Quando si pronuncia questo nome ad ogni italiano vengono i brividi. Una catastrofe, una disfatta simile in Italia non era mai accaduta. Forse per molti versi è paragonabile solo all’ 8 settembre 1943, dove però, si verificò un vuoto di comando, per cui tutto l’Esercito sbandò sull’intera penisola. A Caporetto crollò la II armata, attestata proprio su quel paesino ora in Slovenia, ed in quei luoghi un soverchiante esercito tedesco affiancato da quello austriaco, impiegando una modernissima artiglieria e mezzi illeciti, come i gas, riuscì a sfondare il fronte italiano, facendo crollare ogni resistenza, anche dalle altre armate che dovettero ripiegare fino al fiume Piave dove fu possibile fermare l’avanzata tedesca, facendo arretrare il fronte di circa 120 Km. E lasciando una buona parte del Friuli, invaso e occupato dalle truppe Tedesche.
Si cercherà di capire come e perché tutto questo avvenne, almeno nei suoi tratti principali.

Dal 17 al 31 agosto 1917 si svolse l’11° Battaglia dell’Isonzo in cui l’Esercito Italiano attaccò su un vasto fronte da Tolmino al Mar Adriatico, riuscendo a penetrare in territorio nemico per circa 12 km, sostanzialmente sull’altopiano della Bainsizza. Si trattava della avanzata più significativa ottenuta in una guerra di posizione come era stata fino a quel momento la I Guerra Mondiale.
Gli austriaci vacillarono su questo colpo e lo Stato Maggiore Austriaco si allarmò alquanto, temendo che, se gli Italiani avessero attaccato nuovamente dalle posizioni appena conquistate, il Regio Esercito avrebbe potuto conquistare Trieste, unico sbocco sul mare Adriatico  degli Austriaci; la loro capitolazione sarebbe  stata inevitabile e la guerra sarebbe finita.
Per scongiurare questo, gli Austriaci pensarono ad una controffensiva che respingesse più indietro la linea del fronte conquistata dal Regio Esercito con l’11° Battaglia dell’Isonzo. Lo Stato Maggiore Austriaco, ben consapevole delle condizioni in cui versava il suo esercito, stanco e mal nutrito, si rese ben presto conto di trovarsi nell’impossibilità di condurre una battaglia così impegnativa.
Convinti della necessità inderogabile di agire con un’azione mirata di carattere preventivo che richiedeva un esercito molto efficiente, si rivolsero ai loro alleati Tedeschi per avere gli aiuti necessari in quanto l’esercito austriaco era in pessime condizioni di morale, fisiche e di armamento, in scarsità di viveri, dopo quattro anni di guerra molto impegnativa e sanguinosa.
Il Capo di Stato Maggiore Austriaco, Generale Arz, dopo aver identificato il punto debole degli Italiani a Tolmino da cui scatenate l’offensiva, dove gli austriaci avevano conservato una testa di ponte sull’Isonzo, si rivolse ai Tedeschi affinché gli fornissero l’aiuto necessario consistente in sei divisioni tedesche con equipaggiamento pesante. Con quelle truppe si sarebbe scatenato l’inferno contro il Regio Esercito Italiano.
Inizialmente i tedeschi non furono entusiasti, ma ad un certo punto compresero che la caduta di un porto importante come Trieste poteva essere altamente destabilizzante anche per l’esercito tedesco, così come era capitato in Crimea (1853 – 56) con la caduta del Porto di Sebastopoli (9 settembre 1855) con conseguente ritirata e sconfitta delle truppe Russe.
A quel punto, con teutonica precisione, pianificarono lo spostamento delle truppe e degli armamenti in gran segreto in cui credettero solo loro, perché un’operazione di questo tipo inevitabilmente era destinata ad essere scoperta. Infatti lo Stato Maggiore Italiano venne a conoscenza delle intenzioni tedesche con largo anticipo, il che avrebbe dovuto permettere di adottare le contromisure necessarie a respingere l’attacco tedesco. Dopo il necessario assestamento e rafforzamento del fronte italiano, molti ufficiali affermavano presuntuosamente di essere prontissimi a sbaragliare il nemico, che venisse pure.
Il solo Comandante della II armata, Gen, Luigi Capello, disattese gli ordini del Generale Cadorna e non predispose le artiglierie ed i reparti in posizione di difesa anziché di attacco, prevedendo a breve una ripresa dell’avanzata sulla Bainsizza.
In quel caso l’errore di Cadorna fu quello di non verificare o far verificare che i suoi ordini fossero stati eseguiti. O meglio, quando lo fece era troppo tardi senza più riuscire ad incidere sensibilmente sulla situazione. E proprio la II Armata fu il punto debole italiano che si disgregò di fronte all’attacco Tedesco.
Con precisione teutonica, la notte del 24 ottobre 1917 alle ore 2,00 le artiglierie tedesche aprirono il fuoco con proiettili caricati a gas ed altri dispositivi di diffusione del gas venefico: una terribile miscela a base di cloro – fosgene, letale all’istante. Il bombardamento durò fino alle 4,00 circa.
Questo tiro, prevalentemente di gas, non era diretto alla prima linea, bensì alle retrovie, contro le artiglierie, i comandi, i centralini telefonici, i magazzini, gli accampamenti delle riserve, le strade.
Alle 6, verso l’alba, incominciò il bombardamento a granate esplosive sulla prima linea, molto concentrato e di breve durata, per sorprendere i comandi italiani che si aspettavano un bombardamento piu lungo.

Questi due bombardamenti combinati ebbero più effetti contemporaneamente.
In primo luogo inflissero un gran numero di perdite fra il Regio Esercito. Con il primo bombardamento a gas si ridusse praticamente al silenzio l’artiglieria italiana non tanto e non solo per i danni diretti e le perdite fra gli artiglieri, ma perché tutto l’apparato di comunicazione fu gravemente danneggiato. Così Badoglio, da cui dipendeva l’artiglieria italiana, non potè dare l’ordine di aprire il fuoco: l’lstruzione di Badoglio era di sparare solo su suo ordine diretto, dalla sua viva voce. Poi, per fortuna, qualcuno fece fuoco lo stesso, vista la situazione. Oltre a ciò gran parte delle truppe di riserva caddero vittime del gas nel sonno.
Le forze in campo presentavano, in teoria, una superiorità numerica italiana, ma le divisioni italiane non erano a ranghi completi in quando non erano state rimpiazzate le perite dovute ai combattimenti dell’offensiva della Bainsizza. Inoltre le truppe tedesche possedevano armamenti enormemente più efficienti di quelli Italiani, anche a prescindere dal gas.
Ecco dunque che, dopo una prima reazione da parte italiana, dato il soverchiante numero di combattenti tedeschi, le zone del fronte in prima linea cedettero, cadendo una dopo l’altra, ed i Tedeschi velocissimi si infiltrarono nelle brecce del fronte entrando nella vasta area di alta concentrazione bellica italiana, per effettuare azioni di sabotaggio e presentandosi all’improvviso davanti ai rifugi dei soldati del Regio Esercito anche distanti dal fronte, provocando la resa o lo sbandamento e la fuga dei reparti operativi.

Un fattore decisivo fu anche l’organizzazione a squadre dei Tedeschi attaccanti. L’organizzazione italiana era piramidale, tutto faceva capo a Cadorna e via via gli ordini si diramavano. I tedeschi agivano per obiettivi e assegnavano ciascuno di essi ad un ufficiale od ad un sottufficiale che comandava una squadra di uomini. Durante l’azione la squadra non riceveva ordini dai comandi, doveva semplicemente conquistare l’obiettivo assegnato autonomamente. Il comandante doveva realizzare l’obiettivo decidendo tattica e mezzi in base a quello che riscontrava sul campo e nient’altro contava. Questa era una tecnica che aumentava moltissimo la velocità d’azione e spesso sorprendeva la difesa, Ma èer fare questo era necessario un gran numero di ufficiali e sottufficiali  che nell’ esercito tedesco si potevano reperire facilmente essendo i soldati abituati a lavorare in squadre nelle fabbriche dove c’erano tanti capi squadra e capireparto o capi officina abituati a comandare e  farsi ubbidire, mentre gli italiani, prevalentemente contadini non avevano questa cultura.
I soldati, disorientati da ordini e contrordini e ripristini dell’ordine iniziale, che in qualche modo provenivano dai comandi, cedettero di schianto, abbandonando fucile ed elmetto per consegnarsi prigionieri o avviarsi a piedi “verso casa”, spaventati anche dalla vista dei commilitoni morti per il gas che, se agonizzanti, venivano “finiti” dai tedeschi a colpi sul capo di mazze ferrate. A causa di ciò, piccoli gruppi di tedeschi catturati, venivano passati immediatamente per le armi.

Quando l’esercitò da Caporetto si mosse verso il Veneto, e con esso tutto il fronte seguendo l’ordine di ritirata generale impartito da Cadorna il 29/10/1917, dopo poco tempo anche i civili si ritirarono, lasciando alle spalle il fuoco deli incendi di quei magazzini che i soldati italiani in fuga trovavano colmi di viveri, di quei viveri che al fronte scarseggiavano, allora depredarono e bruciarono tutto, furono bruciati anche i raccolti, il bestiame e tutto quanto poteva servire al nemico.
Si misero in movimento centinaia di carri con tutti i beni della famiglia che trasportavano, intasando le strade; sopra quei carri c’erano, donne, bambini, anziani e qualche raro uomo non arruolato; sommando il traffico civile a quello militare la velocità di avanzamento della fiumana di militari e profughi rallentò moltissimo.
Il primo ordine fu di attestarsi sul tagliamento, ma Cadorna  valutò insostenibile tenere quella quella posizione, quindi il giorno dopo l’ordine del Generale fu di arrivare fino al Piave e resistere lì ad ogni costo.
La tragedia successiva si verificò all’attraversamento del Tagliamento, i ponti sul fiume dovevano essere fatti saltare per rallentare l’avanzata del nemico e gli artificieri non ebbero il tempo di aspettare che i ponti fossero sgombri di uomini e cose. All’ora stabilita le mine brillarono, e con essi la gente (soldati e civili) che ancora stava transitando. Non solo, ma i più fortunati erano passati, gli altri erano rimasti isolati nel Friuli prima dei ponti in balia dei Tedeschi.
In un primo momento Cadorna accusò i soldati di codardia e, come ci racconta Ernest Hemingway in “Addio alle armi” non pochi furono gli ufficiali fermati lungo il tragitto della ritirata, da una squadra di Gendarmi e, dopo un processo sommario, fucilati sul posto.
Ben altre furono le cause di Caporetto, ben altre furono le perdite causate dagli attacchi frontali delle 11 Battaglie dell’Isonzo, per guadagnare, nel migliore dei casi pochi metri di terra di nessuno, tranne l’11° Battaglia dell’Isonzo che aveva spaventato gli Austriaci perché l’esercito di Cadorna aveva avanzato di 12 Km. sulla Bainsizza. La tecnica degli attacchi fontali era stata messa a punto nella pianura delle Fiandre, non poteva funzionare tra i nostri monti.

Dopo Caporetto Cadorna aveva le idee chiare sulle responsabilità del disastro, secondo lui: accusò di viltà i soldati della II armata che preferirono arrendersi o disertare prima di combattere come era loro dovere anche a prezzo della vita; se la prese con il Governo Italiano che non gli aveva mandato i rimpiazzi delle perdite sulla Bainsizza. Purtroppo quel comunicato, seppur censurato dal Governo Italiano che lo fece ritirare, fu lasciato trapelare all’estero, dando una brutta nomea al popolo italiano: quella dei vigliacchi che scappano di fronte al nemico.
Cadorna predispose le difese sul Piave, dove gli Italiani ressero la posizione e i Tedeschi non spinsero più di tanto, avendo artiglierie, ed atri preziose riserve ed armamenti sulla linea del vecchio fronte.
Da quel momento la guerra si trasformò: si combatteva per difendere le proprie case, bisognava riconquistare il Suolo della Patria perduto, difendere le donne che nel frattempo urlavano di terrore.
Il 6/11/2017 si tenne a Rapallo una conferenza tra i vertici Italiano e degli Stranieri alleati, che chiesero la destituzione di Cadorna da sostituirsi con Diaz.
Il nuovo Capo di Stato Maggiore Gen. Diaz, fece cambiare le disposizioni sulla gestione dei soldati per trattarli più umanamente: migliorò il rancio, concesse più licenze e più riposo nelle licenze, fece organizzare svaghi ed intrattenimenti per i soldati, persino delle conferenze appropriate che descrivevano la situazione nel Friuli invaso, dove molte donne eran state violentate e di cui talvolta si sentivano le urla, cercando di risvegliare l’amor patrio e il senso di giustizia; si mobilitarono intellettuali per scrivere un giornale dei soldati, “La Tradotta”. In questo modo Diaz, trattando meglio i soldati, riuscì ad infondere autostima, coraggio ed il morale migliorò decisamente rendendo tutti pronti a combattere per difendere le proprie case e famiglie. Senza decimazioni, anche a molti sbandati fu ridato il fucile e l’elmetto ed accettarono di combattere nuovamente per la Patria, per riconquistare il Friuli e la pace per le donne del luogo. Con Diaz le cose cambiarono per come venivano trattati i soldati, con più rispetto, anche se con disciplina ed eventuale severità.
Durante L’inverno le truppe consolidarono le posizioni raggiunte nel poco tempo libero scrivevano alle famiglie le loro tribolazioni a Caporetto e nella frettolosa ritirata, senza svelare segreti militari. Sono lettere piene di sentimento, della nostalgia di casa, di pena per i compagni morti, ma era un modo mentalmente di stare in famiglia, scrivendo è un po' come dialogare con l’interlocutore, di rinverdire i ricordi di chi sentiva tanto la nostalgia di casa.
Caporetto aveva dunque avuto un risvolto positivo e passato l’inverno a Giugno del 2018 si ebbe la battaglia del Solstizio d’ Estate o la 2° battaglia del Piave. La battaglia fu un tentativo degli austriaci di effettuare una seconda Caporetto, penetrando direttamente in territorio Italiano per poter depredare tutti i viveri della zona di cui loro erano carenti. Furono nuovamente usati i gas, ma non ebbero effetto perché gli italiani poterono disporre delle moderne maschere antigas francesi. Tutti i settori dell’Esercito e della Marina Militare (che installò i propri cannoni su chiatte per spostarsi lungo i fiumi per non essere individuati), collaborarono riuscendo ad annientare numerose batterie di artiglieria austriaca prima che sparassero un colpo e l’azione dell’artiglieria italiana contribuì molto a rallentare l’avanzata Austriaca. Gli Arditi sgomberarono le teste di ponte sul Piave ributtando a fiume gli austriaci, senza fare prigionieri. Riscontrata la valorosa resistenza italiana, presto gli Austriaci ritornarono al di là del Piave da dove erano venuti, lasciando sul campo 150.000 tra morti e feriti contro le 90.000 perdite italiane. Quella battaglia fu l’inizio della fine per gli Austriaci piegati dal rinnovato ardore delle truppe italiane. Fine che arrivò pochi mesi dopo il 4 novembre 1918, di cui ricordiamo il proclama dell’armistizio firmato Diaz.

Cadorna, intanto, si era ritirato a vita privata. Sdegnato si chiuse in un ostinato silenzio nella sua casa di Pallanza, dove morì nel 1928 e fu sepolto in un mausoleo in riva al Lago Maggiore.
I 651.000 soldati deceduti prima di lui avranno assistito al giudizio celebratogli, portando ciascuno una copia del proclama del Generale dopo Caporetto.