Sanguineto è un piccolo caseggiato del comune di Tuoro sul Trasimeno, un paio di km a Ovest, il nome ricorda la strage dei Romani, operata da Annibale il Cartaginese con gli elefanti del suo esercito nel corso della II Guerra Punica, la cui battaglia, detta appunto del Trasimeno, vide la sconfitta dell'esercito romano agli ordini del Console Caio Flaminio e si svolse proprio attorno a questo luogo all'alba del 21 Giugno 217 a C.  Anche il torrentello che scorre nei pressi di Sanguineto ha lo stesso nome e come ci ha narrato lo storico Tito Livio vennero rinvenuti in quel territorio molti sepolcri a inumazione ed incenerimento, la cruenta tenzone costò ai Romani l'uccisione di oltre 15.000 soldati. Quel torrentello Sanguineto si getta poi nel Macerone ed insieme confluiscono nelle acque del Lago Trasimeno tinte di rosso in quel maledetto giorno.   Circa dieci secoli dopo esattamente nel 1238 il Pontefice Gregorio IX, lo stesso che beatificò San Francesco di Assisi, ordinò di edificare una chiesa nel luogo dove avvenne la battaglia e la dedicò a San Bartolomeo sottoponendola ai beni ecclesiastici giurisdizione dell'abbazia di Farneta insieme alla Pieve confini (l'attuale delimitazione tra le regioni Umbria e Toscana). Ma agli inizi del XIX secolo l'abbazia ebbe una regale impennata frutto della richiesta del canonico Don Gaspare del Bufalo, che per seguire l'estendersi dell'Istituto del Preziosissimo Sangue da lui fondato, aveva chiesto al Papa Pio VII " un semplice beneficio onde provvedere ai sostentamenti necessari per il nipote e la cognata gravemente ammalati". Ed il Papa gli concesse la parrocchia di San Bartolomeo di Sanguineto che allora aveva un appannaggio annuo, dovuto alle offerte dei fedeli, per lo più contadini, di ben 150 scudi. Don Gaspare morirà a soli 51 anni e verrà sepolto a Roma nella chiesa di Santa Maria al Trivio adiacente alla fontana di Trevi, sarà fatto Santo per opera di Papa Pio XII nel 1954. Questo ultimo atto ridonò prestigio alla chiesa di San Bartolomeo e a tutto il piccolo borgo e così i sanguinetani decisero negli anni '60, grazie al passaggio di mano dell'intera tenuta dal conte Ranieri alla famiglia Marioli, di restaurare la chiesa, rimasta chiusa per decenni, riaprirla al culto e festeggiarne il suo patrono San Bartolomeo ogni 24 Agosto con una grande festa contadina. Ma solo un mese e mezzo prima in quelle tenute stracolme di immensi filari di biondo grano alle pendici di Monte Gualandro fino a rasentare le sponde delle calme acque del lago, veniva realizzata la mietitura e la battitura con la Grande Festa del Grano... correva il Luglio del 1966.

La mietitura del grano era sicuramente l'evento più atteso e impegnativo dell'anno nel calendario rurale e per decenni nell'attività contadina ha rappresentato l'evento che coinvolgeva moltissime famiglie perchè era in largo uso lo scambio di manovalanza, in cambio delle prestazioni il fattore donava un peso corrispettivo di farina.  Alla mietitura partecipavano tutti, uomini, donne e bambini ed ognuno aveva una mansione ben precisa... le donne cuciniere, i bambini addetti alla preparazione del vettovagliamento di tutti i commensali all'ombra dei cascinali, gli uomini si spostavano, divisi per squadre, da un podere all'altro con i macchinisti delle moderne trebbiatrici, sempre solennemente di colore rosso, che avevano soppiantato da pochi anni il faticoso lavoro manuale con le falci e i carri trainati dai buoi facendo così risparmiare faticosi giorni di lavoro in più sotto il cocente sol leone. Verso mezzogiorno con i covoni del grano appena mietuto portati sull'aia e posizionati a forma di barca che nell'immaginario comune ricordava l'arca di Noè, erano messi in modo tale che, subito dopo pranzo, potessero essere facilmente imboccati nella gola del macchinario che nel suo movimento avrebbe poi diviso la paglia dalla pula ed in fine dal grano che veniva raccolto dopo il passaggio in un enorme imbuto in sacchi di iuta. Una volta pesati dal fattore assieme al vergaro, il sovrintendente alla mietitura, una parte veniva messa nella capanna del padrone e la rimanente portata nel sottotetto della casa colonica ed era la parte spettante al contadino che poi avrebbe provveduto a ripartire ai vari cooperatori. Quest'ultima operazione richiedeva forza e fatica ed era svolta dai giovani più robusti, ma io certamente non lo ero, felici di mostrare la prestanza fisica soprattutto alle ragazze impegnate a sistemare la pula... e fra di loro c'era Milvia con una gonna svolazzante arancione... una camicetta bianca... ed uno chignon bianco che le annodava ... i suoi capelli rossastri!!... Solo nel vederla si decuplicava la forza nelle mie esili braccia... quando le prime strimpellate note di una fisarmonica indicavano a tutti che era giunta l'ora del pranzo.  In nessun pranzo di nozze si mangiava e si godeva di quei sapori... di quei profumi e di quei colori tipici ed unici dell'aia delle colline umbre... tra vino rosso dei Colli del Trasimeno... fettucine casarecce al sugo d'oca... polli e conigli alla brace... tante verdure dell'orto....e tanto cocomero rosso della Val di Chiana, buccia verde scuro e fina, polpa rosso Ferrari e semi grossi nero carbone (razza di anguria estinta!)... e fresco di cantina, non di frigo... ne scaturiva un sapore divino!!... Come divina fu quella indimenticabile giornata e tutto il mese seguente tra passeggiate in bici, feste e sagre paesane nella settimana del Ferragosto, la raccolta in campagna tra i roveti delle more per farne marmellata e dopo i primi temporali settembrini la paziente ricerca in collina sotto fitti boschi dei primi funghi porcini. Il tempo volò ed arrivò l'ultima settimana di settembre e si decise, prima della riapertura delle scuole (Milvia frequentava il secondo anno del liceo linguistico a Perugia mentre io frequentavo il quarto anno del Tecnico Industriale a Roma), di fare una gita con il battello che ci avrebbe condotto da Punta Navaccia al pontile di Isola Maggiore per visitare oltre all'eremo frequentato in una quaresima dei primi anni del XIII sec. da San Francesco di Assisi, il Castello Guglielmi le cui guglie molto simili al Castello Miramare di Trieste dominano la spettacolare veduta contornata da verdi colline e dalla quiete rilassante del Lago Trasimeno.
Dopo 15 minuti di navigazione il battello Agilla attraccò al pontile di Isola Maggiore ed io e Milvia mano nella mano c'incamminammo assieme a tutte le persone sbarcate verso il Castello attraversando il pitttoresco borgo con le case in pietra dei pescatori per arrivare dopo circa un km alla sommità di una collina dove si erge il Castello Guglielmi. All'inizio  del XIX sec. per volere del  Papa Pio VII l'isola passò sotto la giurisdizione di Castiglion del Lago, ma pochi anni appresso con un plebiscito tutti gli isolani, allora circa 200 mentre ad oggi si contano soltanto 18 residenti, il territorio si annesse al comune di Tuoro sul Trasimeno, correva il 1875 e solo 12 anni dopo il marchese Giacinto Guglielmi di Civitavecchia acquistò la chiesa con annesso il Convento Francescano per trasformarlo in un castello privato che rimarrà di proprietà di quel casato fino al 1975.  Lungo la Via Guglielmi, l'arteria principale del Borgo tutta mattonata con storiche pietre rossastre si trovano due antiche chiesette in stile neo-barocco e proprio in mezzo si trova la sede de "Il Museo del Merletto", la cui storia si riconduce agli inizi del '900 quando la marchesa Elena Guglielmi, avendo del personale al suo servizio di origine irlandese, fondò con il loro primo contributo una scuola laboratorio di merletto a punto Irlanda, a tutt'oggi un tipo di ricamo molto ricercato dalle intenditrici.  E mentre le nostre mamme visitavano con molto interesse il Museo del Ricamo ed i nostri papà entravano nell'attiguo Museo della Pesca, Massimo e Milvia percorrevano il floreale viale d'ingresso che conduce all'atrio-chiosco del Castello Guglielmi.
Superati giardini e chiostro all'interno del Castello tutti i visitatori s'intrattennero sull'atrio e sui saloni d'ingresso per ammirare arazzi, armature, antichi quadri d'arte, ritratti di antenati, mentre Massimo e Milvia, sempre mano nella mano, salivano da soli l'imperiale scala che conduceva al salone delle feste ricco di stucchi, decori, volte affrescate e preziosi lampadari di murano... e mentre i nostri sguardi roteavano come in una giostra... d'improvviso si trovarono calamitati, l'un l'altro, fino ad avere una unica congiunzione... dagli occhi alle braccia... dalle mani alle gambe... in una manciata di secondi ci ritrovammo al centro di quello storico salone in un contorto, inesperto intreccio... quando... come nell'attimo in cui l'aereo in fase di atterraggio tocca terra...ecco!!...Le ruote del carrello toccare l'asfalto...come se lo baciasse...sgommare sulla pista...e tutti i passeggeri ad applaudire il pilota per la lieta conclusione...mentre le nostre labbra, al pari di quelle ruote sulla pista...si erano incollate con una sensazione paradisiaca...una mistura intraducibile di sapori, sensazioni e profumi...quando...un gelido refolo di vento tagliò le nostre guance avvinghiate ed accaldate...e quell'improvviso spiffero accompagnato da un doppio schiocchio dei palmi delle mani...ci raggelò: "...Behhh!!!....giovanotti...ma cosa state facendo?!?...ma non vi vergognate!?!...ma dove sono i vostri genitori!?!... Questo è un museo!!...E non una balera!!!...Per ora... fuori di qui... immediatamente!!!". Così tuonò il custode del Castello certo Sig. Villelmo un uomo anziano, claudicante, grassoccio, sulla settantina, semplicemente odioso!  Massimo e Milvia fuggirono dalla vergogna ognuno per i fatti propri... si ritrovarono alle 17.30 sul battello per la via del ritorno, ma nel loro animo, dopo aver incontrato lo sguardo dei genitori dal quale traspariva che il custode Villelmo avesse loro spifferato tutto e di più... li portò ad essere nelle stesse condizioni di Paolo e Francesca, i due amanti posti da Dante nel V Canto dell'Inferno tra i lussuriosi che trovarono la morte per mano di Gianciotto, l'orrendo sposo imposto con un raggiro all'innocente Francesca.
Ecco, Massimo e Milvia seduti per l'ultima volta insieme sulla poppa di quel battello nel ritorno di quella infausta gita settembrina che li vide, loro malgrado, vittime innocenti di un mondo non molto diverso, se pur sei secoli dopo, dagli ideali veri che legano l'innocenza e la purezza dell'amore in una giovanissima coppia. Nella vicenda dantesca Gianciotto compì un duplice omicidio cogliendo Paolo e Francesca in flagrante nel talamo nuziale, mentre il Sig. Villelmo nei panni di Gianciotto con quel rude rimbrotto lanciato nel salone delle feste del Castello Guglielmi ai due innamorati e alla successiva infame, pettegola traduzione dell'episodio ai genitori distrusse per sempre l'appena sbocciato ed innocente amore di due giovani armati di buone speranze per il proprio futuro.    
E la vita per ciascuno di noi proseguì, ma per Milvia purtroppo il destino fu ingeneroso privandola della propria vita a soli 55 anni a causa di un male incurabile. 
Ma io amo ricordarla con i suoi capelli rossastri al vento sul ponte di quel battello Agilla, tra le acque del Trasimeno, prima che arrivassimo al Castello Guglielmi, tomba dei nostri sentimenti. Ricordo con tanta nostalgia.... quella Festa del Grano... che ho avuto ultimamente occasione di rifrequentare... ma è completamente sparito tutto, dico tutto... anche il grano che ora viene importato...non so nemmeno da quale paese... e al posto di quegli ettari imbionditi ora ci hanno costruito tanti mini appartamenti... in attesa di villeggianti... e qualcuno ha ancora conservato la cartolina con la mietitura del grano... ma è roba da documentario... in bianco e nero... dell'Istituto Luce!!!

 

Un caro abbraccio.
Massimo 48