Oggi vi porto la storia di Árpád Weisz, giocatore prima e allenatore poi tra gli anni 1920 e il 1940, quando la vita lo porta a sopportare qualcosa d'indescrivibile, mai vista prima.

Árpád Weisz nasce il 16 Aprile 1896 a Solt, nella provincia di Bács-Kiskun, Ungheria meridionale. Figlio di ebrei, nel 1914 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza all'Università di Budapest, ma poco dopo deve lasciare per partecipare alla prima Guerra Mondiale e appena un anno dopo viene fatto prigioniero dalla truppe del Regno D'Italia e trasportato a Trapani. Venne poi rilasciato per tornare in patria al termine della guerra.
Arriva tardi nel calcio, nel 1919 a 23 anni, ala sinistra dalla grandissima velocità e molto tecnico.
La sua carriera inizia nel Torekves, una piccola squadra di Budapest, dove si mette in luce con ottime prestazioni, resta per 4 anni collezionando 86 presenze e 11 reti, con la squadra che si piazza tra il quarto e il quinto posto. trovando anche la convocazione in Nazionale ungherese in sei occasioni, senza mai scendere in campo. Nel 1923 passa al Maccabi Brno, squadra ebrea, nell'allora Cecoslovacchia dove trova una stella del calcio ungherese Ferec Hirzer, attaccante dal gol facile. Non trova però tanto spazio, così che nel 1924 passa all'Alessandria in Italia che partecipava alla Lega Nord nel Girone A, non prima di partecipare alle Olimpiadi di Parigi '24 dove l'Ungheria dopo aver superato la Polonia per 5-0, venne estromessa dal proprio dalla nazione stessa, governata da nazionalisti antisemiti, mentre la nazionale era incentrata su giocatori di religione ebraica, per questo venne costretta a perdere contro il modesto Egitto per 3-0 agli ottavi.
Arrivato in Italia, resta tra le fila dell'Alessandria per una stagione, 11 presenze e 3 reti, curiosamente segnate in una settimana, per passare all'Inter 1925-1926 con 11 presenze e 3 reti stagionali. Weisz, richiesto da Paolo Scheidler, tecnico dell'Inter, arriva all'apice della sua carrira, 30 anni, la sua forma fisica resta comunque tale, la velocità è la cosa che impressiona tutti, con la maglia nerazzurra fa registrare 11 presenze e 3 reti, ma la svolta della sua carriera è dietro l'angolo. In uno dei tanti allenamenti settimanali, Weisz s'infortunia gravemente scontrandosi con un compagno di squadra, dopo gli accertamenti, la notizia è tragica: non può più giocare al calcio. Questo porta ad un momento di sconforto generale, dove Weisz torna in Ungheria e comincia l'apprendistato d'allenatore, e viene richiamato in Italia, all'Alessandria, grata per la sua stagione in amaranto,  che gli offre un contratto da vice allenatore di Augusto Rangone, l'ex calciatore accetta. Nella stagione seguente, dpo aver preso il meglio dal tecnico dell'Alessandria, viene chiamato dall'Inter, stavolta da tecnico, anche se le due stagioni non sono ottime, un quinto posto stagione 1926-1927 e un settimo posto 1927-1928.

Nel frattempo, per il regime fascista in Italia, Arpad venne costretto a modificare il suo cognome in Visz, così come l'Inter che passò a chiamarsi Ambrosiana. Nella stagione 1929-1930, con il girone unico, vince lo scudetto a 34 anni, divenendo il più giovane straniero a vincerlo da allenatore in Italia. Weisz era un allenatore maniacale, seguiva passo passo gli allenamenti, e decideva tutto; dai carichi di lavoro, alle diete da seguire, e i ritiri da fare durante la settimana, oltre a visionare i giovani della Primavera, dove grazie al consiglio di Fulvio Bernardi, grndissimo attaccante del tempo, scoprì Giuseppe Meazza. La stagione 1930-1931 però si chiude con il quinto posto e la società gli da il benservito, così che Weisz si trasferisce al Bari, che riesce a portare alla salvezza a fine stagione nel massima serie. A fine stagione l'Inter lo richiama, in due anni porta ,la squadra a sfiorare lo scudetto piazzandosi al secondo posto, e arrivando anche in finale della Coppa D'Europa Centrale nel 1933 persa contro perdendo contro gli austriaci del FK Austria, poi divenuta Austria Vienna in futuro. Dopo il biennio all'Inter, dove nacquero i figli Roberto e Clara, passò prima al Novara in Serie B e poi al Bologna di Renato Dall'Ara a stagione in corso e la portò dal basso della classifica al sesto posto, l'anno successivo fece un record che spezzò il dominio Juve; con soli 14 giocatori, record assoluto, vinse il campionato 1935-1936, conquistando il suo secondo scudetto in Italia, e l'anno successivo, 1936-1937, conquista il suo terzo titolo nazionale e secondo consecutivo, aggiungendo in bacheca anche il Trofeo dell'Expo di Parigi, competizione internazionale, battendo il Chelsea per 4-1. Nel 1937-1938 non riuscì a ripetersi e il suo Bologna si piazzò al quinto posto.

Tutto però stava per cambiare... Auschwitz e la morte
Mentre Weisz era pronto a preparare la stagione successiva, galvanizzo dalle grandi imprese con il Bologna, ecco che le leggi raziali italiane, lo costringono a fuggire, prima si rifugia a Bardonecchia, poi a Parigi e infine a Dordrecht, nei Paesi Bassi, dove divenne l'allenatore della squadra voluto dall'allora presidente Karel Lotsy, per migliorare un calcio che era ancora a livello dilettantistico. Nel primo anno riuscì a salvare la squadra Dordrechtsche, nelle due stagioni successive divenne una specie di eroe, conquistando due quinti posti e riuscendo a battere le squadre più forti; Ajax e Feyenoord. Nel 1942 però l'aria cambiava, la Germania nazista aveva conquistato i Paesi Bassi, e gli ebrei furono costretti a portare una stella gialla sulle proprie giacche, Weisz fu costretto a lasciare il calcio, la società Dordrechtsche venne minacciata, e i suoi figli espulsi dalle scuole. La società però gli passava gli alimenti, quindi la famiglia di Weisz riuscì ad andare avanti, fino al giorno dell'arresto il 2 Agosto 1942 dalla Gestapo, era la polizia segreta della Germania naziasta. Portata tutta la famiglia nel campo di concentramento di Westbork, per poi, pochi giorni più tardi, in Polonia ad Auschwitz. La famiglia divisa, la moglie Elena i figli Roberto e Clara portati nelle camere a gas, mentre Arpad deportato a Cosel nei campi di lavoro forzati dell'Alta Slesia, dove rimase per 15 mesi, venne riportato ad Auschwitz, dove il 31 Gennaio 1944, a 47 anni, morì  in una camera a gas.