I tifosi, si sa, hanno la memoria corta. Prima osannano i loro beniamini, li innalzano nell'Olimpo della curva, li portano ad altezze siderali. E poi, in un batter di ciglia, li spediscono all'Inferno e li condannano alla dannazione eterna. Basta un gesto, una frase, una singola azione. Ma nella maggior parte dei casi basta cambiar casacca. È sufficiente accasarsi ai colori degli odiati rivali – in conseguenza di scelte a volte paradossali che la vita ci pone dinanzi – per dimenticare in un solo istante tutto il passato, tutto ciò che, un tale personaggio, ha portato di buono alla propria squadra, tra gioie, vittorie e trofei.

Non conta nulla aver vestito per anni, orgogliosamente, la maglia bianconera, conquistandosi la fascia da capitano, contribuendo alla vittoria di tutti i titoli possibili; non conta nulla aver preso poi una squadra, da allenatore, dalla mediocrità in cui versava, dalle rovine dei settimi posti, dall'incubo del post-calciopoli e averla condotta alla vetta della Serie A; non conta nulla aver riportato la Juve nell'élite del calcio europeo; non conta, nemmeno, averle regalato la forza e le risorse per contendere il più ambito titolo alle regine d'Europa, inaugurando un ciclo di vittorie che dura da anni.

Non conta nulla, per certi tifosi, chiamarsi Antonio Conte se siedi sulla panchina dell'Inter.

Certo, esiste un precedente che ha un po' raffreddato il rapporto, un tempo idilliaco, tra Conte e i tifosi bianconeri, ossia la decisione, alla fine di un triennio di successi, di piantare in asso la dirigenza della Juve e deludere migliaia di tifosi entusiasti del suo operato, perché insoddisfatto della rosa che la società gli metteva disposizione. Questo precedente ha ancora più esasperato l'astio nei suoi confronti, nel momento in cui il tecnico leccese ha deciso di sedere sulla panchina dei nerazzurri.

Il rancore più profondo è quello che scaturisce da un amore che si sente tradito. Ed è forse questa la ragione per cui gli juventini, se hanno in parte perdonato o tollerato in passato altre glorie colpevoli del medesimo, ai loro occhi, peccato capitale, non riescono a fare altrettanto con Conte.

L'Inter è e rimarrà sempre, non v'è dubbio, l'acerrima rivale e l'eterna antagonista della juventinità. Uno juventino non potrà mai, in cuor suo, provare la benché minima simpatia per questa società, bisogna essere onesti. Ma un conto è il tifo, un conto sono le scelte professionali. Tanto più quelle di un allenatore, mestiere che, più di tutti, è soggetto a continue e repentine svolte: nel calcio moderno questi non può sperare di allenare una stessa squadra per molti anni ed è costretto a girare numerose piazze. I tempi di Trapattoni e Ferguson sono finiti.

Che alternative aveva Conte? La Roma? Lo United? Il PSG? La prima naviga in acque agitate, con la possibile partenza di molti giocatori, dopo quella certa di De Rossi, e la probabile vendita dei gioielli di famiglia (Dzeko in primis, che a Conte piace molto). Ma soprattutto la società giallorossa non giocherà la Champions. Stesso discorso per i Red Devils. E l'assenza dalla più importante competizione internazionale è sicuramente un grave difetto per un allenatore ambizioso.

Cosa dire dei parigini? Senz'altro chi allena questo club ha altissime probabilità di vincere il campionato francese. Ma questo certo non ha lo stesso valore e lo stesso prestigio delle leghe più quotate: Premier League e Liga prima di tutto, ma anche Serie A. Inoltre il Paris Saint-Germain ha dimostrato di non riuscire mai a compiere un salto di qualità in Europa e di ambire a vincere anche al di fuori del territorio nazionale. Senza contare le grane trascorse con il fair play finanziario.

La proposta dell'Inter è, bisogna ammettere, indubbiamente la più allettante. C'è una nuova società decisa a fare investimenti importanti e a migliorare il parco giocatori. È guidata da un dirigente abile ed esperto, che Conte conosce bene, cioè Giampiero Marotta, proprio colui che lo ha portato a Milano. La dirigenza nerazzurra sembra inoltre disposta a dare al tecnico ampi poteri nella scelta degli obiettivi di mercato. L'Inter, inoltre, giocherà la Champions League. Infine, fatto non secondario, Antonio ha la possibilità di tornare in Serie A. Presumibilmente con più esperienza di quando l'ha lasciata.

Insomma, l'Inter si candida seriamente a diventare la seconda potenza del calcio italiano e si propone come sfidante della Juve nella lotta scudetto. Il prossimo tecnico nerazzurro l'anno prossimo avrà grandi possibilità, se non di vincere qualcosa, di disputare comunque un'ottima stagione e non poteva dunque non valutare l'opportunità di quest'offerta. Viceversa, scegliere piazze più difficili, con prospettive più incerte e meno promettenti, poteva essere un freno alla carriera di un allenatore che, finora, ovunque è andato ha sempre ben figurato.

Per questo la scelta di Conte, sebbene dolorosa per i tifosi, è senz'altro ponderata e ragionevole. Non ci sono dubbi che se fosse arrivata una chiamata da Agnelli Conte non avrebbe esitato a tornare di corsa a Torino. Ma una tale chiamata non c'è stata. E non si può certo chiedergli di lasciare la propria carriera in balia di una decisione (altrettanto legittima) del presidente bianconero.

Se dunque è comprensibile il disappunto e il fastidio che suscita vedere accostato un ex capitano e bandiera della Juve ai colori interisti, non è per nulla condivisibile questa persistente ostilità che si tramuta in espressioni decisamente fuori luogo e ingenerose nei confronti di Conte e di quello che ha rappresentato. Ne è un esempio la petizione lanciata per richiedere la rimozione della stella a lui dedicata presente allo Stadium, tributo riservato alle leggende del club bianconero.

Non si capisce, altresì, perché, allora, non si richiede un'analoga “penitenza” per altri ex giocatori cui è stata riconosciuta la stessa onorificenza e che hanno compiuto il medesimo percorso di Conte. Ecco di seguito alcuni esempi. Fabio Capello: ha vestito la maglia della Juve da giocatore dal 1970 al 1976, per poi passare a un'altra storica rivale, il Milan, dove sarebbe poi tornato in veste di allenatore; Roberto Baggio: uno dei più grandi di sempre di tutto il calcio italiano, dopo aver indossato la maglia della Juve dal 1990 al 1995, portando anche la fascia da capitano, si trasferì al Milan, per poi approdare, tre anni dopo, alla stessa Inter; Angelo Peruzzi: difese la porta bianconera per ben 8 anni prima di passare all'Inter e, infine, accasarsi definitivamente alla Lazio, club di cui è attualmente dirigente; come non citare, del resto, Marco Tardelli: al termine di un decennio da juventino si trasferì anche lui all'Inter.

Altro caso che fece molto discutere ai tempi fu quello di Marcello Lippi. Seppure non gli è stata tributata alcuna stella, non avendo mai vestito da giocatore la casacca della Juve, il suo nome da allenatore è indissolubilmente legato ai destini di questa società. Ma tutti ricordano come la sua lunga esperienza a Torino fu inframezzata da un'annata in nerazzurro. Furono proprio lo scarso successo che Lippi ebbe all'Inter e le successive vittorie che tornò a regalare ai tifosi juventini, concludendo con il grande trionfo finale sulla panchina della nazionale, che fecero forse dimenticare la sua “scappatella”, se così si può definire.

Certo, si dirà, Conte ha rappresentato per anni la juventinità, uno di quei giocatori da cui si esigeva una fedeltà diversa rispetto agli altri, le cosiddette bandiere. Ma tali potevano essere considerati anche Tardelli e Peruzzi, prima di abbandonare definitivamente i colori bianconeri.

Eppure, il leggero fastidio che può aver provocato presso i tifosi, il “tradimento” (se così vogliamo chiamarlo) dei suoi illustri predecessori – ormai totalmente dimenticato – non è neanche paragonabile al profondo risentimento nei confronti di Conte. Ciò si deve, probabilmente, alla intensa emotività che egli ha sempre espresso e trasmesso all'ambiente circostante. Lottatore verace e passionale sul campo, guida coinvolgente e grintosa in panchina, Antonio Conte non lascia mai indifferenti: o lo si ama o lo si odia. Ma senz'altro gli avvenimenti che hanno accompagnato la sua esperienza da allenatore hanno indubbiamente contribuito a determinare gli opposti sentimenti nei suoi confronti. Per capire meglio questa emozionalità che circonda la sua figura cerchiamo dunque di rivivere i momenti salienti di quello che è stato il controverso rapporto con i tifosi nella sua carriera da allenatore.

Approda alla Juve il 31 maggio 2011, dopo aver conquistato, alla guida del Bari e del Siena, la promozione nella massima serie. Il suo arrivo è circondato da entusiasmo e curiosità da parte della tifoseria e di tutto l'ambiente, sia per i risultati ottenuti in Serie B, sia per i suoi trascorsi da giocatore e capitano della squadra che allenerà per tre stagioni. La Juve viene da un'annata certo non esaltante, con un settimo posto che ovviamente non si addice al prestigio del club, ma c'è una dirigenza nuova pronta a intraprendere un percorso di cui il neo-allenatore è parte integrante. Si respira aria di cambiamento. Alla conferenza di presentazione Conte è subito chiaro, come del resto è sua consuetudine; prima di tutto afferma che non ha accettato l'incarico sulla fiducia, o per semplice attaccamento ai colori: per quanto felice di tornare, in altra veste, a Vinovo, ha valutato attentamente il progetto e che non avrebbe accettato la proposta se questa fosse arrivata alcuni anni prima, quando la Juve non dava l'impressione di solidità. Inoltre enuncia quelli che saranno i punti cardine del suo calcio: un gioco votato all'attacco, mirante a conquistare rapidamente il pallone e a tenerne il possesso per tutta la partita. Che è quanto si rivelerà poi sul campo.

Il primo anno della gestione Conte va al di là delle più rosee aspettative: la Juve torna a vincere finalmente lo scudetto, avendo la meglio sul Milan di Allegri in un appassionante testa a testa e dimostrando la superiorità rispetto alla rivale sul terreno di gioco anche negli scontri diretti.

Nella stagione successiva si riconferma vincente in campionato: la Juve conclude al primo posto da imbattuta davanti al Napoli con un netto margine di distacco. Anche in Champions League esprime un buon calcio assicurandosi un ottimo piazzamento: i bianconeri, dopo anni di assenza da questa competizione, giungono fino ai quarti di finale concludendo con 5 vittorie, 3 pareggi e solo 2 sconfitte (entrambe contro i futuri vincitori del trofeo del Bayern Monaco) dopo aver battuto i campioni uscenti del Chelsea.

Il bilancio dopo le prime due stagioni, dunque, è ampiamente positivo. I tifosi sono esaltati e sognano in grande. Tutto l'ambiente ha piena fiducia nel suo condottiero.

Nella terza stagione riesce a migliorare ulteriormente in campionato: conclude con 102 punti, record assoluto in Serie A, con sole 2 sconfitte, 80 gol segnati e 23 subiti, annientando la concorrenza della Roma. Ma è tuttavia in Europa che la Juve dell'era Conte è costretta a sopportare la prima vera cocente delusione: eliminata dalla Champions al primo turno dal Galatasaray su un terreno impraticabile, accede all'Europa League senza giungere però oltre le semifinali. Molti rimprovereranno a Conte di aver privilegiato troppo il campionato rispetto alle competizioni europee, inseguendo e ottenendo il record di punti piuttosto che mirando alla vittoria della Coppa Uefa.

Tuttavia il giudizio su Conte rimane ampiamente positivo. I tifosi lo vogliono ancora alla guida della squadra e lo vuole la società, che infatti, a fine stagione, lo riconferma. Ma in estate, come un fulmine a ciel sereno, giungono le dimissioni del tecnico pugliese. Sono infatti maturate nel frattempo divergenze con la società riguardo al mercato che Conte giudica insufficiente per competere ai massimi livelli in Europa. Con la famosa frase destinata a far discutere (“Non si può mangiare con 10 € in un ristorante da 100”) dopo 3 anni di successi, in rotta con Agnelli, lascia la Juventus. Destinazione: la panchina della nazionale. La reazione dei tifosi è di indignazione, si sentono abbandonati da colui che li aveva guidati verso il trionfo e che credevano avrebbe continuato ancora a lungo la sua avventura in bianconero. Ed è in questo momento che incominciano i malumori di una gran parte dei tifosi nei suoi confronti che non sempre, da allora in poi, renderanno giustizia ai suoi meriti. Verrà esaltata la figura di Allegri (approdato alla Juve tra lo scetticismo generale) in spregio proprio a Conte, sebbene quest'ultimo abbia già battuto il tecnico toscano nella sfida scudetto della prima stagione. Viene rimproverato a Conte, inoltre, di non aver ottenuto grandi risultati nelle competizioni europee. Critica forse un po' troppo severa, considerando che ha potuto finora partecipare alla Champions solo tre volte e all'Europa League appena una volta.

Ovunque è andato ha però ottenuto sempre ottimi risultati: dopo 3 scudetti e 2 Supercoppe con la Juve, è stato nominato commissario tecnico della nazionale. Agli europei, con una rosa di livello non eccelso (per usare un eufemismo) è riuscito comunque a battere il Belgio e a eliminare la Spagna, perdendo ai quarti soltanto ai rigori contro la Germania campione del mondo e riuscendo, come sempre è stato in grado di fare, a esprimere un ottimo calcio. Al Chelsea, dopo la vittoria del campionato nel corso delle prima stagione, veniva esonerato al termine della seconda, da vincitore di una FA Cup. Può vantare in totale 7 trofei in soli 7 anni di carriera nelle massima categorie. Ha sempre dimostrato, infine, di poter unire a un gioco di qualità i risultati, di contro a tutti i cantori dell'austerità e del difensivismo. Merito questo, che un tempo i tifosi, con più obiettività, erano soliti riconoscergli.

Dovunque è andato Conte ha lasciato un ricordo positivo di sé, almeno sul piano tecnico, cosa che non si può dire di tutti gli allenatori, a volte nemmeno di quelli più vincenti di lui. Ma la sua abilità nel motivare i giocatori e nel mettere in campo una squadra propositiva ed efficace è indubbia. Non sempre apprezzata da tutti, bisogna dire, in particolare da alcuni giocatori, forse a causa dei ritmi di allenamento intensivi e dell'applicazione meticolosa che richiede loro (pare che il suo esonero sia stato deciso dagli anziani dei blues e si vocifera che Sergio Ramos abbia posto il veto al suo eventuale approdo al Real).

Antonio Conte si è dimostrato essere uno dei migliori allenatori a livello europeo (come sempre è chi allena squadre di punta della Premier) e le critiche – sia in quanto professionista che in quanto uomo – ricevute da colui che ha mostrato sempre serietà, ambizione, tenacia e competenza, ci paiono ingiuste. Ma probabilmente il tempo saprà lenire almeno in parte le ferite. E auspichiamo che se un domani, non si sa quanto lontano, dovesse tornare ad allenare la Juve, le vittorie che otterrebbe scaccerebbero presto tutti i malumori.