Narra la leggenda che il 15 giugno 1389, durante la battaglia della “piana dei merli” (“Kosovo Poljie”), con un sotterfugio, il nobile e scaltro cavaliere serbo Miloš Obilić, al servizio del principe Lazar Hrebeljanović, riuscì ad uccidere il sultano ottomano Murad I, il quale, alla guida di un numero non ben precisato di uomini (compreso comunque tra le 27000 e le 40000 unità) cercava di espandere la propria influenza politica nei balcani.
Il principe Lazar non sopravvisse e la battaglia si concluse senza vincitori né vinti, ma gli ottomani poterono successivamente, grazie ad ulteriori truppe che non avevano preso parte al sanguinoso evento, conquistare i principati serbi e trasformare i principi superstiti in vassalli del sultano.

Neanche Miloš sopravvisse, ma il suo martirio ne consacrò il mito tra la popolazione serba, tanto che (tra gli altri onori che gli furono tributati) nel 1924 sei giovani benestanti serbi (Milan Petrović, Boža Popović, Danilo "Dača" Anastasijević, Petar Daničić, Dragutin Volić, e Svetislav Bošnjaković) decisero di fondare e dedicare al nobile cavaliere un club calcistico.
Fu solo settanta anni dopo però, e a seguito di una lunga militanza nei campionati semi-professionistici jugoslavi, che l'Fk Obilić riuscì a raggiungere il suo primo traguardo: la finale di coppa della repubblica federale di Jugoslavia, persa per 4-0 contro la Stella Rossa nel 1995.
Con tutta probabilità, tristemente e parlando in assoluta franchezza, quella finale disputata sarebbe rimasta poco più che una comparsata nel calcio che conta, se il destino del club non si fosse intrecciato, di lì a poco, con quello di Željko Ražnatović, il mitico e glorioso (per alcuni) sanguinario criminale (per molti altri, si spera) comandante “Arkan”.

Željko, figlio di un ufficiale dell'aviazione jugoslava, nasce nel 1952 a Brežice in Slovenia, ma cresce a Belgrado. Ha fin da subito un'infanzia travagliata e turbolenta. A soli quattordici anni comincia la sua carriera criminale come borseggiatore, ma viene preso e condannato a passare un anno in riformatorio. Espiata la pena, il padre, nel tentativo di raddrizzarlo, lo spedisce a Kotor per farlo arruolare nella marina militare, ma il giovanotto ha altri piani. Scappa in Francia, dalla quale viene presto espulso per aver commesso una serie di furti con scasso. Trascorsi tre anni in detenzione nelle carceri jugoslave, nel 1972 esce nuovamente dai confini nazionali.

La sua carriera criminale migliora. Negli undici anni successivi mette a segno rapine a mano armata, furti e tentativi di omicidio quasi ovunque in Europa. Comincia in Belgio, poi continua in Olanda, Germania, Svezia, Austria, Italia e Svizzera. Diviene noto col soprannome di “Arkan”, le cui origini non sono chiare. Forse deriva da una delle false identità che era solito assumere, forse da “Air Commander”, un film di cui andava matto da bambino.
Ad ogni modo, viene catturato quattro volte. Quattro volte su quattro evade.
In considerazione di questi eventi, su di lui cominciano ad essere formulate numerose speculazioni, tra cui quella che faccia parte dell'UDBA, la polizia segreta jugoslava incaricata di perseguire i nemici e dissidenti dello stato, anche oltre confine (che “Arkan” goda di qualche forma di impunità e protezione diviene evidente nel 1983, quando, sospettato ancora una volta di una rapina a mano armata, questa volta commessa a Zagabria, fredda due poliziotti che si erano presentati a casa sua per arrestarlo, ma rimane in carcere per sole 48 ore). In seguito, sfruttando amicizie politiche e protezioni, diventa sempre più potente e temuto, assume il controllo di alcune attività commerciali a Belgrado, tra cui una pasticceria ed una discoteca, veste da uomo d'affari, viaggia in lungo e in largo per l'intera nazione, di casinò in casinò, a bordo di una Cadillac rosa. Dopo una partita a poker in un appartamento privato, per un futile motivo spacca a colpi di calcio di pistola il braccio di uno dei presenti. Niente in confronto a quanto ha già negativamente dimostrato di essere capace.

Nel 1989 Slobodan Milošević, che da qualche anno è arrivato al potere fomentando l'odio etnico e cavalcando il sentimento nazionalista serbo, gli affida il compito di indirizzare contro i tifosi croati, musulmani e albanesi, l'odio ed il sentimento di rivalsa delle frange maggiormente eversive e violente del tifo organizzato della Stella Rossa Belgrado. “Arkan” non si sottrae. Unisce sotto il suo controllo gli ultras di casa al Marakana, i “delije” (gli eroi). Li obbliga a seguire un codice comportamentale. Vieta loro alcool e droghe, li vuole rasati e sbarbati. Il 13 maggio 1990, durante la partita Dinamo Zagabria – Stella Rossa (poi divenuta famosa per il calcione rifilato da Boban ad un poliziotto federale) “Arkan” è alla guida dei suoi quando, sedili e coltelli alla mano, irrompono sul terreno di gioco al grido di < uccideremo Tudman, Zagabria è serba! >.
Di pari passo alla sua influenza sul tifo organizzato cresce il suo ascendente sui vertici societari della Crvena Zvezda. Comincia a viaggiare insieme alla squadra. Quando la Stella Rossa si aggiudica la coppa dei campioni, l'allora segretario generale del club, Vladimir Cvetković, dichiara, durante i festeggiamenti negli spogliatoi: < è fortunata la nazione ad avere voi, Milosevic e Arkan > (fonte: Vreme Magazine).

Nell'ottobre del 1990 forma la guardia volontaria serba e comincia a reclutarne i membri tra gli “eroi”. Li addestra prima alla guerriglia urbana, poi alla guerra. Sarà lui stesso a condurli in battaglia in Bosnia e Croazia e a capeggiarli quando commetteranno esecuzioni di massa, stupri, razzie e atti di pulizia etnica. Sono le sue “tigri”: in tutto 200, forse 500, al massimo 1000 o 2000 uomini, militìarmente preparatissimi e temutissimi. 

Finita la guerra, la popolazione ne esce certamente più povera, lui più ricco. Prende in moglie la bellissima popstar ventenne “Ceca” (al secolo Svetlana Veličković). Il matrimonio è un evento mediatico: la cerimonia dura un giorno intero e viene trasmessa in diretta televisiva dall'emittente “Pink Tv”. “Arkan” indossa l'uniforme usata dalle truppe serbe durante la prima guerra mondiale, poi veste tradizionali costumi serbo-montenegrini. È un connubio kitsch-nazionalista che sa di ostentata megalomania: gli si addice perfettamente.

Parallelamente non smette di coltivare la sua passione e il suo interesse per il calcio. Dopo aver tentato, senza fortuna, di ottenere la presidenza della Stella Rossa, decide di acquistare proprio l'Fk Obilić, la cui storia verosimilmente stuzzicava maggiormente il suo sentimento ultranazionalista. Anche il suo matrimonio calcistico si rivela felice. La squadra conquista immediatamente la promozione nella massima serie jugoslava.
Željko ottiene la licenza da allenatore, siede in panchina a fianco del ct. e dei suoi giocatori e solamente con la propria presenza spaventa gli avversari.
Le sue “tigri” riempiono l'organigramma societario, affollano gli spalti minacciose, spesso armate, e adottano i metodi intimidatori, non proprio ortodossi, del proprio comandante. Cominciano a circolare voci, storie e aneddoti. Non tutte troveranno conferma, più che per infondatezza, per omertà e per paura di ritorsioni. Si racconta che arbitri e giocatori avversari ricevessero regolarmente minacce di morte o gambizzazione (in una circostanza, Željko fa certamente irruzione negli spogliatoi per terrorizzare l'arbitro Zoran Arsić, il quale viene schiaffeggiato, percosso ed infine minacciato). Addirittura si avanza l'ipotesi che “Arkan” diffonda gas soporiferi negli spogliatoi della squadra ospite. In questi casi non c'è da scherzare, né da rischiare, lo sanno bene alla Stella Rossa, dove “Arkan” è stato potente ed ingombrante.
Quando la Crvena Zvezda deve affrontare in trasferta l'Obilić, i calciatori decidono di cambiarsi sul pullman e di non fare rientro negli spogliatoi a metà gara. Tuttavia, il clima di paura lo respirano anche i “cavalieri”. I giocatori della “tigre” sono sottoposti ad una rigidissima disciplina di matrice militare, così come vi erano state sottoposte le sue truppe pochi anni prima. Meglio non sgarrare, ma obbedirgli, per non andare incontro a pesanti punizioni (si afferma anche corporali). Al ritorno da una trasferta, insoddisfatto del risultato e della prestazione dei suoi, “Arkan” ordina al conducente di fermare il pullman e di scaricarli in mezzo alla strada, a trenta chilometri da Belgrado. Non c'è da scandalizzarsi, in fondo a tanti che in passato lo avevano provocato era andata decisamente peggio, no?
Nella stagione del debutto nella massima serie, comunque, a due giornate dal termine del campionato 19971998, l'Fk Obilić è in corsa per il titolo di campione di Jugoslavia. Sulla strada per il successo vi è l'ostacolo Fudbalski Klub Železnik, compagine in lotta per la retrocessione. Il suo presidente, Jusuf Bulić, conosciuto come “il turco”, famoso esponente della malavita belgradese e noto alle forze dell'ordine di mezza Europa, ha appena perso la vita. È stato assassinato a Novi Beograd (come lui, tra il 1995-1996, saranno uccisi altri 10 massimi dirigenti del calcio serbo-montenegrino).

Il figlio Dragan gli succede alla testa del club. Dragan conosce bene “Arkan”, poiché sotto di lui ha prestato servizio nella guardia volontaria serba, perciò non ha bisogno di essere minacciato per capire che è conveniente, soprattutto per la sua incolumità, che l'Obilić vinca la partita. Finisce 2-0 per i “cavalieri”, per decisione di Bulić stesso. Il miracolo antisportivo è quasi compiuto. L'impossibile si realizza la giornata successiva. La Stella Rossa cade proprio sul campo dello Železnik, il neopromosso debuttante Obilić pareggia col Proleter: è un altro match deciso a tavolino, ma il punticino significa scudetto e qualificazione in Champions League. È il punto di massimo splendore del club, ma una pagina vergognosa nella storia del calcio.

Anche la stagione successiva, quella 1998-1999, si apre sotto i migliori auspici. La squadra parte bene in campionato, mentre nelle competizioni europee, dopo aver eliminato i campioni islandesi in carica, ha la possibilità di accedere alla fase a gironi di Champions League. Nel sorteggio pesca il Bayern.

“Arkan” non può seguire il team in Germania, per via dei suoi violenti trascorsi. In più si abbatte finalmente su di lui la scure dell'UEFA che, preoccupata di ricevere un danno alla propria immagine, minaccia di escludere il club dalle competizioni internazionali, se Željko si fosse rifiutato di abbandonare la carica di presidente. “Arkan” si dimette, lascia la presidenza alla moglie “Ceca”, ma cova vendetta. Progetta con i suoi fedelissimi l'omicidio di Lennart Johansson, al tempo al vertice dell'UEFA, ma fortunatamente l'occasione di mettere in pratica il folle piano non si presentò mai.

Dal doppio confronto coi bavaresi, nel frattempo, l'Obilić esce sconfitto 5 a 1. Accede, quindi, ai trentaduesimi di finale di coppa UEFA. L'Atletico Madrid, allenato da Arrigo Sacchi, li sconfigge due volte e li estromette anche da questa competizione. Il periodo d'oro del club è giunto al capolinea. I bombardamenti NATO, infatti, pongono fine anzi tempo al campionato jugoslavo 1998-1999. Il Partizan si laurea campione, perché valgono come definitive le classifiche parziali e, anche se l'Obilić è imbattuto, è secondo quando, dopo ventiquattro giornate, il torneo viene definitivamente interrotto.

Alla fine di marzo del 1999 su “Arkan” piovono accuse di genocidio e crimini contro l'umanità. Viene spiccato un mandato di cattura internazionale, con tanto di taglia di cinque milioni di dollari sulla sua testa. Questa volta è decisamente troppo per l'UEFA: il club viene estromesso e bandito da tutte le future competizioni europee internazionali.
“Arkan” incassa il duro colpo, ma non abbandona la sua creazione sportiva. Per conquistare il campionato 1999-2000 si regala Nikola Lazetić (vecchia conoscenza anche del calcio italiano). Ufficialmente lo acquista regolarmente dal Vojvodina, in realtà, secondo fonti della polizia serba, d'accordo con gli agenti del calciatore lo fa rapire, rinchiudere in un bagagliaio e portare con forza nel suo ufficio per firmare il contratto.

Non sarà sufficiente a portare in dote nuovi trofei, perché la storia di “Arkan” si conclude violentemente (così come violentemente si era conclusa quella di Miloš) a colpi di arma da fuoco il 15 gennaio del 2000 all'interno della hall dell'hotel InterContinental di Belgrado.
Da quel momento, l'Obilić, che era stato capace di rimanere imbattuto in campionato per 47 partite consecutive, comincia a perdere.
Sotto il controllo di “Ceca” la squadra riesce a rimanere nel massimo campionato, lontano dalle posizioni di vertice, fino alla stagione 2005-2006. Poi affonda e pian piano finisce ai livelli più bassi della piramide calcistica serba, dimenticato, al contrario del cavaliere da cui aveva tratto il nome.