C'era una volta una squadra di calcio come tante, di quelle che conosci perché avvezzo a questo mondo, ma di cui ti accorgi solo spulciando le quote dei campionati esteri; non ne conosci i calciatori né tantomeno hai idea di quale sia lo stadio di riferimento. Sai in quale città disputano le partite perché leggendone il nome ne intuisci la provenienza.    

Correva l'ottavo anno del secondo millennio d.C. (lo so, potevo scrivere 2008 ma sognavo da sempre di scrivere di-ci) quando uno sceicco apparentemente senza una ragione ben precisa, come fosse per puro giubilo, acquista questo club e così facendo cambia definitivamente le sorti sia della squadra acquisita, sia dell'intero mondo del calcio.
In quegli anni era oggettivamente uno solo il Manchester: non c'era praticamente necessità di aggiungere la dicitura "united", che poi ancora oggi i più quando pensano ai 'blu' dicono "il City" e se parlano dei 'rossi' dicono "il Manchester".   
Oggi con una quindicina di titoli complessivi in più, le cose sono ben diverse, e quel club di cui si parlava molto poco, ora è un punto di riferimento mondiale, con uno degli allenatori più vincenti dell'era moderna e un gruppo enorme alle spalle capitanato dal succitato sceicco che per onor di cronaca chiamasi Mansour (anche se ormai lo sanno anche i sassi).
Eh già, perché ormai il 'City' non è più solo un club ai margini dei cugini. Non è neanche più 'Més que un club' come recita il motto blaugrana. Il City Group è un autentico franchise del football.
Una scuola di pensiero calcistico: allenamenti personalizzati, strutture all'avanguardia, match analysis e una rete di scouting strutturata su società che giocano in campionati di primo o secondo livello in ogni angolo del pianeta, e laddove possibile cercando di ottenere risultati sportivi anche in quelle che sono in buona sostanza squadre satellite, come accaduto con il Merlbourne City campione lo scorso anno in A-League.  Chiaramente l'obiettivo è anche la globalizzazione commerciale del marchio "City" e non a caso sono stati fatti investimenti massivi anche in città bellissime e per questo spendibili turisticamente.
Un modello che ha spinto anche altre multiproprietà ad investire nel calcio. Un esempio può essere il fondo "777" che ha acquisito l'autunno scorso il Genoa; una società storica, la più antica dello stivale con una tifoseria calda e in una città turistica, posto ideale per investimenti, e nello specifico la volontà del gruppo - che ha nel portafoglio importanti interessi nelle compagnie aeree low cost - sarebbe quella di sviluppare l'aeroporto "Cristoforo Colombo" per renderlo una porta d'ingresso importante; gli stessi hanno anche una rilevante partecipazione azionaria nel Siviglia; anch'essa squadra posta in un luogo di grande fascino e bellezza, con criteri somiglianti alla scelta "grifone". Pensieri simili sembra avere anche il "Friedkin Group", che ha visto nella Roma e nella capitale del mondo il trampolino ideale per affacciarsi nel pianeta calcio, loro che hanno interessi molto variegati, tra gli altri una serie di hotel di lusso, hanno recentemente acquisito il Cannes, punto di svolta anche per il loro legame con il cinema e il grande schermo.

Tornando a noi, quindi alla mentalità 'Abu Dhabi', un'idea visionaria, certamente mossa dai grandi capitali immessi dal fondo arabo, ma che parte da lontano, e proprio dalla mente di un ex 'barça', ovvero il sig. Ferran Soriano, attuale CEO del gruppo, che non a caso aveva già provato a muovere passi concreti della sua visione nel periodo catalano ma non convincendo appieno la dirigenza. In ogni caso il suo periodo al Barcelona, corrisponde anche a un quinquennio chiave per la storia di questi ultimi; sotto la sua gestione da general manager (2003-2008) arrivarono tra gli altri Ronaldinho e un certo Messi, che oltre ad aver regalato titoli in quantità industriale, hanno rappresentato anche uomini immagine dal valore inestimabile per il marchio barça.   
Nel 2012 Mansour & Co. gli hanno affidato completamente le chiavi di questo progetto, e come capita sempre agli inizi di una nuova avventura, si tende a portare con se qualche uomo di fiducia che possa far si che si giunga in maniera concreta all'idea che si ha in testa; cosa prontamente avvenuta con Soriano, che ha lasciato la competenza sportiva a "TxikiBegiristain, anch'egli di catalana memoria e per questo motivo profondo conoscitore del sistema 'cantera', tassello imprescindibile per mettere in piedi il sogno City group. 
E cosa fai se hai incentrato tutto il tuo modello calcistico su quello delle academy spagnole? Prendi un tecnico che logicamente ne ha piena coscienza, ed ecco che arriva "Pep" Guardiola, e con egli ennesimo uomo-filo conduttore con il mondo barcelona. 
E così eccoci dinanzi all'attuazione di un'idea astratta che si fa fattiva, con ben dieci squadre controllate (più rispettive academy), tra cui ultima ma non per importanza anche l'acquisizione del Palermo, giustamente per non farsi mancare una 'base' italiana, tra l'altro di grande tradizione, appartenente a un posto di cui non serve oltremodo citarne la bellezza (probabilmente non basterebbe l'articolo). In pratica un esercito in continua espansione a disposizione di 'madre Man City' - un occhio universale sul talento, che sia esso orientale, sudamericano o occidentale, in ultima analisi il controllo di presente e futuro di questo sport.   
Ma dove finiranno gli altri di questo passo? 
Come si farà a restare o anche solo a pensare di poter essere competitivi a medio-lungo termine se chi ha la pecunia, ha anche le persone al posto giusto e sostanzialmente possiede già anche il controllo di chi è futuribile ad altissimi livelli?
Allora mi chiedo anche: Siamo sicuri che la superlega fosse un errore?
Abbiamo ancora modo di sognare oltre il nostro campionato?
Qualcuno potrà significare in maniera giusta che è vero tutto, ma il Manchester City nonostante i dati posti all'attenzione ancora non ha vinto una Champions League.
Beh, è la realtà dei fatti, per cui inoppugnabile, però posto che vincere è il fine ultimo di ogni atleta, il lavoro fatto dal fondo citato è senza alcun dubbio più impattante anche del titolo più prestigioso che ci si possa aggiudicare nella singola stagione.
Se unisci soldi e idee, prima o poi arriva anche quel titolo lì, è inevitabile.
La disamina fatta mi autoinfligge uno stato depressivo, a maggior ragione considerando che sono romanista e quindi normalmente diventa difficile pensare alla 'coppa dalle grandi orecchie' (fino a quest'anno altro che orecchie, non si vincevano neanche quelle senza).
A vederla in questa maniera viene da pensare che comunque è bello anche il basket, il nuoto, il ciclismo, il Carling, il tressette, la briscola ecc...
A momenti ci toglievano pure il calciobalilla e addio, a quel punto mi restava solo la PlayStation 2 con la Roma di Totti-Cassano-Mancini per giocarci in loop fino alla chiamata del creatore. 
Ad essere onesti, con le prospettive attuali, non mi sarei opposto in maniera così netta alla superlega: chiaro, c'erano punti molto rivedibili, ma se fatta in pieno stile NBA l'avrei accettata, ovvero completamente chiusa e senza la storia delle invitate che poi per rientrare ancora si sarebbero indebitate fino al collo, tra l'altro cosa che già accade in tono minore nel caso di chi va un paio di anni in champions e poi resta fuori: si alzano gli ingaggi, i fatturati non restano gli stessi e alla fine per continuare a essere una società sostenibile devi vendere tutti gli asset e ripartire da zero. Avrei accettato la superlega se campionato totalmente a parte, con le partecipanti fuori dai campionati nazionali, tanto la mia Roma la tiferò finché campo, anche se dovesse giocare il campionato del centro-sud e la "tirrenia cup" anziché la coppa Italia.   

Lo so, sto enfatizzando e esasperando nella mia follia, però siamo oggettivamente in una situazione dove la possibilità di vincere ai livelli più alti è nelle mani di pochi, se non pochissimi. In sostanza lo vediamo già da anni con la Premier League: oggi vincere il campionato inglese 'vale' più della champions, sia in termini di incassi, sia proprio per il livello altissimo degli avversari che affronti. Vincere in Inghilterra ti fa incassare quasi 200 milioni, il solo parteciparvi ne garantisce comunque oltre 100(!). Non è un caso che alla fine togliendo il Real Madrid, ovvero l'essenza stessa della champions, alla fine siano spesso i top club inglesi ad arrivare in fondo a questa competizione. Nelle ultime cinque edizioni, seppur con vincitori diversi, abbiamo visto per due volte una finale tutta britannica, nella fattispecie Liverpool-Tottenham nel 2019 e Chelsea-Man City nella scorsa edizione. Inoltre per tre volte su cinque il club della città dei Beatles in finale; se non un dominio quantomeno una costante.   
Forse è solo una questione ciclica. Magari il prossimo anno vince l'Inter o il Milan. Magari vinciamo l'Europa League con il nostro condottiero Mou. Magari a breve torneremo il campionato di riferimento: vinceremo ancora noi come Italia e io stesso mi farò grasse risate pensando a questo esile uomo dalla testa bacata quale sono, profetizzare la fine oggettiva del calcio italiano e forse del calcio stesso.
Comunque vada, "sempre al tuo fianco mi troverai" perché...
"Se i tuoi colori sventolo,
i brividi mi vengono,
non mi stanco MAI di te,
Forza grande ROMA alè!"