“Sono stato sempre contro il Var. Può aiutare, ma poi c’è l’interpretazione: decide sempre l’uomo. I designatori hanno trasformato gli arbitri in campo in pupazzi. È dura perdere una partita per un errore arbitrale, ma è umano. Ora c’è la tecnologia e sbagliano comunque.

Questo il pensiero dell’ex Presidente dell’Uefa Michel Platini durante un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2019. Parole dure che in un certo senso fanno comunque riflettere a distanza di tempo e che se vogliamo hanno un peso ben maggiore se a pronunciarle è stato proprio colui il quale firmò la vittoria della Coppa dei Campioni nel 1985, la prima nella storia della Juventus davanti alla tragedia dell'Heysel, con un rigore fischiato per un fallo commesso, almeno un metro fuori area di rigore, su Boniek, contro le “furie rosse” del Liverpool. Fatta questa doverosa premessa è nel 2017 che tutto il mondo del calcio si è improvvisamente fermato: il Var fa ufficialmente il suo ingresso in campo. Tutti eravamo così entusiasti di aver finalmente vinto la battaglia contro le ingiustizie del “marcio” sistema calcio, felici di aver sconfitto i poteri forti dei grandi club, convinti più che mai di aver eliminato ogni tipo di discorso sulla presunta “sudditanza psicologica” subita dai nostri carissimi direttori di gara. Come in tutti i settori che si rispettino ancora una volta è la tecnologia che viene incontro all’uomo per “colmare” le sue lacune, la macchina al servizio della “giustizia” che guida il “ventitreesimo” uomo in campo, per cancellare l’umanitá dell’errore e l’imprevedibilità di questo sport.

Il VAR ci garantivano i padri fondatori dell’infinito universo pallonaro, “lavorerà per il bene del calcio”, vigilerà sul regolare svolgimento dello spettacolo sul campo, aiuterà, finalmente, il direttore di gara a prendere le decisioni arbitrali più corrette possibili grazie alla nuova rivoluzione copernicana calcistica del nuovo millennio. Questa sorta di cervellotico sistema con l’occhio di “Ciclope”, ci assicurarono che avrebbe rimesso ogni cosa al suo posto, che avrebbe ridato l’ordine smarrito nella passione dei tifosi, la pace negli addetti ai lavori, fiducia negli organi di stampa e soprattutto equità agli utilizzatori finali del “prodotto” calcio fatto su misura in base alla profondità del loro portafogli. È con queste premesse che la prepotente invasione di campo, nello sport più bello del mondo, è stato sferrato, come un treno ad alta velocità destinato, prima o poi, a doversi schiantare nell’infinito spazio vuoto lasciato dell'errore umano. Il cosiddetto Var (Video assistant referee), è riuscito a guadagnare il rettangolo verde mosso soltanto dalla nobile causa di poter assistere l’arbitro nella sua “antica” e oramai “inadeguata” direzione di gara, rivoluzionando totalmente quello che è stato il gioco del calcio per quasi più di cento anni di storia. Ma oggi a quasi cinque anni di distanza dal suo utilizzo, dopo i tanti episodi dubbi che ogni domenica accadono con  frequenza, il var rischia seriamente di essere uno strumento per certi versi controproducente per il regolare svolgimento delle partite cambiando di conseguenza il gioco del calcio per sempre. Perché vedete, l’errore prodotto anche con la tecnologia spinge i tifosi a tuffarsi nei “maligni” pensieri della malafede e fin quando la ‘brama di controllo’ e di potere animano il controverso spirito delle azioni umane, orientandole verso interessi economici e politici, la si può anche comprendere; ma nel momento in cui però vanno a impiantare le loro radici in un gioco che ha sempre fondato sull’incertezza del risultato il suo antico fascino, capite bene che i danni possono essere irreversibili e incontrovertibili. In fondo è proprio l’incertezza del gioco del calcio ad offrirci la grande illusione di poter sfuggire alle dinamiche proprio di quel controllo, impostoci dalla società, che invece risulta essere molto accentuato nel corso della nostra routine quotidiana. Infatti un tiro deviato involontariamente in porta, un rigore sbagliato, una traversa che tocca il portiere ed entra in rete, un calcio di punizione deviato dalla barriera, un colpo di tacco a liberare il compagno rappresentano le emozioni di cui dovremmo assolutamente godere ma il Var rischia con la sua eccessiva “mania” di controllo, di rovinare la sacralità di quei piccoli gesti di passione per cui i tifosi sono disposti a pagare il prezzo del biglietto allo stadio o gli abbonamenti alle Pay - tv.

Tante volte si è discusso di un suo utilizzo errato e soprattutto sull’aleatorietá del suo contorto sistema regolamentare, perché mentre le polemiche continuano, anche e forse più di prima, ci viene detto che gli errori arbitrali si sono notevolmente ridotti ed è vero, saremmo degli ipocriti a dire il contrario, ma a questo punto la domanda da porsi è questa: ad oggi ne è valsa davvero la pena continuare a vedere questo calcio continuamente distorto, fra partite che durano cento minuti tra mille interruzioni, per andare a rivedere le azioni attraverso una macchina guidata comunque dall'uomo? Si parla sempre di verità e soprattutto di giustizia, ma siamo sicuri che sia giusto dover annullare un gol per un contatto avvenuto venti secondi prima del gol o per un millimetro di fuorigioco, in cui nessuno ha minimamente protestato, solo perché il grande “occhio” ha individuato una macroscopica irregolarità? È giusto interrompere “l’orgasmo” provato da un giocatore per un gol segnato davanti a migliaia di tifosi festanti per poi vederselo annullare come se niente fosse? No, si tratta invece di un’ingiustizia madornale, di un affronto all’intelligenza del tifoso che va allo stadio, costretto a trattenere il suo urlo di gioia strozzato in gola fino a quando la “macchina” non ha avrà dato il suo assenso definitivo. Nessuno è ancora veramente riuscito a capire che il Var non è in grado di eliminare definitivamente l’errore dal calcio, al massimo lo può ridurre, poiché finché ci saranno sempre degli uomini a visionare le immagini (l’arbitro e gli assistenti preposti), dando soggettivamente le loro interpretazioni agli episodi, difficilmente potrà mai funzionare alla perfezione. E quindi dove sarebbe il problema, se l’errore in qualche modo resistesse come accadeva anche prima del var? Il problema risiede nell’aspettativa che ingenera in appassionati e addetti ai lavori la svolta tecnologica. Il Var viene percepito come la panacea di tutti i mali, come lo strumento al di sopra delle parti che giudica in maniera neutrale perché tutto vede e tutto sente.

Ed è per questo motivo che alla luce di ciò che è stato detto precedentemente, possiamo affermare di sentirci oggi traditi da una “macchina” che continua comunque a creare disparità di giudizio, sbagliando con regolarità e frequenza? Possiamo avere la libertà di sentirci traditi da una tecnologia che ci ha tolto anche la gioia di esultare dagli spalti di uno stadio gremito? Possiamo sentirci traditi da chi ci aveva garantito che il Var avrebbe reso il calcio più “onesto” e a prova di errori? Dopo i numerosi episodi dubbi che ogni domenica siamo costretti a vedere, la risposta non può che essere certamente affermativa, il Var ha tradito tutti compresi quei fulgidi “letterati” superpartes a sostegno di questo annoso sistema calcio letteralmente in affanno e alla canna del gas. Questo accade perché la società ci porta sempre a pensare che la verità debba andare di pari passo con la giustizia: se una cosa è vera è giusta se invece un’altra è falsa è sbagliata a prescindere. Ed è quello, signori miei, che accade continuamente anche nel mondo del calcio in cui la voglia di sapere la verità a tutti i costi, viene messa prima della passione dei tifosi, sempre più incoraggiata dalla tecnologia, identificandosi di conseguenza con la volontà di avere giustizia per i torti subiti, da qui la necessità e quindi l’introduzione del VAR nel mondo del calcio. E immaginate per un attimo cosa ne sarebbe stato di quell’Argentina-Inghilterra 1986 con la tecnologia in campo: con “l’aiuto” del VAR probabilmente il povero arbitro tunisino Ali Bennacer, tradito come da lui stesso dichiarato più volte, dal guardalinee bulgaro Dotchev il più vicino all’azione, non sarebbe passato alla storia come colui che non ha visto la “mano de dios”; forse l’Argentina non avrebbe vinto il mondiale e di conseguenza Diego Armando Maradona non avrebbe mai messo a segno, nella stessa partita, i due gol più epici della storia del calcio. Forse gli inglesi non sarebbero usciti nei quarti di finali, visto che un attimo prima di quel gol la partita era bloccata sullo 0-0 e sicuramente senza quel gesto divino e mitologico non sarebbero mai esistiti poeti, registi ne drammaturghi e neanche dei calciatori che tanto si sono ispirati a quella rete così tanto acclamata nel mondo da rimanere per sempre impressa nella legenda. Questo per dire che il calcio è uno sport imprevedibile e anche l’errore umano provocato, inconsapevolmente, dal direttore di gara ha contribuito a renderlo unico nel suo genere ma l’introduzione del Var da “semplice” strumento di supporto, come c’è lo hanno più volte dipinto, sta per diventare sempre più determinante nel “condizionare” l’arbitro in certi episodi in cui non si sente più libero di poter scegliere anche quando avrebbe la certezza di non cadere nell’errore. Nessuno, ovviamente, può negare l’evidenza e cioè che sia uno strumento utilissimo per aiutare gli arbitri a prendere le decisioni più corrette possibili ma continuare ad utilizzarlo in questa maniera non ha senso, va assolutamente migliorato non può continuare a “condizionare”, in certi casi gli esiti delle partite così nettamente. Non si può continuare a sbagliare così anche con il Var perché questo può significare solo una cosa e cioè che l’arbitro ha perso quasi totalmente il controllo della partita, oltre alla sua funzione principale di giudice di gara sul campo. Perché anche se l’ultima decisione spetta sempre a lui non è più in grado di giudicare con lucidità gli episodi cruciali che avvengono nel corso di una partita, in fin dei conti parliamoci chiaro: “arbitrare è umano, sbagliare con il Var è veramente diabolico”.

Ciccio