Un anno che arriva, un anno che va...

Certo, il passo dei giorni lo sapevamo tutti che ci avrebbe condotti qua. Al confine temporale che segnerà un passaggio sempre ritenuto radicale, anche se è sempre lo stesso tempo che viviamo tra un andare a dormire e un risvegliarci senza più il fascino dell'incredulità aperta al nuovo, opacizzata ormai dall'abitudine, usurata dagli inganni delle molte, forse troppe, aspettative.

In pochi ci si ricorda, in questo festoso frangente, carico anch'esso di speranze e aspettative, quasi resi più possibili non appena superata, anche questa volta, la delimitazione temporale. Ingenui come sempre. Come sempre ma come se fosse la prima volta. Un'ulteriore prima volta. Un frettoloso cenno all'anno che va via, distratti dal non volerci perdere neppure un respiro dell'anno nuovo, non ci accorgiamo della delusione che questa trascuratezza che gli riserviamo gli causa, né del dolore che prova, lui, appena un anno fa festeggiato con tutti gli onori. Ci saluta silenzioso con un ultimo cenno, visto da pochi, mentre il rumore dei tappi che saltano ci distrae.

Lo cercheremo. Certo che andremo a cercarlo. Lo andremo a cercare perché in qualsiasi anno vissuto vi si è impigliato qualcosa di importante di noi, felice o dolorante, che vogliamo recuperare perché la vita a volte ce lo domanda e perché la vita a volte ci si accorcia, per le troppe dimenticanze, per i troppi "vissuto" trascurati e, quando la vita ci si accorcia, bisogna farvi dei rattoppi e ricucirne alcune parti che vorremmo ci fossero vicine. Presenti, in momenti di solitudine, dolci, in momenti di amarezze. Ed eccoci qua.

 

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Il decennio che sfuma...

Con quest'anno va via anche un decennio. Un secolo fa iniziavano i fantastici anni '20 del jazz, del charleston e del proibizionismo, negli USA, narrato da più scrittori che amo, mentre, in Europa, ci si incamminava nel buio tetro della tirannia ottusa che, come tutte, si sarebbe ritorta su se stessa, avvelenandosi del proprio stesso sangue. Sangue in abbondanza. Ma oggi siamo affacciati, seppure pericolosamente, per trascuratezza e distrazione, su anni fortemente tecnologici, virtualmente belli di fascino creato ad arte, come di paure sospinte oltre il limite, per controllare anch'esse sentimenti passivi per cuori anchilosati dalla finzione. Restii a eccitarsi per sentimenti reali, toccanti e vicini, quasi ci si dovesse vergognare.

Questo decennio calcistico, in Italia, aveva proprio sul confine i colori nerazzurri, nell'entusiasmante, seppure qualche volta barcollante, avventura del triplete. Poi, per noi interisti, da quelle radici, lasciate a diseccarsi, avrebbe preso vita solo una Coppa Italia e tante mancate stagioni. Vedemmo, di quel giardino ricordato fiorito che si sarebbe presto desertificato, simboli non colti appieno di un calcio che cambiava. Di una famiglia, spesso toccata dal vituperio di tifosi avversari, a volte perfino da ingrati amici, che lasciava il passo ai tempi dell'economia globale e della gestione più professionale di quel gruppo, sempre di ragazzi, ma non più famigliari acquisiti. Giusto così. A certe cifre difficile far vivere il romanticismo, cosa sempre più di pochi eroi.

Finita anche l'era del modernismo economico del Milan, con il suo proprietario distratto da altri interessi ed altri inconvenienti, spesso altrove rispetto al luogo calcio, che vincerà sì un altro campionato, ma quasi accidentalmente, prima di vendere gli ultimi gioielli di famiglia al PSG per sopravvivere a pane e formaggio, quando va bene, dopo anni di caviale e champagne, raccontandosi ancora di possibilità illusorie di là a venire, con fantastiche ombre cinesi proiettare a uso e consumo di tifosi non del tutto arresi alla nuova dieta e in attesa di portate più vicine agli stimoli che le loro papille gustative anelano di riprovare.

L'altra famiglia, quella bianconera, ritornata in auge quasi per caso, distrattamente. Stranamente più col cuore che con la programmazione superiore che si riconosce loro da sempre. Toccato il trono non l'ha più mollato. Difeso strenuamente per un solo anno da un Napoli anch'esso rinato, ancor più sorprendentemente e che al suo culmine ha divertito anche tifosi non azzurri, con folate di calcio quasi non credibile, nel nostro campionato, tanto da ubriacare un presidente, bravo nello stringere e gestire i cordoni della borsa, ma meno a immaginare che oltre quello anche altre mansioni sono importanti per una squadra, da allontanare un allenatore bravo quanto improponibile in un mondo dove l'immaginifico prevale sul lavoro e la realtà viene a volte stravolta dalla proiezione dei desideri.

Poi a contrastarla solo fuochi di paglia come la Roma di Garcia e l'Inter di Mancini, nulla di che ricordare, se non per quei mesi di entusiasmo che avevano ridato alla bella Roma del decennio precedente, sempre lì a contrastare l'Inter vincente di quegli anni, la possibilità di ricordare a tutti quanto fosse stata bella da giovane, con quei lineamenti ancora lì a dimostrarlo, seppure un po' consumati dal tempo.

E poi, e poi... il biancazzurro della Lazio sempre lì a qualche passo ma non oltre, solida presenza a caccia di prime posizione e non del primato... lo sprizzante entusiamo di un'Atalanta che ha creduto nelle doti del proprio allenatore anche nei primi momenti difficili e che verrà premiata, e premierà chi ama il calcio, con un gioco di squadra che solo il Napoli sarriano (battuto qualche volta) esprimerà, con la similitudine che anche lì Aurelio DeLaurentiis ha esibito forza e pazienza sufficienti a difendere un allenatore che all'inizio della sua nuova avventura stentava a proporre il suo calcio e, soprattutto, ad ottenere risultati.

Questo, in breve, il decennio che se ne va, per me. Questo anno, l'ultimo di questo decennio, vede Inter e Juventus appaiate in testa, con Lazio appresso, Roma un po' più in là, Atalanta felice di stare inaspettatamente, quasi, ancora in champions, ma un po' meno vicina e il Milan deluso e distante, in questa prima parte di campionato. Ci si affaccia così al 2020.

 

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Il tradimento...

L'altro decennio calcistico, quello precedente, trionfale per i colori nerazzurri, tanto amati, mi era costato tanto.

Se sei nato in un quartiere dove le case hanno i muri tirati su con pietre e sabbia, più un pizzico di cemento, muri che si sbriciolano nel tempo lasciando all'esterno buchi buoni a far nidificare i ragni, tormentati da noi bambini, con tegole sui tetti piene di nidi di uccelli, spesso rondini di ritorno a procreare. Se i giochi sono quelli poveri di strada, tanto riccamente sociali da rimpiangerli per i bambini di oggi, in carruggi stretti perfino per la nostra dimensione bambina della vita, con balconi quasi a toccarsi, rallegrati da garofani pendenti e cactus fioriti e dal suono delle radio a valvole, che un giorno mi avrebbero affascinato con la voce di un Fabrizio De André ventenne e la sua Marinella, così inconsueta per quei tempi.
Se hai passato mattinate estive di sole seduto sui gradini con i fumetti che barattavi in giro per quell'immenso quartiere che si sarebbe rimpicciolito nel ritornarvi già adulto.
Se, se, se... se poi sei andato ad abitare in un altro quartiere, sdradicandoti e rimettendo radici, vicino ad un oratorio che ti permetteva di trascorrere ore e ore, fin quasi all'imbrunire, a dare calci ad un pallone, gioco scoperto da poco e diventato importante nelle tue giornate e nel tuo vivere il sociale, tra scuola lontana e quartiere, allora puoi capire. Ma dev'essere un tutto, il calcio, dev'essere qualcosa che ti trasforma dentro, quando ti appresti a correre dietro una sfera di gomma leggera, o plastica per lo più, raramente cuoio cucito, qualcosa che ti fa diventare quello che vuoi davvero essere in un gruppo e per un gruppo.
Ecco, se tu sei stato un bambino così e invecchiando non vi hai voluto rinunciare, ti può fare davvero male essere tradito.

Quello è stato per me calciopoli: un tradimento. Non capivo, e non capisco ancora appieno, o forse capisco ma non riesco a viverlo in quel modo, come quel fenomeno abbia solo diviso per tifoserie, quasi per bande, a difendere o offendere ad oltranza gli avversari, diventati nemici, per sopravvivere. Per me è stato un tradimento per tutti quelli che hanno vissuto il calcio come me, come un veicolo per portarci a sognare altre situazioni, altre contese, ben oltre i limiti di quella vita e di quei quartieri, senza strettoie o confini. Quando proiettavamo, successivamente, in eroi più immaginari che reali, in braghe corte e colori sociali sempre rispettati e mai avversi, le nostre fantasie. I Corso, i Sivori, i Meroni di quell'infanzia. Le partite alla radio. Poi il calcio straniero nelle coppe in tv. Lo splendido Johan Cruijff... Zico sbarcato all'Udinese, quasi con un'operazione impossibile...

Mi hanno tradito perché forse sono stato stupido e il calcio non era Wonderland, come credevo io, e, comunque, avrei dovuto rifarci i conti, crescendo, e non lasciare che quel bambino avesse il sopravvento, permettendogli di guardare anche con i miei occhi adulti.

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Auguri a tutti per un sereno 2020.