12 settembre 2010, l'apoteosi: è l'apice da cui intendo partire. Probabilmente la rappresentazione più bella e vera di quel Bari che davvero metteva in difficoltà le grandi. Magari anche con un pizzico di spensieratezza di chi dice "l'importante è salvarsi, tutto il resto appartiene alla sfera dei sogni, ma da che mondo e mondo il pallone è rotondo, noi siamo undici come loro e le porte sono grandi uguale. Dalla loro hanno la tecnica e le qualità dei singoli, ma nulla che si possa arginare con cuore e polmoni, accompagnati dal dodicesimo uomo in campo, quello che era lì sempre e tu lo sapevi". E i biancorossi erano proprio lo specchio di questa filosofia. In serie A avevano già da tempo dimostrato di trovarsi proprio bene, di poterne fare una sorta di habitat naturale e dar fastidio ai "piani alti". Perché quella formazione della scritta "ingresso vietato ai non addetti" non ne voleva davvero sapere nulla: correvano come se si stessero giocando un posto in Europa, forse per orgoglio personale, per il gruppo o semplicemente perché sentire cantare quei tifosi, quel popolo di trascinatori, scatenava davvero un effetto particolare. Barreto, Almiron, Raggi, Ghezzal. Per alcuni quattro semplici giocatori ex Bari, per altri una sorta di formuletta magica, una combinazione memorabile che oggi sà di lama diretta dritta al cuore per tutti i tifosi biancorossi, una lama che fa male più delle altre ma una lama cercata, voluta, un autogol. Perché i ricordi si sa, possono far male, ma spesso si tende a cercarli, per dimostrare che non è sempre stato tutto così nero, per vedere la luce in fondo al tunnel e farne un punto di partenza. Sono un'illusione di chi vuole, anche per un attimo, scappare dalla buia e travolgente realtà. Ma non divaghiamo più di quanto abbiamo già fatto. Quarta giornata della serie A edizione 2010-2011, lo stadio San Paolo quella sera era palcoscenico della sfida che vedeva protagonisti il Napoli di Mazzarri, quello poi di Cavani e Lavezzi, e il vispo Bari di Ventura, forte della conferma di bomber Barreto e della presenza di ottimi giocatori tra cui Gillet e appunto, Almiron. Minuto 12, a proposito di bomber. Il Bari passa in vantaggio con il gol del solito Barreto ma più che il gol ciò  che veramente rese celebre quel momento fu il seguito, l'esultanza. In prossimità della bandierina del corner, un trenino composto dai quattro giocatori biancorossi sopra elencati che sembra voler lasciare intendere che dai tempi del magico Bari di Protti e Tovalieri è cambiato ben poco, una vera e propria marcia di vittoria, al di là che poi di tempo per cambiare i giochi il Napoli ne aveva tantissimo. E infatti quella partita terminò con un pareggio (2-2) nonostante un palo e qualche buona occasione degli uomini di Ventura. Quel Bari, in seguito ad una interminabile sfilza di sconfitte, vide anche il cambio del suo regista, del burattinaio che faceva girare la squadre. Il cambio di allenatore non bastò però a sfuggire al terribile destino che coincideva con un inevitabile retrocessione. Il Bari era ora in B, ma quell'esultanza è ancora oggi la più bella e dolorosa illusione della storia recente del Bari.

L'inizio della fine. 
Lo so, troppo tragico per essere vero. Eppure è così. La teoria del piano inclinato sbaglia pochissimo e la parabola discendente dei galletti ebbe inizio proprio così. Le annate successive alla retrocessione, a causa di numerose carenze finanziarie e diverse incertezze all'interno dell'ambiente societario, che era diventato in quel periodo una sorta di "patata bollente", il Bari si vide costretto a cedere i suoi migliori interpreti, alla ricerca di economiche scommesse che poi non avrebbero condotto la squadra a nessun risultato concreto. Credo che se qualcuno fosse andato da un tifoso barese qualsiasi e gli avrebbe preannunciato questa disastrosa situazione, si sarebbe sentito dare del pazzo incosciente, magari in termini un attimino più diretti e senza giri di parole. E se questo tizio molto coraggioso avrebbe preannunciato anche da lì a poco un impronosticabile fallimento societario, beh, allora o hai davvero la palla di vetro oppure sei proprio un bel provocatore. Le cose andarono proprio così: nel marzo del 2014 viene annunciato un clamoroso fallimento dell'Associazione Sportiva Bari le cui sorti vennero temporaneamente affidate a due curatori fallimentari. E ora? Se Troisi avesse avuto l'occasione di commentare un epilogo del genere avrebbe detto che a volte purtroppo occorre ripartire davvero da zero e non da tre. Perché ora si deve ripartire veramente dalle macerie, dai cocci di un vaso che sembra non voler tornare più come prima. Ma alcune storie, o meglio, alcune favole insegnano che a volte sono queste situazioni quelle di cui far tesoro per ripartire. E infatti così fu: innanzitutto ebbe inizio una vera e propria campagna promozionale di vip, ultras e gente comune (perché non ditemi che gli ultras sono gente comune) per far acquistare "la Bari". Dei veri e propri slogan, diventati ormai virali quanto i messaggi di pace, quelli che si vedono i televisione. E infatti perché quello slogan finisse in televisione ci mancava veramente ben poco. Un movimento popolare che dai social alle manifestazioni in piazza, dagli striscioni dei tifosi ai cartoncini della gente che probabilmente della Bari aveva solo sentito parlare, abbracciò e toccò tutti gli appassionati di calcio e non solo. E quella campagna non fu destinata a rimanere tale, ma nel maggio del 2014, in seguito a due vane aste, si tradusse in vittoria. Gianluca Paparesta, ex arbitro ed allora opinionista di Mediaset, rileva il Bari per una cifra attorno ai 5 milioni. Ma quella stagione movimentata non terminò lì, anzi. Spesso dal fallimento al trionfo basta davvero un niente:l a cavalcata trionfale del Bari ebbe inizio ad aprile con il disperato intento di non scivolare in Lega Pro e terminò a fine giugno, in un Latina-Bari in cui i galletti vennero immeritatamente eliminati dai play off per l'accesso in Serie A. Una cosa è certa: quell'anno tra lotta salvezza, eventuale fallimento e lotta play-off i tifosi biancorossi non si sono di certo annoiati. Le stagioni successive videro un Bari, insieme ad altre poche squadre, favorito sulle altre, per via di un'eccellente campagna acquisti nella sessione estiva. Nonostante ciò, i piazzamenti non furono quelli sperati con la formazione pugliese che lottò seriamente per un posto in serie A solo nella stagione 2015-2016 terminata anche in questo caso con una sconfitta ai play-off contro il Trapani di Cosmi. Ma veniamo ad oggi

Età contemporanea. Sarò breve e conciso (tanto per fare pendant con il resto del testo) e lo farò principalmente per due motivi. Innanzitutto dopo aver rivissuto con un flashback i momenti in cui davvero si stava bene, non sono mentalmente nè sentimentalmente preparato per trattare nello specifico un evento così terribile, che tra l'altro si conosce già bene. La seconda è che non voglio sottrarre molto tempo e spazio all'ultima sezione, quella speranzosa, che poi dà il titolo all'articolo. Un discreto Bari nella stagione 2017-2018 piazzatosi sesto riesce a qualificarsi ancora una volta ai play off, eliminato poi immeritatamente dal Cittadella. I tifosi biancorossi non hanno neanche il tempo di trovare consolazione dopo un'altra, l'ennesima delusione che li costringeva per l'ennesimo anno al fatidico destino di restare in serie B. Proprio come in una corsa in cui il traguardo sembra vicino ma in realtà non lo si raggiunge mai, e ogni corsa dopo diventa un vero e proprio miraggio. che poi serie B, magari... La notizia che fa scalpore al termine del campionato purtroppo è un'altra. A causa di un "dissesto finanziario" al quale, come penso si sia intuito, non ho mai voluto interessarmi nello specifico, il Bari deve ripartire dalla serie D. La sentenza è cruciale e perentoria ma allo stesso tempo inaspettata. La società viene quasi messa all'asta come un vaso greco e alla fine a spuntarla è il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, che tra l'altro ha la meglio sul rivale Lotito. E ora?

E ora si riparte da qui. Ecco la risposta. Che non è la mia, ma quella di un popolo intero che ancora una volta sembra voler trascinare la squadra più di prima. L'impressione dopo il fallimento è che più che le macerie o i cocci di un vaso bisognerebbe assemblare tra di loro dei granelli di sabbia, degli atomi. Poi casualmente ti passa alla mente la favola intitolata Parma, che dopo un fallimento disastroso quanto il tuo, ripartendo da zero e da meno di zero, ora si trova dove si trova. E allora dici "perché non anche noi?" e ti poni un ulteriore quesito: quanto senso avrebbe avuto continuare a cullarsi e a macinarsi nella serie cadetta, costruendo ogni anno una squadra da serie A e puntualmente gettando la spugna alla fine del percorso? E poi ancora: non è meglio invece ripartire due serie sotto ma con un progetto serio e soprattutto una convinzione fortemente maggiore, quella di chi sa che trovandosi più indietro rispetto agli altri, deve correre di più per ottenere i risultati? La mia risposta è sì, ripartiamo da qui, facciamo tesoro di questa esperienza e dimostriamo che davvero non tutti i mali vengono per nuocere e non tutti i fallimenti vengono per distruggere. Quindi rimboccarsi le maniche e correre, correre, correre. Come una macchina guasta, come dopo un infortunio, come il Parma. "Eh si belle parole, ma chi me lo fa fare?" Chi te lo fa fare? Loro. Quei supereroi che vivono in simbiosi con il seggiolino dello stadio, ma che allo stesso tempo sono disposti a saltarci sopra per un gol, un gol sbagliato, una decisione arbitrale che scatena dubbi. Quell'insieme di macchie biancorosse, quel popolo di sbandieratori e incitatori, da molti definiti come vandali, violenti e teppisti, ma animati da una passione, una fede comune. Il punto di partenza, la certezza è proprio questa. E' una, me ne rendo conto, ma fosse poco... e allora quando ti sbucci un ginocchio per un tackle in cui sai che il pallone non lo prenderai mai, nel momento in cui dopo un 0-3 a fine primo tempo vai negli spogliatoi e con orgoglio inciti la squadra pur sapendo che serve un miracolo, quando te ne vai per ultimo dal campo di allenamento ma sai anche che cinque minuti in più di corsa non fanno la differenza o quando corri dietro a un pallone destinato ad uscire manco avessi perso il pullman, e ti chiedi perché stai facendo tutto questo, beh alza lo sguardo e gira la testa verso la curva. Tanto loro nel bene e nel male ci sono sempre. E non meritano tutto questo.