Il calcio e così la sua massima rappresentazione, il mondiale, sono sogni che ci catturano fin da bambini e non ci abbandonano mai. Il calcio e´ una sorta di Ying e Yang dello sport, ci cattura a tal punto da farci gioire per un gol e piangere per un’eliminazione sfortunata. Uno sport meraviglioso che ci rende fratelli in ogni angolo del mondo. In alcuni angoli del globo per qualcuno e considerato una "benedizione", può aiutare le associazioni religiose o laiche a tenere i bambini o i ragazzi lontani da frequentazioni "pericolose" e così crescere in un gruppo rafforzando il carattere e il fisico.

In alcuni paesi, dove il calcio e´ comparabile ad una religione, come in Colombia, lo sport e appunto il calcio, sono non sempre vissuti come atto sportivo, ma utile ad altri fini. La criminalità, i Narcos o associazioni a delinquere affini, sfruttano i giocatori e le società calcistiche come mezzo per guadagnare e fare girare il i soldi col totonero e le scommesse.

Tutto ciò ci riporta al primo mondiale nord-americano della storia, giocato negli Stati Uniti d´America. Era il 1994 e´ questo evento scaldava l´animo di diverse nazioni che avevano cambiato da poco la loro storia dopo la fine della guerra fredda, come Russia, Germania e appunto USA che si vedevano su ogni fronte, trionfatori.

Gli americani, padroni di casa, motivati dal dimostrare di essere una squadra che può dire la sua anche in campo calcistico, ci tengono a fare bella figura. Gli USA capitano in un girone con la forte Romania di Hagi, che poi dimostrerà le proprie qualità arrendendosi solo ai quarti di finale contro il Brasile, la sempre tosta Svizzera e la Colombia del Coach Maturana, squadra che ha grandi potenzialità e qualità´. Appunto, la Colombia del Bomber del Bayern Monaco, Adolfo Valencia, squadra che per caratteristiche tecniche dovrebbe essere destinata alla leadership del gruppo, purtroppo tutto ciò non avvenne e successe ben altro.

Los Cafeteros, il nomignolo che viene utilizzato per descrivere la Colombia, si complicano da subito la vita perdendo 3 a 1 contro la Romania, vedendosi così obbligati a vincere le restanti due partite contro gli USA e la Svizzera.

La partita decisiva contro gli Stati Uniti si gioca il 22 giugno nella bolgia rovente di Los Angeles e vede protagonista nella sfortuna il difensore colombiano Andres Escobar...

Andrés Escobar Saldarriaga nasce il 13/03/1967 a Calasanz, quartiere nord-occidentale della città di Medellín. La città è tragicamente nota per l’alto tasso di omicidi collegati al narcotraffico, soprattutto fra gli anni 70 e 80: ciononostante, il piccolo Andrés cresce senza problemi conseguendo il diploma. Ma i libri di scuola non sono la sua vera passione: il ragazzo stravede solo per il football, e sogna con tutto il cuore di vestire nel suo futuro la maglia, del seppur in quel periodo non troppo brillante, Atletico Nacional de Medellin. Le Brillanti prestazioni con la formazione del quartiere gli valgono l’ingresso nelle giovanili del team cittadino, fino a debuttare tra i professionisti non ancora ventenne. La sua correttezza in campo e la sua sportività gli fanno ottenere il soprannome di El Caballero del Futbol (Il cavaliere del calcio): partita dopo partita, il numero 2 dell’Atlético Nacional si conquista la fiducia e l’affetto dei tifosi, emergendo come un terzino forte fisicamente ed efficace nei contrasti, una vera garanzia per René Higuita, la star portiere-goleador della squadra. Già nel 1988 Francisco Maturana, storico selezionatore colombiano, si accorge di lui e lo convoca in nazionale, ed il giovane Escobar lo ripaga della fiducia segnando la sua unica rete internazionale in un palcoscenico di lusso: lo stadio di Wembley, dove la Colombia affronta l’Inghilterra in una partita valida per la Stanley Rous Cup, mettendo il pallone alle spalle del mito Peter Shilton. Intanto, il Nacional è protagonista di una cavalcata trionfale nella Copa Libertadores del 1989, conclusasi con la vittoria ai calci di rigore contro l’Olimpia di Asunción. Nel dicembre dello stesso anno, solo una punizione di Chicco Evani al minuto 119 permette al Milan di sconfiggere gli ostici colombiani e di aggiudicarsi la Coppa Intercontinentale. Smaltita la delusione per questa sconfitta, Escobar accetta di trasferirsi in Europa, nello Young Boys di Berna. Ma la squadra della capitale elvetica non conferma i promettenti risultati delle precedenti stagioni, ed il difensore colombiano probabilmente non digerisce con facilità il freddo clima bernese. Nel giro di pochi mesi, torna nella natia Medellín, consacrandosi definitivamente come eroe dei tifosi. Con la squadra della sua città, dove concluderà la breve carriera, riesce ad aggiudicarsi anche il campionato nazionale nel 1991. Nel mezzo, l’esperienza dei Campionati del Mondo di Italia ’90, dove la Colombia viene eliminata agli ottavi di finali dai camerunesi di Roger Milla.

Leggendo questa storia, non si scorgono, tracce di una persona che possa in qualsiasi modo aver avuto "affari “o traffici di qualsiasi sorta con il mondo dei Narcos. Sembra la storia di un ragazzo innamorato dello sport "calcio": un uomo desideroso di dare tutto sé stesso per raggiungere la sua causa. Un uomo che amava il proprio paese e la propria città natale, nonostante i propri difetti. Eppure questo calciatore diventera´ il simbolo di tutt´altro.

torniamo al quel "maledetto" giugno americano, in campo si giocano l´onore della qualificazione agli ottavi di finale: I padroni di casa degli USA contro gli arcigni e imprevedibili colombiani. La partita venne giocata con grande equilibrio tra le parti fino a quando al minuto ´35 succede l’irreparabile. John Harkes, discreto centrocampista delle squadre allenata dal santone e giramondo Bora Milutinovic, crossa un pallone senza troppe pretese dalla sinistra verso l’area avversaria. Escobar cerca di anticipare gli attaccanti a stelle e strisce, ma la sua scivolata ha l’esito di spingere il pallone nella propria porta, spiazzando l’incolpevole portiere Oscar Córdoba. Il giocatore rimane incredulo e allibito, così la squadra che si vede subire poco dopo il 2 a 0 di Stewart. Valencia quasi al termine della partita riesce ad accorciare. Ma la partita finisce lì come la speranza di una qualificazione per i colombiani, che nell´ultimo round, seppur vittoriosi, arrivarono ultimi nel girone e dovettero tornare a casa.

Al suo rientro a Medellin, il ragazzo cerca in tutti i modi di scacciare quest’enorme macigno che gli grava sull’anima così la sera del 2 luglio decide di uscire a cena con la sua ragazza all’ Estadero Indio, uno dei migliori ristoranti della città. Lui e´ ancora un ragazzo giovane e pensa che per un autogol non ci si deve struggere in eterno e che la vita va vissuta e ci sarà sicuramente tempo per rifarsi. Questo e´ quanto lasciato intendere in un’intervista rilasciata al ritorno in patria. Molti ospiti del locale lo riconoscono subito, e qualche tifoso si avvicina per fargli capire come, nonostante il fattaccio di Los Angeles, lo storico numero 2 della nazionale sia rimasto un idolo per tutti. Andrés si gode la fantastica serata della sua città e la compagnia della sua ragazza, ma ad un certo punto si accorge di essere fissato in continuazione da tre uomini. La coppia si accinge piuttosto velocemente a mangiare, perché l’essere osservato così minacciosamente da sconosciuti lo ha reso nervoso. Appena si accingono ad uscire, uno dei tre loschi personaggi, l’ex guardia giurata Humberto Muñoz Castro, si avvicina al giocatore ed esplode dodici colpi di mitraglietta verso di lui, secondo la fidanzata urlando “Goooool!”, in pieno stile delle telecronache calcistiche sudamericane. Secondo altri testimoni, il killer urla invece “Grazie per l’autogol!” mentre fa fuoco. Escobar, massacrato dalle pallottole, spira poco più tardi in ospedale e, con l’aiuto degli innumerevoli testimoni, le forze dell’ordine risalgono in breve tempo all’assassino, per quanto inizialmente sembrava essere riuscito a dileguarsi. Dopo i fatti, molti altri giocatori colombiani vennero messi sotto stretta sorveglianza, riuscendo così ad evitare altri bagni di sangue. Al funerale partecipa una folla immensa (si racconta quasi 120.000 persone), fra cui il presidente della Repubblica colombiana César Gaviria Trujillo. Il paese assistette sbigottito e la migliore dichiarazione che riassunse lo spirito del tempo fu quella dall´allenatore della nazionale colombiana, Francisco Maturana, che dichiarò in un´intervista: “Questo paese e´ un manicomio permanente!”.

Questo fatto rimase scolpito negli animi di molti, non solo colombiani, perché´ se c´e´ qualcosa di cui non si dovrebbe morire: Quello e´ il gioco del calcio, uno sport che deve unire, non distruggere vite.

Io, con questo articolo, voglio ricordare Andres, un calciatore, ma soprattutto un giovane uomo, con tutta la vita davanti, che perse la vita per un vezzo di una banda criminale. Capace di comunicare solo con la violenza.

La notizia di pochi mesi fa: la giustizia colombiana dopo 24 anni e riuscita a trovare il mandante dell´assassinio: Lo sfortunato Andres, infatti, non ha alcun legame con l'allora re dei narcos Pablo Escobar, ma ha la sfortuna di aver fatto perdere un sacco di soldi al cartello della droga per una scommessa che si era rivelata sbagliata. L'auto sulla quale fuggirono i quattro uomini risultò di proprietà dei fratelli Pedro e Santiago Gallón Henao ma i due, secondo quanto raccontato anni fa dal pluriomicida John Jairo Velàsquez Vasquez al 'The Guardian', avevano incontrato un procuratore e gli avevano dato tre milioni di dollari per non indagare su di loro, imponendogli di spostare tutta l’attenzione su una guardia del corpo. Così vennero scagionati da ogni accusa e per l'omicidio venne arrestato Humberto Munoz, che confessò di aver sparato al difensore. Condannato a 43 anni di carcere, ne scontò undici, e nel 2005 tornò libero.

Concludendo, Andres Escobar si e´ rivelato solo lo sfortunato oggetto e simbolo di una vendetta dei Narcotrafficanti colombiani, un mezzo per far comprendere che con il cartello non si scherza. La loro forza mise in ginocchio per anni la Colombia, che tuttora ne paga il prezzo.

Nelle nostre speranze, si manifesta la volontà che un fatto del genere non accada piu´ e che tutto ciò si dà monito per migliorare un mondo sempre troppo violento e malato.