Negli anni la letteratura psicologica ha dimostrato che la scelta del partner non è casuale. Durante la nostra vita relazionale tendiamo ad accumulare ferite irrisolte, le quali andranno poi a modellare inconsciamente le nostre scelte future. Capita così che scegliamo di avere al nostro fianco delle persone che somigliano, sotto qualche aspetto, ad altre già incontrate in passato, seguendo uno schema che ha lo scopo di rivisitare e ricomporre le relazioni della nostra vita andate male. In pratica il nostro inconscio ricrea le condizioni per riprovarci. È come se si andasse alla ricerca infinita del primo amore, perso perché non si è stati in grado di curarlo. È psicologia, sembra una materia troppo differente e lontana dal calcio. Eppure, ciò che spesso dimentichiamo è che il calcio è fatto di uomini della nostra stessa natura, i quali oltre al fisico hanno una mente che funziona esattamente come quella di tutti gli altri esseri umani: ha la stessa forza e le stesse debolezze. A qualcuno questo cappello introduttivo potrà sembrare inutile, o forse farà pensare di essere dinanzi ad un vezzo narrativo nel quale si rispecchia l’ego spropositato dell’autore, potrebbe essere così ma non lo è.
Questo incipit è essenziale per spiegarci un acerbo amore primaverile: quello nato nel cuore di Sarri e rivolto ad Arthur Melo.
Arthur Melo, Jorge Luiz Frello (in arte Jorginho), rintracciamo un’assonanza anche nei soli nomi. Il comandante, di napoletana memoria, ha scelto inconsciamente il suo futuro partner: è brasiliano e gioca nel Barça. Il collegamento non è veloce, ma la tesi è questa: il ragazzo di Goiânia ha tante caratteristiche nelle quali il tecnico di Figline può ricordare l’amore Jorginho e creare le condizioni per riprovarci alla Juve. Prima di darmi del blasfemo, lasciatemi raccontare e premettere che i due calciatori sono diversi ma corrispondenti.  
Un brasiliano bianco è più europeo che sudamericano.
Jorge Luiz Frello è nato nel 1991 ad Imituba nello Stato di Santa Catarina. Arthur Melo, invece, nel 1996 a Goîana, capitale dello stato del Goiás che si trova nell’entroterra brasiliano, in una zona denominata Planalto Central. La prima correlazione tra i due è che entrambi non provengono da un calcio di strada pure essendo brasiliani. Il calciatore del Barcellona viene da una provincia bianca dove i ragazzini non giocano in strada ma, come in Occidente, sono portati alla scuola calcio, lui ci è entrato a 4 anni. Il centrocampista del Chesea, invece, si è trasferito in Italia quasi subito e a 6 anni giocava tra i pari età in provincia di Verona. 

Tale percorso li ha resi calciatori più europei che sudamericani e gli ha permesso di saltare uno step: ovvero l’adattamento al calcio del vecchio continente, che ha ritmi di gioco più intensi e spazi più ristretti. Il secondo richiamo è che sono arrivati in una big senza un passaggio mediano: Jorginho al Napoli, dal Verona in cui è cresciuto, Arthur al Barcellona dal Gremio. Certo, il naturalizzato italiano è cresciuto nel nostro Paese, quindi il vantaggio è maggiore. Però pensate ai centrali verdeoro che lo hanno compiuto questo salto negli ultimi anni. Sono davvero pochi. Fabinho, prima di arrivare al Liverpool, è passato per il Rio Ave e per il Monaco, Allan per l’Udinese, Casemiro dal Porto perché non era pronto per la prima squadra del Real e Fernandinho dallo Shakhtar.

Palla in banca
Sarà, poi, per un passato professionale in banca, tra le caratteristiche principali ricercate da Sarri nei suoi centrocampisti c’è quella di assicurare all’intera squadra un’appoggio sicuro. Almeno uno dei tre giocatori mediani delle sue squadre deve fungere da perno centrale, o calamita vera e propria. Gli azzurri guidati dal Comandante, e successivamente anche il Chelsea, prendevano porzioni di campo per dominarle avanzando attraverso passaggi corti, in attesa della verticalizzazione giusta che spesso arrivava dai piedi di Insigne. Il piano era sorretto da Jorginho, maestro d’orchestra. I partenopei si appoggiavano continuamente a lui, anche solo come stadio intermedio del gioco per allentare la pressione avversaria, grazie alla sua calma naturale nelle giocate che gli permetteva di eludere il primo pressing. Tale aspetto ha avuto una primaria importanza nell’esplosione di Arthur in Brasile al Gremio, capace di vincere nel 2017 la Copa Libertadores. Non a caso il suo debutto in quella manifestazione gli valse il premio di giocatore della partita, con 40 passaggi fatti senza neanche un errore.
Stiamo parlando di due calciatori che praticano un calcio più cerebrale che istintivo, un calcio fatto più di testa che di piedi, calcolato, finanziario, assicurativo.

Protezione e pulizia
Cedere la palla a Jorginho o Arthur vuol dire mettere il pallone in uno stato
protetto”. Altra corrispondenza. Tra le principali qualità di entrambi c’è la sensibilità nel controllo di palla che gli permette di orientare  le giocate per recuperare un tempo ed eludere l’aggressione. È un modo di giocare che prevede una spiccata visione preventiva, ovvero quell’abilità di analizzare la disposizione in campo dei compagni e degli avversari prima di toccare il pallone e successivamente indirizzarlo, mantenendo, al tempo stesso, saldamente la posizione nel caso di attacco.  Abilità, questa, poi sviluppata nel corso della gara intensificando la frequenza dei tocchi della sfera per pulirne la successiva traiettoria.

Ciò che manca alla Juve
Un elemento del genere è ciò che manca più di tutto a Sarri per sviluppare il suo ideale di gioco anche alla Juve, dove Pjanic, nato mezz’ala e con indole creativa, sembra non potersi evolvere in un normalizzatore. Potrebbe farlo Bentancur figlio di un calcio proattivo e posizionale, figura capace di adattarsi adeguatamente alle situazioni di gioco. Una Juve ancora troppo legata ad un sistema “allegriano”, ovvero una struttura che vive di talento, poco dogmatica, molto dinamica che in campo si palesa a fiammate imprevedibili, non continue. Un impianto che finito nelle mani dell’ex Comandante e inserito in un processo di trasformazione è finito spesso per depotenziarsi offensivamente, scoprendo la sua debolezza primaria, ovvero quello di essere poco incline alle transizioni difensive efficaci nel momento in cui il pallone è perso e i soli Matuidi e Bentancur vanno a recuperarlo in avanti. Ecco l’inconscio che ricrea le condizioni per riprovarci. La ricerca infinita del primo amore. La necessità di riavere un Jorginho, di reinventarsi un uruguaiano regista o di acquistarlo un regista. Qualcuno che renda la squadra capace di cucinare a fuoco lento e non alla flambé e sappia come posizionarsi per facilitare il recupero palla.

Arthur in bianconero
Allora, se il Barça vuole Pjanic è il momento giusto per chiedere Arthur e riprovarci, riprovare a vivere quell’amore fantastico vissuto sotto al Vesuvio, ci sono troppe corrispondenze a far pensare che questa volta andrà bene. Arthur sarà l’uomo della fluidità, della pulizia di gioco, della cara simmetria. Ramsey, o chi per lui, sarà finalmente libero di muoversi e avanzare anche da mezz’ala, aspetto fondamentale perché il gallese dà il meglio quando è più vicino all’area avversaria. Bentancur, anche se agirà più centralmente, non avrà tutto il peso difensivo sulle spalle e non sarà l’unico a doversi prendere la palla.
Arthur, proprio come Jorginho, è incline ad andare incontro al pallone, è serve come il pane ad una squadra che fatica tremendamente ad uscire dalla pressione avversaria. Inoltre, non essendo Pjanic, non cerca la giocata, non è luomo dellassist ma quello che viene prima, proprio come il centrocampista del Chelsea.
Jorginho prendeva palla dalla difesa sul punto Nord del cerchio di centrocampo, attendeva i movimenti dei compagni, cedeva su una mezz’ala, la mezz’ala cedeva su di lui che la poggiava a Insigne, quello dell’ultimo passaggio. Per ripetere questo schema in bianconero sostituiamo il naturalizzato italiano con Arthur e Insigne con Dybala o Douglas Costa, il gioco è fatto. È distribuzione della palla ragionata. È la spiegazione psicologica di questo amore primaverile.

Corrispondenze 
C’è chi cerca una partner sempre bionda e con gli occhi azzurri perché gli ricordi la ragazzina del liceo, e chi cerca un uomo che abbia le spalle grosse per reggere la pressione e sappia ragionare con la sfera tra i piedi.
Sono corrispondenze strettamente personali, richiami con profonde risonanze psicologiche, una profonda tessitura che rende il mondo di Sarri una totalità, come il suo gioco che per essere compiuto deve essere una sintesi perfetta di elementi a lui familiari: come una sinfonia, una visione mistica fatta di legami misteriosi: una ricerca infinita.

“E' un tempio la Natura ove viventi pilastri a volte confuse parole mandano fuori; la attraversa l'uomo tra foreste di simboli dagli occhi familiari. I profumi e i colori e i suoni si rispondono come echi lunghi che di lontano si confondono in unità profonda e tenebrosa, vasta come la notte ed il chiarore. Esistono profumi freschi come carni di bimbo, dolci come gli òboi, e verdi come praterie; e degli altri corrotti, ricchi e trionfanti, che hanno l'espansione propria alle infinite cose, come l'incenso, l'ambra, il muschio, il benzoino, e cantano dei sensi e dell'anima i lunghi rapimenti.”
Charles Baudelaire, Corrispondenze.