giocare, fino alla sua maggiore età, quando comincerà a muovere i suoi passi da soli.

Ti ringrazio 5 Maggio 2002 per avermi messo nella speciale rubrica, e spero che sia una storia che faccia capire a molti genitori che rifiutare offerte di calcio per i loro figli, perchè tifosi di una squadre rivale, rischiando poi di non avere più opportunità nel loro futuro, e che la rivalità resti solo in voi, ma non in loro. Buon calcio a tutti!