Più di un blogger e certamente i più anziani in VxL ricorderanno sicuramente questo talento calcistico sopraffino.
I più giovani si chiederanno chi fosse (non conoscendolo) ma io cercherò di descrivere la sua carriera con il senno di chi vuole evidenziare il percorso di un calciatore soprattutto senza trascurare la spiccata personalità dell' uomo, quello che è stato parecchi anni or sono Antonio Valentin Angelillo.

Angelillo nacque a Buenos Aires nel 1937, attaccante argentino di origini italiane, poiché il nonno emigrò dalla Lucania alla fine del diciannovesimo secolo. Egli si distinse già in età giovanissima facendosi notare tra le file del Racing di Avellaneda, tanto da convincere i tecnici del Boca Junior ad acquistarlo per inserirlo in prima squadra nel 1956. In quel campionato, Antonio giocò 34 partite realizzando 16 reti, poi giocando in nazionale disputò la Copa America che, allora nel 1957, si svolse in Perù e fu vinta dalla nazionale Argentina battendo nella partita decisiva il Brasile, rivale di sempre per 3 - 0. La nazionale albi-celeste vantò giocatori di gran valore soprattutto nel reparto avanzato dello schieramento, in cui tre giovani e fortissimi giocatori composero il famoso trio degli “Angeli dalla faccia sporca”, un appellativo che fu loro affibbiato da uno dei massaggiatori della nazionale sudamericana. Infatti egli notando il trio seduto in panchina, dopo un allenamento sfiancante, si rivolse verso di loro dicendo: “la vostra faccia è come quella di un angelo ma è sporca di fango”. I giocatori in causa erano: Humberto Maschio, (centrocampista acquistato dal Bologna), Henrique Omar Sivori (attaccante acquistato dalla Juventus) e Antonio Valentin Angelillo, autore in quell'edizione della Copa America di 8 goal in 6 partite. Il talento del giovane centravanti ovviamente non sfuggì agli osservatori e ai tecnici di allora, così Antonio fu segnalato ai più grandi club europei, ma fu l'Inter che lo acquistò per inserirlo nel nostro campionato di serieA. Angelillo accettò di buon grado il trasferimento presso la società neroazzurra e così giunse all'ombra della Madonnina nell'estate del '57, non ancora ventenne, esordendo titolare in casacca nerazzurra e segnando 16 goal in tutto il campionato. Un bell'esordio non c'è che dire!
Ma la consacrazione Angelillo la conquistò, convincendo tutti, l'anno successivo sempre con la maglia dell'Inter. Il campionato 1958/1959 fu quello del record, infatti il fuoriclasse argentino segnò 33 reti, oltretutto è giusto sottolineare che quella performance si verificò in un campionato disputato da 18 squadre, un record che finora non è stato ancora battuto!

Io pur essendo tifoso del Milan non ho mai sofferto una vera e accesa rivalità nei confronti dell'Inter, ma da innamorato del bel calcio, ho sempre cercato lo spettacolo offerto dai giocatori di classe qualsiasi casacca essi indossassero. Angelillo fu uno di questi e seppur militante nella squadra neroazzurra lo ammirai fino al punto di assistere ad alcune sue partite disputate allo stadio S. Siro di Milano. La sua eleganza espressa in campo per mezzo dei suoi movimenti di gioco mi affascinò subito, rammaricandomi di non poterlo ammirare in maglia rossonera. Egli riuscì presto a conquistare i suoi tifosi per la particolare caratteristica di gioco nell'interpretare il ruolo del centravanti. Il suo raggio d'azione infatti non si limitò a coprire soltanto la porzione di campo nei pressi dell'area di rigore, ma svariò per una vasta zona del campo, assumendo spesso il compito di regista e di astuto centrocampista.

Nell'Inter inoltre conquistò la completa fiducia sia da parte dell'allenatore come pure da parte dei suoi compagni, fungendo da punto di riferimento irremovibile. A dire il vero sarebbe bastato alle squadre avversarie di trovare il modo per annullare le sue azioni, impedendogli di impostare il gioco offensivo e rendendo inefficace ogni sua iniziativa, ma Angelillo non temette ciò, i suoi movimenti in campo spaziarono dalla difesa per dare manforte ai suoi compagni, proseguendo a centrocampo e finalizzando in attacco la sua gran mole di lavoro. Eppure la squadra nerazzurra pur composta da più di un giocatore di modesta caratura tecnica (non me ne vogliano i cugini interisti) riuscì ugualmente a vincere alcune partite che in teoria sembrarono difficili, ma in pratica furono sempre risolte dall'estro insuperabile dell'asso argentino. Alcune gare le ricordo bene ancora oggi sia nello svolgimento come pure nei risultati.

Ricordo l'inizio di quel campionato 1958/59 (vinto dal Milan) quando alla prima giornata l'Inter affrontò l'insidiosa trasferta di Udine vincendo per 3 – 1. Tutti i goal neroazzurri furono realizzati da Angelillo, il quale segnò pure 1 goal nella giornata successiva giocata a S. Siro contro il Padova, mentre alla terza giornata i nerazzurri persero in trasferta contro il Genoa per 4 – 2 ma i 2 goal dell'Inter furono segnati dal fuoriclasse argentino.Alla quarta giornata, Angelillo si esibì a S.Siro fornendo ai suoi tifosi uno spettacolo davvero inconsueto, quel pomeriggio domenicale fu testimone di una grande partita giocata dai nerazzurri contro la malcapitata Spal. Il punteggio terminò con il risultato di 8 – 0, ma 5 delle reti realizzate portarono la firma di Antonio Angelillo, il quale partecipò attivamente anche alle altre tre reti firmate da Lindskog e Rovatti. Fu l'apoteosi per un calciatore ventunenne che dimostrò doti realizzative non comuni.

Io, accesissimo tifoso personale di Angelillo, ebbi la fortuna (non ricordo in che modo) di assistere 2 settimane dopo all'incontro Inter – Roma, partita disputata sempre sul terreno di S. Siro. Pur essendo tifoso milanista non volli perdere il nuovo spettacolo che si preannunciò ancora una volta in maniera puntuale. Infatti il fuoriclasse argentino fu protagonista assoluto di quell'incontro. La Roma, una delle squadre più forti in quel campionato, venne a Milano proclamando un'accesa battaglia e la ferma intenzione di vincere quell'incontro. Le premesse iniziali, rispettando le previsioni più rosee a favore dei giallorossi ci furono tutte, poiché l'incontro si rivelò sin dall'inizio molto combattuto su ambedue i fronti.
Ma se da un lato si potè ammirare un attacco ben organizzato e solido da parte dei romanisti, dall'altro lato non fu altrettanto riguardo la difesa interista, da tutti palesemente considerata come il tallone d'Achille della formazione.
Dopo i primi dieci minuti iniziali la Roma, conducendo l'incontro per 2 reti a zero con i goal segnati da Selmosson e Lojodice, organizzò una proficua e fitta rete di passaggi a centrocampo intesa ad escludere i rifornimenti dei palloni giocabili al reparto avanzato dell'Inter. Angelillo pur mossosi bene tra le maglie avversarie non sempre trovò adeguata collaborazione da parte dei compagni e pur colpendo un paio di volte i legni della difesa giallorossa e richiedendo ai compagni le necessarie triangolazioni, non ebbe mai la possibilità di trafiggere il portiere avversario, almeno per accorciare le distanze. Il primo tempo si chiuse confermando il punteggio di 2 – 0 a favore della squadra giallorossa.
Nel secondo tempo l'allenatore Bigogno, non avendo a disposizione giocatori di un certo spessore per contrastare l'organizzazione creata a centrocampo da parte dei giallorossi, decise di arretrare di una ventina di metri Angelillo, il quale trovando gli spunti per partire da lontano avrebbe potuto creare le giuste premesse per perforare la difesa avversaria. I frutti di questa tattica si fecero sentire già da subito, infatti Angelillo, governando il pallone in una zona del centrocampo avanzato trovò gli spazi e le misure necessarie per dialogare con i compagni. Dopo 5 minuti, a seguito di una sua azione ben congegnata, Antonio trovò il corridoio necessario per smarcare Firmani lanciandolo in rete in modo esemplare. Il giocatore di punta sudafricano, cresciuto calcisticamente in Inghilterra, sfruttò nel modo migliore l'invito intelligente del campione argentino e trafisse il portiere avversario accorciando le distanze. Per tutto l'incontro Angelillo imperversò, con le sue giocate, nella metà campo romanista frastornando gli avversari con i suoi tocchi felpati, i suoi spunti veloci e le sue sublimi giocate, finchè con un'irresistibile azione personale, seminando il panico nel reparto della difesa avversaria, realizzò un gran goal, bissato poi un paio di minuti successivi con un'ulteriore azione personale e ribaltando il risultato. L'Inter passò in vantaggio per 3 – 2 e la Roma parve essere in ginocchio, ma seppe reagire giocando l'ultimo quarto d'ora dell'incontro alla ricerca spasmodica del goal del pareggio. A questo punto Angelillo salì in cattedra nel modo più autorevole possibile e tale da rintuzzare quasi da solo i più pericolosi attacchi orditi dalla Roma. Fu sempre lui a interrompere le pericolose azioni avversarie e ripartire lanciando in avanti i compagni. L'incontro prima di terminare ci offrì l'ultima emozione per mezzo della disperata azione finale prodotta dai giallorossi, i quali finalizzarono con un tiro preciso di un loro attaccante (se ricordo bene Manfredini) il possibile goal risolutivo, ma Angelillo in spaccata intervenne a ridosso della linea di porta salvando il goal del pareggio giallorosso a colpo sicuro.
Lo stadio esplose in visibilio scandendo a gran voce il nome del fuoriclasse argentino “ Lillo... Lillo... Lillo”. Io esterrefatto per quella ennesima prodezza mi aggregai al coro che con quel tripudio decretò l'asso argentino quale miglior giocatore in campo tra tutti i contendenti. La partita terminò e i giocatori si avviarono negli spogliatoi accompagnati dallo scrosciante applauso degli spettatori. Angelillo rispose al saluto alzando le braccia e io notai il suo viso sporco di fango, evidente conseguenza dell'impatto avuto con il terreno al momento dell'estremo salvataggio. Proprio in quell'istante mi tornò in mente quell'appellativo di “angeli dalla faccia sporca”. In quel pomeriggio domenicale infatti, un angelo con la faccia sporca di fango regalò agli spettatori la gioia di una grande prestazione trasferendola in una delle più belle pagine scritte nel libro della storia dedicata al calcio.

Congratulandomi con i tifosi nerazzurri tornai a casa molto preoccupato poiché la settimana successiva si sarebbe disputato il derby e lo stato di forma di Angelillo non contribuì affatto a farmi dormire sereno nella notte.
Arrivò il giorno della partita e l'emozione fu diversa dalla solita provata in occasione di altri derby, la paura di soccombere prevalse, ma poi la garanzia offerta dalla difesa del Milan riuscì a mitigare il mio timore. La gara si svolse in un clima di accesa rivalità ma senza mai trascendere. Le squadre si presentarono in campo palesando un equilibrio territoriale dettato più dalla prudenza tattica che dall'ardore agonistico. Fu una bella partita in cui i rossoneri passarono in vantaggio nel primo tempo con Altafini e quando dopo circa mezz'ora del secondo tempo l'incontro sembrò incanalarsi sui binari della tranquillità e della convinzione di recare in porto il risultato, ecco che il solito Angelillo impose a tutti la legge del più forte ponendo il suo sigillo personale con il goal del pareggio a venti minuti dalla fine. Purtroppo per il Milan il derby di ritorno vide i neroazzurri vincitori per 1 – 0, ma i rossoneri vinsero comunque lo scudetto e i neroazzurri terminarono il campionato al terzo posto per merito delle prodezze compiute dal campione argentino. Il fuoriclasse conquistò con pieno merito il primo posto nella classifica dei cannonieri con 33 reti segnate in 34 partite disputate in tutto il campionato.

Come tutti i ragazzi famosi della sua età, Angelillo diventò l'idolo delle ragazze, il giocatore e l'uomo da amare che ognuna di esse avrebbe voluto desiderare. E Antonio, sensibile al fascino femminile, non si tirò mai indietro nel dover conoscere belle ragazze della sua stessa età. Fu così che conobbe la ballerina di cabaret Attilia Tironi in arte Ilya Lopez, una donna affascinante e della quale Angelillo si innamorò essendone corrisposto. Questo legame però incise negativamente nel rapporto con l'allenatore Helenio Herrera, ingaggiato nella stagione successiva dal grande presidente Angelo Moratti. Il tecnico spagnolo credette che il giovane argentino venisse distratto da quel rapporto amoroso troppo assiduo e inoltre non tollerò mai in squadra i solisti le cui caratteristiche furono, a suo dire, poco adatte al gioco di squadra che egli pretese dai suoi giocatori. Herrera poco a poco non considerò più titolare l'asso argentino e nel 1961 fu inevitabile la sua cessione alla Roma, ma con la clausola che vietò categoricamente la sua cessione immediata alle eterne rivali Milan e Juventus. Approdato al club capitolino, il campione argentino dimostrò che il suo valore tecnico messo al servizio della squadra non fu da sottovalutare. Egli vinse, con la maglia giallorossa, una Coppa delle Fiere internazionale nel 1961 e una Coppa Italia nel 1964. Con la maglia della Roma disputò 4 campionati giocando sempre ad alto livello.

Al Milan giunse purtroppo a fine carriera giocando da centrocampista e collezionando in 2 stagioni 30 presenze e 4 goal tra campionato, coppa Italia e coppe continentali. Fu per me una grande soddisfazione vederlo finalmente giocare in campo con i colori della mia squadra.
Non fece certamente le giocate da fenomeno esibite da giovane, ma la sua classe, il suo acume calcistico e la sua caratura tecnica lasciarono comunque un'impronta indelebile nella storia rossonera vincendo lo scudetto che non aveva ancora vinto in Italia.

Egli finì la sua carriera al Genoa collezionando 22 presenze con 5 reti in campionato e solo 2 presenze in Coppa Italia. Angelillo si distinse pure come allenatore conquistando con il Pescara una storica promozione in serie A. Successivamente ad Arezzo riuscì a conquistare la Coppa Italia di serie C, ma soprattutto compì il miracolo di portare al successo i toscani nella fantastica impresa della promozione in serie B prima e sfiorando la storica promozione in Serie A dopo.
Chiuse la sua avventura con il calcio facendo l'osservatore per l'Inter alla scoperta di giovani talenti. Ebbe il merito di portare al club neroazzurro il giovane Javier Zanetti, confermando ancora una volta le sue capacità di grande intenditore di calcio.

Gianni Brera disse di lui: ”Angelillo era un vero e proprio fenomeno. A pochi al mondo ho visto trattare il pallone come sapeva fare lui. Egli giocava con una grande personalità occupando tutte le zone del campo, in difesa a centrocampo e in attacco. Segnava e costruiva gioco. A quel ritmo qualsiasi fenomeno avrebbe finito per uccidersi”.

Ma Angelillo non finì di uccidersi poiché amò il calcio fino allo stremo, morì a 80 anni nel 2018 a Siena, dove dopo il secondo giorno di ricovero ospedaliero il suo cuore smise di battere per sempre.
Un angelo dalla faccia sporca ma dall'animo pulito si ricongiunse così con il suo grande amico di sempre, Omar Sivori scomparso a sua volta qualche anno prima.
Angelillo ci ha lasciato il ricordo indelebile della sua classe, prerogativa di pochi campioni ammirati nel calcio giocato, ma soprattutto il ricordo che conferma anche il grande campione di vita vissuta sempre con amore accanto alla sua famiglia.


Nostalgico rossonero