Strano a dirsi. Se avessi dovuto scommettere sulle mie emozioni, avrei puntato tutto sul desiderio di rivalsa nei confronti di chi per tante, troppe volte, ci ha sbeffeggiato causa sette finali perse. Si sarebbe comunque trattato di vendetta minore, visto che in ballo non c’era la coppa dalle grandi orecchie, ma solo il portombrelli della UEFA. Ma sempre di vendetta, bene o male, si sarebbe trattato. Avrei immaginato un minimo di esultanza da parte mia, dovuta a sentimenti di meschina soddisfazione seguiti da qualche sapido messaggio da esibire sul mio profilo Facebook. Invece, nulla di tutto questo. Sorprendentemente, davanti alle immagini dei nerazzurri sconfitti e in lacrime, quello che ho provato è stata una sorta di strana malinconia, la voglia di essere al loro posto.

Perché? Dopo qualche ora, ho cercato le ragioni di questo mio strano stato d’animo e sono giunto a una conclusione: sono talmente orgoglioso delle mie sette finali perse, che ne avrei persa volentieri anche un’altra! Masochismo? Non proprio. La verità è che per perderla, una finale, bisogna raggiungerla. E il cammino è quasi sempre segnato da grandi conquiste, epiche vittorie, storici gol e tanta fierezza. Tutto un armamentario di gloria che – in una competizione a eliminazione diretta – ti porta alla fine del percorso, in cima alla vetta. Proprio così. Perché in cima si arriva in due, la finale decide solo chi dovrà ruzzolare a valle, con grande fragore e mille ferite. Ferite le cui cicatrici resteranno lì, a ricordare il percorso e la vetta, il panorama in comproprietà. L’adrenalina dell’attesa, quella bella sensazione di avere tutto il mondo calcistico che ti punta gli occhi addosso, che ti invidia, che vorrebbe essere lì al tuo posto; tutto questo ti regala una finale, al di là di come poi vada a finire.
Di fronte a chi si fa beffe delle tante finali perse della Juve all’ultimo respiro, rispondo sempre che “esserci sempre”, cioè essere sempre competitivi, vale molto più di una vittoria capitata per caso. Fino a ieri – in fondo – pensavo fosse solo buona retorica. Adesso sono convinto invece che si tratti di una grande verità.

Negli ultimi sei anni, per due volte abbiamo avuto la forza di arrivare in fondo, in tutti gli altri casi sono state sempre sconfitte di misura, contro grandi avversari che molto spesso hanno poi alzato la Champions. Solo quest’anno non siamo stati competitivi in Europa. E questo brucia davvero, molto più di sette finali perse.
La continuità nell’essere competitivi, tra l’altro, è un eccezionale anestetico delle emozioni negative. Ti eleva a uno stato di grazia che ridimensiona le sconfitte, ti evita lo sconforto e – in caso di successo – non toglie nulla al gusto della vittoria. Anzi, te la fa gustare appieno, senza isterismi e follie.

Per questo ieri sera avrei voluto perderla io. Per questo il prossimo anno spero di arrivare ancora una volta in fondo, e in fondo alla Coppa più importante. Se poi arrivasse l’ennesima sconfitta, rimarrebbe l’orgoglio di essere lì ancora una volta.
Se fosse invece la terza in bacheca, il sapore sarebbe sette volte più intenso.