Dopo parecchio tempo, e con molti giri per trovare storie di giocatori che hanno fatto la storia di qualche club, oggi vi porto ad una che ha davvero dell'incredibile, che forse lascerà senza parole anche chi non conosce affatto questo signore o chi forse sa che dietro quella privacy sulla sua vera identità riconosce chi è.
Ma andiamo a conoscere il 'Bombardiere' di Aosta.

Mi chiamo Ferdinando Brandani, sono nato ad Saint Pierre (Aosta) il 20 Maggio del 1922, eh sì, ho 101 anni, anche se per molti ne dimostro poco più di 80.
In quel di Aosta con mio padre Manfred, antiquario e mia madre Terzilia la la concierge, la portiera d'albergo. Cresciuto nel paesino di Saint Pierre all'epoca contava poco più di 1000 abitanti, la mia casa era a due passi dal Percorso Alpage Pesse. Ero il secondo di quattro figli, due maschi e due femmine. Da bambino con mio nonno Alessandro, andavamo spesso a fare delle belle e lunghissime passeggiate, a respirare l'aria ancora più pulita di quanto non fosse già quella del nostro paese.
Già da bambino conoscevo tre lingue; l'italiano, il francese e l'austriaco, e mi trovavo facile parlare anche con persone che venivano da fuori. Nelle lunghe passeggiate, mio nonno mi diceva spesso: "Nando, cosa vuoi far da grande? Non dirmi che vuoi seguire le orme di tuo padre, è un lavoro davvero palloso", io sorridevo e rispondevo: "Forse lo sciatore, forse il cpo treno, forse il cuoco, forse...il calciatore", ecco, l'ultima parola fece colpo su un passante "Cosa hai detto? Calciatore?", ed io: "Certo, cosa c'è di male?".
Questo signore era un milanese in vacanza, si sentiva dal forte accento lombardo, così mi disse "Ma almeno sai giocare al calcio?" e io risposi "No, ma posso imparare". Ecco che questo signore da un foglietto a mio nonno e gli dice: "Oggi è sabato, domani domenica e sono a godermi ancora questo splendore di posto, ma lunedì mi faccia una chiamata che vediamo se questo ragazzo può fare il calciatore".
Era un agosto del 1930 e tornando a casa mio nonno mi disse di far parlare lui, perchè sia mio padre sia mia madre erano persone un 'pochino' fredde, caratterialmente parlando, e così il nonno gli disse: "Vostro figlio può fare il calciatore?", mio padre rispose "Il calciatore? E che lavoro è?" e mia madre "E dove va a farlo sulle piste di sci?", così dopo avergli parlato, mia madre rispose: "No, mio figlio non lascerà mai così giovane il paese!".
Così arrivò il lunedì, e mio nonno mi disse "Non dire niente ne a mamma e ne a papà, ci penso io", entrammo in un Bar e schiarendosi la voce alzò la cornetta dandosi un'aria da nobil uomo "Pronto...E il signor...si sono il nonno di quel ragazzino valdostano...Ho capito...A Milano? Certo che ho una macchina....Per martedì prossimo alle 10 del mattino? Saremo lì...No gli scarpini non li ha...vanno bene le scarpe? Dice di no! Allora troveremo il modo di trovare questi scarpini....La ringrazio...Buona giornata a lei signore...".
Mio nonno ne sapeva sempre una più del diavolo, così decidemmo di andare per i piccoli borghi a cercare un paio di scarpini per giocare, anche se per la maggiore la cosa più sportiva che c'era erano gli sci, scarponi e cappelli, alla fine di campi di calcio non ve ne era l'ombra, altrimenti bisognava scendere ad Aosta che distava ben 30 chilometri. Alla fine trovammo un vecchio amico di mio nonno, uno che con la gomma ci sapeva fare, e riuscì a costruire un paio di scarpini, dall'odore improponibile quanto fosse forte quel materiale che aveva utilizzato. E ora la domanda era "Ma la macchina chi ce la dà?". Eh sì, mio nonno era uno che di burle ne diceva a bizzeffe, tanto che la macchina non solo non ce l'aveva mai avuta, ma nemmeno l'aveva mai guidata, quindi ci trovavamo capo a monte.
Così, e non so come fece, riuscì a farsi prestare l'auto dalla moglie di un suo amico defunto, inventando anche a lei di avere la patente da una vita, altrimenti non ci avrebbe pensato due minuti a dirgli di no.
Tutto era pronto, i miei genitori non avrebbero dovuto saper niente, e inventammo che andavamo ad Aosta a vedere una partita dell'Unione Sportiva Aosta, insieme ad un amico di nonno, che era complice, sotto lauto compenso, e che diceva soltanto "Sì è vero" ad ogni domanda che i miei gli facevano.
Così passò la settimana, e il lunedì sera ci accordammo per partire, dicendo che ci saremmo fermati a casa di un vecchio collega di nonno, che prima della pensione aveva lavorato per una ditta di costruzioni. L'auto era davvero di un valore importante, era una Fiat S76 Record, nuova di zecca, il marito l'aveva appena comprata a Torino, era uno di quelli che aveva i soldi a palate, quindi poteva permettersi quello ed altro, rossa fiammante, e toccava addirittura i 230 orari, anche se mio nonno se superava i 40 all'ora era davvero tanto.
Aosta-Milano che oggi ci vogliono poco più di 2 ore, la facemmo in 8 ore, anche perchè il nonno non capiva alcune cose di quell'auto, dicendo spesso "Ah...sì...questa si muove così...anzi no...così". Mi divertivano molto le sue improvvisate, anche perchè amava cantare le operette "Vuoi ballare, folleggiare, voglio al mondo urlar! mia sei la stella, la bella senza par!".

Arrivammo a Milano e incontrammo di nuovo questo signore "Allora com'è andato il viaggio? Spero bene" e mio nonno "Tutto a gonfie vele", guardandomi con lo sguardo di chi aveva fatto un viaggio interminabile e molto difficile da rifare al solo pensiero. Guardando la nostra auto disse "Signore non pensavo potesse avere un'auto di così grossa importanza, nemmeno il mio presidente ha un'auto del genere. Ma lei che lavoro faceva?", mio nonno era pronto a spararne un'altra delle sue, ma non immaginavo arrivasse a tanto: "Sono stato figlio di un ricchissimo americano, il presidente degli Stati Uniti d'America, che mise incinta mia madre e poi scappò, ma dopo tanti anni in punto di morte mi fece testamento di una parte della sua eredità". Io intanto mi ero voltato con la mano su gli occhi a pensare che questa era davvero una burla troppo difficile da credere, ma quel signore abboccò come un pesce all'amo.
Arrivammo fuori dallo stadio, e questo signore che intanto si era presentato come Dottor...Ragionier...Ugolino del Monte, appena scesi disse "Benvenuti alla casa dell'AS Ambrosiana", che oggi tutti conosciamo con il nome di Inter. I colori sociali erano gli stessi di oggi, il nero e l'azzurro fuso nelle linee verticali con l'aggiunta di un colletto bianco. Ad accoglierci venne presidente Oreste Simonotti, che disse "Ma chi è il calciatore? Lei è un po' troppo grande per giocare... E questo bambino?", allora sorridendo mio nonno rispose "Ho già dato signore, sono qui a fargli conoscere mio nipote Nando, che vuole fare il calciatore". Ecco che così dopo averci spiegato c'era soltanto la prima squadra e che per l'età che avevo ero troppo giovane, però mi fece mettere una X su un foglio, dove c'era scritto così;

Ferdinando Brandani nato a Saint Pierre, giocherà con la maglia dell'Unione Sportiva Aosta per i prossimi 6 anni, per poi tornare all'As Ambrosiana, la squadra che farà di lui un campione.

Mi strinse la mano e mi disse: "Allora ci vediamo tra qualche anno, mi raccomando fa che gli altri parlino di te sempre in positivo".
Ecco quindi che ripartimmo per Aosta prima, dove conobbi il presidente del tempo e che mi fece allenare ogni giorno con la prima squadra, certo avevano un occhi di riguardo nel non farmi male, o dare calcioni come se ne davano tra di loro. Passai i primi cinque anni ad allenarmi ogni giorno, nonno era bravo ad inventare cose, così che ogni settimana, domenica compresa, scendevamo ad Aosta per gli allenamenti, che lui seguiva con attenzione con il suo immancabile sigarone, per poi goderci la partita domenicale quando la squadra giocava in casa.
Nel 1937 mi arrivò a casa una lettera da parte con su scritto:

"Signor Ferdinando Brandani, non ci siamo dimenticati di lei. Volevamo dirle che l'aspettimo a Milano per la prossima settimana. Spero che non abbia trovato un'altra squadra, perchè quel foglietto dove ha messo la X, l'abbiamo ancora qui. Che fa ci raggiunge? Distinti saluti AS Ambrosiana-Inter".

Stavolta partimmo per Milano accompagnati da mio padre, che si era convinto a farmi fare questo provino anche se di calcio non ci capiva nulla, ma la squadra la conosceva dai giornali che al mattino leggeva, quindi era un'occasione da non perdere. Mio padre si era comprato dopo anni di sacrifici una bella Balilla, che gli costò non meno di 20 mila Lire, nera luccicante, e guai a chi sporcava, e il nonno aveva il divieto di accendervi il sigaro dentro.
Arrivammo a Milano, e grazie ad alcune persone del posto riuscimmo a presentarci la domenica alla partita. Era un Ambrosiana Inter-Torino e Meazza siglò la vittoria nerazzurra. A fine gara conoscemmo il presidente, perchè in quel tempo venne cambiato, quindi si presentò Ferdinando Pozzani come nuovo presidente "Allora, il ragazzo è pronto a farci vedere che giocatore è diventato?", io risposi con un cenno del capo.
Così appena due giorni dopo mi presentai all'allenamento, che dir trovarsi a due passi da Giuseppe Meazza faceva davvero venire la pelle d'oca, un campione in campo e fuori, era uno che dava consigli anche fosse uno di quelli che non vedeva mai il campo. Così mi disse "Nando facciamo due tiri in porta?", come avrei potuto rifiutare tale invito? "Come tiri di classe o di potenza?", io risposi "A me piace tirare di potenza". In porta ci mise l'unico portiere del tempo, Giuseppe Peruchetti. E così mi spiegava io tiro così, e faceva partire dei tiri davvero importanti, che il portiere difficilmente riusciva ad intuire. Così presi il pallone, lo piazzai in terra, all'incirca da 20 metri, presi la rincorsa e caricai tutta la potenza che potevo avere nel mio sinistro, e ....Boom!!! La palla prese una velocità che Peruchetti rimase immobile, e Meazza mi disse "Nando ma hai un piede da Bombardiere!", e fu così che da quel giorno mi affibbiarono quel soprannome 'Bombardiere'.
Continuai ad allenarmi fino a fine stagione, nella quale la squadra si laureò campione. 

Ad inizio della stagione 1938-1939 entrò in squadra l'allenatore Tony Cargnelli, decise che non potevo far parte di quel gruppo, e così venni proposto a piccole società dalle quali la società prendeva altri calciatori, quindi spedito al Mestre in Serie C, dove mi proposero il ruolo di attaccante riserva del titolarissimo Alfredo Giunge, che accettai di buon grado.
Nel frattempo mi ero alzato, passai dall'1,40 a l'1,70 nel giro di due anni. All'inizio nel Mestre giocai pochissimo, ma poi mi ritagliai il mio piccolo spazio, e riuscii anche a fare una decina di reti stagionali, la prima contro l'Ampelea con un tiro da fuori area che portò alla vittoria. La squadra del Mestre non era di alto livello nella categoria e a fine stagione ci salvammo con soli 5 punti sopra la Pro Gorizia.
L'anno successivo restai e trovai più spazio, feci vedere ai tifosi del Mestre quel 'Bombardiere' cosa era capace di fare, segnai 4 reti in una gara tutte su punizione, alla quale il portiere non riuscì nemmeno a sfiorarla, e la squadra si piazzò clamorosamente seconda nel Girone A. Sul finire della stagione però fui costretto a fermarmi per un grave infortunio e per l'arrivo della Guerra, che però non fermò il calcio.

Mentre ero intento a tornare in campo, passai dal Mestre al Crema dove rimasi per ben 4 anni, riuscendo a segnare con grande frequenza arrivando a 16 reti stagionali, di cui una bella doppietta al Monza, uno di rovesciata e uno di testa, anche piccolino com'ero riuscivo a sguizzare in area di rigore e tuffarmi di testa.
La stagione finì con un settimo posto.
Nel 1945 dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il mio amico fraterno Artemide, anch'esso giocatore, mi propose di andare a giocare in Brasile. Era parecchio distante, ma la voglia di sperimentare altri tipi di calcio mi invogliava, e così decisi di accettare.
Passai al Canto do Orio che in italiano significava Angolo del Fiume, e mi trovai benissimo, giocavo titolare, lì si correva poco erano tutti tecnici e con delle movenze che in Italia se le sognavano di notte. Io ero lo sgusciante attaccante italiano, perchè per la maggiore mi chiamavano 'Pequeno caraì', cioè il 'Piccoletto' oppure 'Garoto italiano' cioè 'Ragazzino Italiano'.
Mi fermai in Brasile due stagioni entrambe con la casacca del Canto do Rio, era tutto un'altro mondo, la povertà era davvero di casa, ma vedevo tanta gente sorridente anche quando non avevano nemmeno il pane in tavola per mangiare.
Nel 1947 arrivò un'altro passaggio, dal campionato brasiliano a quello USA al Philadelphia Americans nel quale conquistai il mio primo storico scudetto da calciatore trovando anche lì un soprannome 'Spearhead' la 'Punta di Diamante'. A quello scudetto, vennero poi aggiunti altri sei dal 1948 al 1953 conquistando per ben quattro volte il titolo di miglior giocatore del torneo. Ma non avevo in mente di cambiare ancora. Arrivò l'offerta dal campionato scozzerse degli Heart of Midlothian F.C. comunemente chiamati Herts e basta. Giocai nel campionato scozzese, tosto e molto ruvido, ricordo che non uscivo dal campo se non avevo lividi da qualche parte. In quel campionato presi tante di quelle botte, che mi trovai nel giro di due mesi a dover superare un gravissimo infortunio, la rottura del menisco. Così venni operato a Glasgow e il dottore mi rimise in piedi nel giro di poco più di tre mesi, e potei tornare in campo come nulla fosse. Non riuscii però a trovare tanto spazio, per questo alla fine della stagione misi a segno soltanto 4 reti.
Decisi di lasciare gli Hearts e passare nella Premier League di Malta. Chi ha detto che i primi italiani a giocare in Malta sono dopo il 2000? Io lo feci nel 1956 all'età di 34 anni suonati, che all'epoca erano da appendere al chiodo gli scarpini, ma non per me.
L'esperienza in terra maltese fu la prima per un giocatore italiano. Passai al Sliema Wanderers, del quale dopo una piccola staffetta presi le redini dell'attacco e portai la squadra al suo secondo titolo nazionale di seguito. Restai per due stagioni portando il mio bottino di reti a quota 40. Nel 1959, mentre ero nella preparazione in una corsa la gamba sinistra mi cedette e caddi in terra tra i dolori lancinanti. Mi portarono di corsa in ospedale, e la notizia fu delle più pesanti, avrei dovuto subire un nuovo intervento al menisco e il rischio era quello di non poter più camminare qualora avessi deciso di tornare in campo, così appesi gli scarpini al chiodo e mi ritirai.

Nella mia carriera ventennale in quasi 600 partite misi a segno più di 160 reti. Dopo il ritiro restai nello Sliema come preparatore degli attaccanti, poi mi dedicai al formarmi una famiglia, proprio a Malta incontrai una ragazza italiana, Adriana, con la quale mi sono formato una famiglia, e dalla nostra unione sono nati due figli Cleto e Alessandro, il secondo con il nome di mio nonno.
Dopo l'addio al calcio mi dedicai a divenire una guida turistica per tutte le persone che venivano a Malta, sì perchè per più di 40 anni poi rimasi là. Al pensionamento sentii il richiamo della mia terra natia e tornai a Saint Pierre dove oggi risiedo in pianta stabile. E dove vorresti andare a 101 anni suonati? Ancora guido la mia macchina, e vado a passeggiare per il Percorso Alpage Pesse sotto braccio a mia moglie di 10 anni meno di me e ci respiriamo l'aria più buona del Mondo.

Non mi resta che ringraziare Ferdinado Brandani per il suo racconto.
E che dire? Bè, uno che ricevette il suo primo soprannome da uno dei giocatori più rappresentativi della storia del calcio italiano, nonché detentore del nome dello stadio di Milano, come Giuseppe Meazza... tanto di cappello e che la vita gli sia sempre serena.