Oggi vi porto a conoscere una storia, che solo grazie al figlio di questo giocatore sono riuscito a scoprire, perchè sarebbe rimasta nascosta nel tempo e forse nessuno ne avrebbe mai saputo nulla. Quindi ringrazio fin da subito Amedeo che mi ha raccontato la storia di suo papà (come sempre il nome è di fantasia per privacy): Alberto Noste.

Mio padre Alberto Noste, nasce a Roma il 20 Ottobre del 1919, da padre e madre contadini; Azelio e Marta. Fin dai suoi primi anni di vita si vede subito che non è un bambino 'normale', perchè all'età di sei anni è già alto 150 centimetri, soprannominato dai suoi compagni di scuola 'il gigante', fin dall'età di 10 anni sogna di giocare al calcio, ma i miei nonni erano contrari, perchè volevano un figlio studente e non un sognatore. Però mio nonno Azelio che consegnava la frutta per gran parte della zona Testaccio, un giorno accompagnato proprio da mio padre si trovò in casa di un noto calciatore della Fortitudo Roma, che propose a mio nonno di far entrare mio padre nelle fila della squadra giovanile, credendo che fosse un quattordicenne, ma quando venne a sapere la sua vera età, quindi sei anni, rimase senza parole. Quindi gli disse che quando il ragazzo avesse avuto un'età compresa tra i 13 e i 14 anni, di presentarsi al centro sportivo per fargli fare un provino. Gli anni passarono, e mio padre cresceva, e forse troppo, all'età di 10 anni era arrivato ad 180 centimetri, mentre a 14 anni era 210 centimetri. All'epoca il 'gigantismo' era poco noto, soprattutto perchè a Roma di gente simile non c'era davvero traccia. La sua mano era enorme, e io poi ne posso parlare da quando ricordo. Così a quattordici anni, mio nonno lo portò al Campo Testaccio, dove la squadra romana Fortidudo nel frattempo era divenuta la AS Roma. Quando varcarono il cancello, davanti ad un dirigente sbalordito che disse "Ma chi è questo gigante?". Mio padre era timido, era come si dice a Roma 'Grande-Grosso e Giuggiolone', quindi uno che metteva timore a vederlo e poi era un pezzo di pane quando parlava. Così mio padre disse "Mi manda Nando!" (sempre nome di fantasia), che poco dopo uscì dal campo "Finalmente! Ma quanto sei cresciuto... Ma questo mastodontico!". Ora vi dico, da un primo documento refertato:
Età: 14 anni
Altezza 210 centimetri
Peso: 100 kg
Piede: 46
Mio nonno si divertiva a sentire lo stupore dei medici che lo visitavano mio padre: "Ma davvero hai 14 anni?", "Ma che lo avete annaffiato giorno e notte?", "Io credevo che i giganti esistevano solo nelle favole". Dopo le visite, uno dei dirigenti disse: "Ma a questo per fargli un vestito serve un tendone da circo!" e via giù le risate. Mio padre non diceva una parola, anzi restava spesso a testa bassa, in silenzio. Pochi giorni dopo si presentò al campo per il suo primo allenamento e venne messo in porta porta, grosso com'era non poteva certo giocare in altri ruoli, non aveva fiato a sufficienza per correre lunghe distanze. Ecco che in poco tempo divenne per tutti 'Albertone', anche se per dirla tutta era 'Albertone, il gigante che gioca a pallone'. Era uno slogan più che un soprannome. La gente si faceva le foto, con questo ragazzo sconosciuto, soltanto perchè trovarsi davanti un gigante simile non era da tutti i giorni. Da come raccontava mio nonno, mio padre era davvero impressionante anche a vederlo fermo davanti la porta con le braccia distese superava la traversa, e che dire del suo giocare, aveva in poco più di un'ora stregato tutti. Ma l'età non gli permetteva di essere iscritto, doveva avere almeno 15 anni, così dopo un'estate passata ad allenarsi con la AS Roma maggiore, venne lasciato al volere di mio nonno; prima la terza media e poi il calcio. Ecco che dopo aver raggiunto la promozione l'anno seguente, mio padre decise di entrare in una società di calcio a due passi da casa. La Piccola Roma, una squadra che non aveva società, ma che nel suo allenatore conosciuto al vecchio calcio, riusciva per la maggiore a fare delle amichevoli con le squadre di Roma,  che contava anche la AS Roma che era stata fondata pochi anni prima. Mio padre mi raccontò che si trovò a indossare una divisa da portiere che gli stava stretta e corta, mi disse che sembrava incelofanato come se avesse qualcosa che gli stringesse le braccia all'interno, e che nel corso di una gara per parare quando distese le braccia la maglia si divise a metà, tanto grosso com'era. Posso dire che l'ho cercata in lungo e largo, ma di questa squadra se ne sono perse le tracce dal tempo. Così la Piccola Roma per due anni fu la squadra di mio padre, a detta di mio nonno, parava l'impossibile e quando usciva su i piedi dell'avversario, quest'ultimo per paura del contatto si spostava. Quella squadretta e lo stupore di vedere senza spendere una Lira quel mastodontico portiere portava tanti testaccini la domenica a vedere le partite e addirittura c'era chi lo osannava. Ma se da una parte era molto contento, dall'altra il suo corpo lo portava a crescere ancora di più, a soli 16 anni era 220 centimetri per 140 chilogrammi. Al tempo i guanti non si utilizzavano, anche pechè certamente non ne avrebbe trovati di quella misura, nonno mi disse che con una sua mano prendeva il cranio di una persona, quando grande fosse, e non solo perchè era pure abbastanza erta, alta. Grazie ad un medico molto in voga in quegli anni, mio padre riuscì a fare una cura che gli ridussero la crescita, annullandola all'età di 18 anni, quando aveva raggiunto i 225 centimetri per 150 chilogrammi. Molti penseranno che era troppo grosso fisicamente, macché era una massa di muscoli, tirava su le persone con la sola forza di un braccio.
Nel frattempo continuava a portare gente in ogni gare, anche fuori casa, era l'attrazione di tutti, che non gli facevano mancare il loro applauso quando parava. All'età di 20 anni però decise di smettere di botto, aveva anche offerte importanti, che gli avrebbero fruttato un buon stipedio, ma si era innamorato di una ragazza, che poi sarebbe stata mia madre, che deteneva una scuderia di cavalli, e così decise che avrebbe lavorato nella scuderia di famiglia, nella quale entrò definitivamente pochi mesi dopo, quando convolarono a nozze. Mio padre era restio a parlare del calcio, forse perchè per lui fu una infatuazione e niente più, e spesso gli ricordava quel periodo che si sentiva più un'attrazione che un portiere di calcio, quindi per questo le notizie le avevo spesso e solo da mio nonno. Divenne in breve tempo un conoscitore di cavalli, e io lo ricordo da quel momento, sapeva dove dovevano essere portati, quale erbe mangiare, come curarli, alla fine si era talmente appassionato, che consegui prima il diploma per poi laurearsi in Podologia. Ebbe quattro figli, di cui il primo sono io Amedeo nel 1940, poi Furio 1941, Antonietta 1943, e a chiudere Brigida 1944. Non venne chiamato alle armi nella Seconda Guerra Mondiale per i suoi problemi alle ossa, che lo portavano spesso a stare male. E' stato un padre esemplare, che faceva conoscere tutto del mondo dei cavalli, faceva divertire tanti ragazzi e adulti nel poterli insegnare anche a domare, questo imparato da mia madre. Fino agli 80 anni ha lavorato, poi in un giorno come tanti si spense nel suo letto all'età di 82 anni. Cosa posso ricordare? Che ha sempre dato tutto per la famiglia e per le persone che gli volevano bene, ma guai a parlargli del suo passato nel calcio, non avrebbe che risposto "Chi io? Non ho mai giocato al calcio".

Beh che dire di 'Albertone il Gigante che gioca a pallone'? Che questa storia mancava davvero, immaginare che un ragazzo di 220 centimetri per 150 chilogrammi potesse ricoprire il ruolo di portiere farebbe paura anche agli attaccanti più grossi che esistono ancora in circolazione.
Non mi resta che ringraziare Amedeo che grazie ai racconti di nonno Azelio ci ha riportato a distanza di 102 anni dalla nascita del padre una perla di una carriera che poteva divenire importante, ma che poi il padre decise fosse buttata nel dimenticatoio.