"QUANDO PENSIONAI I PANTALONI CORTI! "  
"No...no...non è niente...non devi preoccuparti Massimo!!...è una semplice storta!!..smettila di piangere!!  Un bell'impacco di chiara d'uovo ben caldo sopra...una sonora dormita...ed il tuo piede domattina sarà come prima!!". Questa fu la diagnosi di zia Zefferina, chiamata d'urgenza dopo la mia caduta, era una ex crocerossina al tempo della guerra ed ora in pensione con suo marito quì tra le verdi colline del Lago Trasimeno.                                                       Ma la notte fu un inferno, il dolore aumentava di ora in ora, mamma al mio fianco mi preparò un decotto a base di camomilla e di cicorè, una specie di tisana estratta dalle erbe medicamentose frutto della certosina paziente ricerca di uno sperduto eremo dei frati Camaldolesi sconfinato tra le alture delle Alpi Marittime, forse riuscii a dormire un paio di ore, alle prime luci del mattino ci svegliò la lattaia con quella sua enorme caraffa in alluminio e versava nella bottiglia di vetro che nonna Beppa lasciava tutte le mattine all'interno dell'androne del portone...io come sentivo quel tintinnio provocato dal coperchio della caraffa alla sua chiusura dove erano inchiavardati i vari bricchi e bricchetti metrici per la mescita, mi precipitavo a bere quel latte fresco di mucca ancora tiepido... me lo versavo in una ciotola di ceramica marrone... lo bevevo tutto d'un sorso per poi leccarmi i due enormi baffi bianchi e cremosi che inevitabilmente si formavano...mentre nonna si divertiva a strapazzarmi i capelli!!...Mi abbracciava dandomi un piattino con una fetta di torcolo (un dolce locale tipo torta margherita ma più rustico) che amava preparare con le uova fresche delle sue galline e con la farina macinata e frutto della mietitura del grano di una vicina aia il cui contadino proprietario invitava tutti gli anni mio nonno Virgilio alla festa della mietitura compensando il suo operato con chilogrammi di farina o pane da prelevare con un librettino, ormai finito nei banchi dell'usato, presso il fornaio del paese, da una certa Signora Ita che apponeva la sua firma con data ad ogni prelievo riconsegnando il librettino a mio nonno che festante con quella filetta di pane fresco si affrettava a portarlo in cucina dove l'avrebbe inzuppato in quella....favolosa crema lattea!!
Nonna Beppa impastava il tutto con le sue mani e non si contava settimana che non vedesse sfornati un paio di quei torcoli fragranti e delizosi e rigorosamente cotti con il forno a legna annicchiato in un un angolo dello stanzone - cucina vicino alla stufa, anche in piena estate....il sapore ed il profumo che ammaliava tutta la Via del Mercato... era semplicemnte ...paradisiaco!!  Per mia nonna Beppa la cucina, o meglio il cucinare, quello di una volta era una passione, un gusto, un'arte...e ci metteva tutta sè stessa!!  E fu lei quella mattina, essendo io nell'impossibilità di muovermi, a portarmi quella tazza di latte appena munto anche perchè mia madre era crollata esausta al mio fianco verso l'alba, dopo avermi vegliato per tutta la notte.
Erano gli ultimi giorni di un mite Settembre, al primo di Ottobre avrei iniziato a frequentare la mia nuova Scuola Superiore, l'Istituto Tecnico Industriale Giuseppe Armellini. Quell'ultimo sabato di Settembre sarebbe arrivato papà Renato con la sua nuova 600 per riportarci dall'Umbria a Roma. Correva l'anno 1963, l'anno dell'uccisione del Presidente John Kennedy, l'anno della scomparsa del Papa buono Giovanni XXIII, l'anno della prima donna lanciata nello spazio dall'Unione Sovietica con la Vostok 6 l'astronauta Valentina Tereskova, l'anno dell'esplosione musicale dei Beatles, l'anno della rivoluzione della moda femminile con l'avvento della minigonna, l'anno della moda dei capelli lunghi per i maschietti con il triste calo degli introiti nelle barberie avvezze dal dopoguerra a fare tagli con sfumatura a forbice molto alta, o in alternativa il classico taglio di capelli alla Umberta.   Era quello, il 1963, l'anno in cui lo scrivente avrebbe dovuto pensionare i suoi pantaloni corti ed indossare finalmente quelli lunghi...meglio tardi che mai!!...del resto avevo da poco compiuto 15 anni ed i miei genitori mi avevano promesso il primo paio di pantaloni lunghi soltanto nel primo giorno in cui avessi messo piede alle scuole superiori. Ma a causa di quel banale incidente, corsi dietro una pallina scappata dalle mani di un bimbo in una ripida discesa ed io al fine di evitare che finisse in un tombino fessurato accelerai il passo ma la suola in cuoio del mocassino slittò sulla pietra serena del marciapiede resa viscida da un precedente rovescio di pioggia, non mi concesse purtroppo il privilegio di oltrepassare l'atrio della nuova scuola in stile liberty situata nello storico rione Prati con la peluria sulle gambe, ormai consistente, celata da un bel pantalone lungo di soffice velluto a coste. 

Altro che chiara d'uovo...genialata quanto inefficace panacea da maga fattucchiera!! ...intonammo un coro d'imprecazioni dirette a zia Zefferina che, venuta a saperlo, si barricò in casa, ovviamente con l'innocente marito, e con tanto di viveri ed acqua sopravvissero e furono rivisti in circolazione alla salsicciata pubblica e gratuita nella piazza del paese nel giorno della Befana dell'anno seguente!  Il medico del paese Dott. Clodoveo, chiamato proprio mentre stava sopraggiungendo mio padre, nel vedere il mio piede destro gonfio come una damigiana sentenziò la quasi certa frattura del malleolo e parlando con papà gli consigliò di trasportarmi con cautela e quanto prima a Roma presso un istituto ortopedico per la radiografia e la relativa ingessatura. Il giorno appresso di buon mattino affrontammo il viaggio e papà usò la massima attenzione onde evitare nel tragitto buche e sobbalzi dolorosi al mio piede e per precauzione mi fece sedere sul pianale posteriore della 600 e dopo aver tolto il seggiolino di destra vi depose una cassetta vuota con sopra due cuscini dove per tutto il viaggio avrei poggiato la mia gamba distesa sopra. Passai la notte presso Villa Claudia, una clinica con struttura specializzata in ortopedia.  La radiografià sentenziò una frattura del malleolo.  Mi fecero un gesso a stivale e l'avrei dovuto tenere per un mese intero per poi passare alla lenta fase di riabilitazione fisioterapica.

In quel primo giorno di scuola dunque risultai assente, nella stessa mattina mentre i miei futuri compagni prendevano posto tra i banchi della 1^ C,  Massimo era in sala gessi dove mentre un operatore provvedeva a bendare con un amalgama tipo calce la sua gamba, lui da tifoso Diavolo, qual era ormai da tre anni dopo il tradimento alla Lupa, stava sfogliando le pagine della neonata rivista mensile rossonera Forza Milan, fondata proprio nel '63 e che vivrà purtroppo solo 55 anni e verrà chiusa, per aneurisma da lettura, nell'inverno del 2018.  All'uscita, sorretto da papà Renato, raggiungemmo la bottega di un calzolaio che provvide all'applicazione  di un sopralzo in sughero alla scarpa sinistra e così conciato, stivale gessato bianco candido alla gamba destra, pantalone corto, ancora estivo di cotone blu scuro, quello lungo di velluto nuovo e promesso non poteva, a detta di mia madre, essere profanato da una scucitura per far entrare la gamba ingessata.  E così fino al ponte di Ognissanti, e cioè esattamente un mese dopo, con quella muta a dir poco fantozziana vissi il mio primo mese alle scuole superiori. Mi presentai in aula con 24h. di ritardo, venni accompagnato dal preside dell'Istituto che giustificò la mia assenza del giorno precedente ma la visione di quello stivale di gesso era abbastanza eloquente soprattutto data dal fatto che oltre al gesso ero l'unico tra i 22 maschietti ad indossare ancora i pantaloni corti.  A breve mi resi conto di costituire assieme ad un certo Giorgio Lacchè, ambedue seduti nei banchi della prima fila, i due secchioni della mitica 1^ C!!
La mia nuova scuola era molto distante da casa. Nel 1963 abitavamo nel quartiere San Paolo mentre la sede storica dell'Armellini era in una traversa di Viale Angelico dietro San Pietro per chi non conoscesse Roma (ironia della sorte proprio in quell'anno venne ultimata la nuova sede dell'Istituto Armellini esattamente a 300mt da dove abitavo, ma non fu possibile e non capimmo mai il perchè nonostante il mio stato, ottenere il relativo trasferimento). E così per essere in aula alle 8.30 uscivo di casa alle 7.15 percorrevo circa 1 km a piedi superando la nuova sede dell'Armellini con tanto di spernacchiamenti, raggiungevo il capolinea del Bus N° 23 ( un vero Calvario con la gamba ingessata, specie con pioggia, e sempre con 5/6 Kg di libri stipati in una grossa cartella di pelle nera con manico, essendo gli zaini a quei tempi materiale riservato ai soli alpinisti ) situato proprio di fronte all'ingresso laterale della Basilica di San Paolo Fuori Le Mura per arrivare dopo un tragitto di circa 50' a scuola. La linea 23, tutt'ora con minime modifiche esistente, attraversava tutta Roma, dai mercati generali di Via Ostiense, alla Piramide Cestia, dalla Bocca della Verità all'Isola Sacra, e poi al LungoTevere costeggiante Trastevere e al passaggio di fronte al carcere di Regina Coeli e all'attraversamento del Tevere a Ponte Sisto, la visione di Castel Sant'Angelo, per poi immettersi in Via della Conciliazione con la maestosità mozzafiato del Cupolone di San Pietro, per poi passare sotto l'arco delle Mura Vaticane attraversare la commerciale Via Cola di Rienzo e scendere alla fermata di Via Fabio Massimo in prossimità delle caserme dell'Esercito e dei Carabinieri. Ancora 5 o 10 minuti e la campanella sarebbe suonata.  Giusto il tempo per entrare dal fornaio per comprare 100 £ire di pizza rossa per la merenda in classe. Dopo 6 ore da 50' dal lunedì al sabato con eccezione del venerdì dove avendo 2h. di laboratorio si usciva alle 14.20 e praticamente trovavo il piatto di spaghetti coperto a casa che mi aspettava, stile Alberto Sordi nel celebre film ma senza gatti nelle vicinanze, divoravo quel piatto per poi immediatamente coricarmi esausto nel mio letto... a volte la lancetta dell'orologio della cucina aveva superato le ore 16!!    Dunque una vita scolastica molto tosta ma l'Istituto nonostante i sacrifici mi piaceva. Lo staff dei professori era eccezionale. Se oggi riesco a scribacchiare e farmi capire lo debbo principalmente all'allora professore di Lettere Angelo Fabi, un vedovo attorno alla cinquantina che aveva chiesto il trasferimento da Ferrara, sua città natale, a Roma dove conobbe la sua ex moglie.  Ricordava tanto nei suoi modi l'atteggiamento e la vita di Giulio Perboni, il personaggio Deamicisiano che nel libro Cuore è il maestro della classe, anche lui un uomo solo ma pieno di dedizione e affetto.  Il suo metodo d'insegnamento era semplicemente "Sacchiano" se potessi usare un eufemismo di stampo calcistico...." Ragazzi!!...per I Promessi Sposi, la lezione di lunedì vi lascio da fare il florilegio dell'intero capitolo de...."  "...e che sarebbe 'sto florilegio...Professo'!!!" - chiede alzando il braccio dall'ultimo banco Garcea -  "....allora...si tratta semplicemente di ricopiare pedissequamente lo scritto del Manzoni..."  "...Ma a che serve...professo'!?!...ci maciulla la domenica!!"  "...Ragazzi!!..un giorno mi ringrazierete...non c'è scrittore che possa insegnarvi la costruzione della frase, le coniugazioni, l'intercalare dei periodi, l'uso della punteggiatura...come il grande Alessandro Manzoni!...ripetetelo sempre a voce alta...il suo stile si cementerà nella vostra mente e supererete gran parte dei problemi al momento di stendere un tema o fare il riassunto di un semplice accadimento!" Mai, almeno nel mio caso, considerazione ed insegnamento risultarono più profetiche!
Era il primo giorno di scuola successivo al ponte di Novembre che mi vide attraversare l'atrio con giardino in stile liberty dell'Armelllini, ero raggiante con il mio primo paio di pantaloni lunghi di morbido velluto a coste grigio scuro...e poi avevo tolto il gesso...mi sentivo un'altra persona anche se il mio incedere, dopo un mese di gamba immobilizzata risultava affaticato, ma finalmente riuscivo a sorridere e quella mattina alla prima ora fece l'appello la Professoressa d'Inglese che ripetè il mio nome due volte, essendo seduto al primo banco stentava a riconoscermi con tanto di calzoni lunghi e senza più il gesso. Ma fu quel primo pantalone lungo a darmi maggiore autostima e la piena consapevolezza di poter raggiungere un traguardo...e quella prima meta da conquistare era stata affissa in una locandina del lungo corridoio del primo piano dell'Istituto, al fianco delle aule ricevimento e professori che riportava la foto panoramica del Golfo di Napoli con le unità della nostra Marina Militare in rada con sotto scritta la dicitura: " Gita premio ai migliori studenti dell'Istituto Armellini in base alle valutazioni del 1° trimestre "  Firmato il Preside Romano Rodottà, al quale le scolaresche avevano affibbiato l'appellativo di "Palle secche" essendo una persona filiforme sempre con una enorme borsa in mano...che nei nostri pettegolezzi avrebbe contenuto un paio di sanpietrini per non farlo volare in caso di vento. Spronato da quella locandina e dalla lettura del secondo numero del mensile Forza Milan, riuscii ad essere tra i tre candidati prescelti rappresentativi della classe 1^ C a partecipare alla gita premio a Napoli per trascorrere una giornata a bordo di una nave da guerra.
Quella mattina durante la ricreazione, lo stesso Preside ormai noto anche all'anagrafe con lo pseudonimo di "Palle secche" ci fornì i biglietti da consegnare all'autista del pullman che la domenica successiva ci avrebbe atteso alle 7 in punto a Piazza Mazzini di fronte al Gran Bar Prati.  Ci congratulammo con il Preside il quale vedendo le nostre ritrosie al voler pronunciare il suo vero nome...ci disse scherzando: " Ragazzi!!..da oggi potete pure chiamarmi.... Signor Palle Secche!! "  Da quel giorno, dopo un nutrito e corale applauso volto all'apprezzamento del suo gesto, fu sempre da tutti chiamato Prof. Rodottà! Nel frattempo nel giardino dell'Istituto erano scese anche le ragazze, le studentesse del Liceo Scientifico facente parte della stessa struttura dell'edificio ma con un ingresso separato, vigeva ancora una incomprensibile legge del Littorio che vedeva maschi e femmine in istituti ed aule completamente separati.  Solo nella pausa ricreativa era ammesso un quarto d'ora di socializzazione...ed eccoli laggiù i " TeenAger" degli anni '60 con i primi mangiadischi a batteria ad intonare in coro uno dei primi successi dei Beatles...It won't Be Long!...con le prime minigonne...con i primi capelloni...con le prime ....indimenticabili cotte!!!....Ma questa è un'altra storia!!!
Un'altra storia da raccontare... dei mitici... favolosi ed irripetibili anni 60!!!

FINE PRIMA PUNTATA

Un caro abbraccio.
Massimo 48