Era il 12 aprile 2000, quel giorno il dio del pallone si palesò in tutta la sua inarrestabile crudeltà e lui che aveva osato sfidarlo apparve dannatamente umano.
Dopo mesi di assenza forzata a causa di un infortunio, quel giorno finalmente era tornato a calcare i campi di gioco. L'Inter aveva battuto la Lazio per 2 gol a 1 nell'andata della finale di Coppa Italia e aveva bisogno della sua superstar. Pronti via e dalla facilità con cui affettava la difesa laziale sembrava essere tornato in splendida forma. Le aspettative crescevano nel vedere come questa inarrestabile forza della natura cominciava a prendere slancio. La palla era incollata ai suoi piedi, l'area avversaria si avvicinava, il che significava, con ogni probabilità, che il gol era nell'aria. Per i tifosi dell'Inter quei momenti hanno segnato la speranza. Ma con la stessa velocità con cui si erano materializzati i sogni, svanirono di nuovo in mezza ad una vista straziante. Il suo ginocchio destro aveva fatto crack per la seconda volta. Cadde rapidamente a terra stringendosi la gamba destra tra le mani e piangendo dal dolore. Immediatamente i giocatori della Lazio, che pochi secondi prima lo avevano temuto, cercavano di aiutarlo, agitando le braccia in aria per ricevere assistenza medica. Mentre veniva portato via in barella, la speranza degli interisti andava definitivamente in frantumi.

Lo fermavano solo gli infortuni, e purtroppo non erano mai banali, ma sempre altamente traumatici, che lo costringevano a lunghe assenze. Ma i difensori, quelli no. Nessuno poteva impedirgli di segnare, non c'era calciatore al mondo in grado di bloccarlo in un uno contro uno, pochi erano capaci di contrastarlo in un uno contro due. Forse c'erano giocatori in grado di sostenere un uno contro tre, ma solo se l'arbitro sorvolava sui calcioni che puntuali e inesorabili arrivavano, prima che si trovasse a fissare negli occhi gli atterriti portieri avversari.

Ronaldo Luís Nazário de Lima detto Il Fenomeno era tutto questo.
Era semplicemente il migliore del mondo
in quel momento, non aveva un Messi davanti ai piedi e non si preoccupava minimamente se nelle squadre avversarie giocavano difensori del calibro di Nesta e Maldini. Lui andava sempre dritto fino all’obiettivo – la porta avversaria – ed era praticamente infallibile.
Era più una forza della natura che un calciatore. Talento allo stato puro, la fantasia al potere, questione di geni. Era un palleggiatore irrefrenabile, un corridore potente e un finalizzatore di precisione infallibile. In effetti, la sua combinazione di velocità folgorante e potenza era qualcosa che di solito si vede solo nella realtà virtuale.
Era l'attaccante di PlayStation che ogni giocatore avrebbe creato solo per vedere come sarebbe stato se ci fosse stato in campo un giocatore così inarrestabile. Gli avversari potevano solo guardare e sperare, i difensori erano resi “obsoleti”. Ronaldo, nel suo apice calcistico, era un'allucinazione calcistica collettiva resa reale. Questione di dna. Cresciuto sui terreni sassosi del suburbio di Sao Cristovao e coltivato dalla natura stessa, senza l'assistenza di macchine o additivi. Il calcio “nudo”, l’inimitabile capacità di stordire gli avversari con una finta, con una giocata che nessuno di noi poteva aspettarsi e che solo pochi eletti sono in grado di immaginare. Un talento sopravvissuto alle intemperie del tempo e all'incuria, a una bulimia di junk food e belle donne che avrebbero messo in ginocchio qualsiasi essere umano comune, ma non lui che era capace di mandare in visibilio le platee e bucare le reti avversarie anche quando pesava più di un quintale.

Per capire il calcio di quegli anni, bisogna tornare indietro nel tempo, agli inizi degli Anni Novanta, in cui il Milan era la squadra da battere in Italia e in Europa. Dopo aver conquistato la Coppa dei campioni nel 1990 con Arrigo Sacchi in panchina, a prendere in mano le redini della squadra fu Fabio Capello nel 1991. Il tecnico friulano implementò uno stile di gioco funzionale ma elettrizzante che gli fece vincere tre Scudetti consecutivi e sconfiggere 4-0 il Dream Team del Barcellona di Johan Cruyff nella finale di Coppa dei Campioni del 1994. E, dopo una stagione di sosta col trionfo della Juventus di Marcello Lippi, nel 1995, l'anno successivo, tornò in cima alle gerarchie della Serie A. Non solo il Milano di Capello aveva una delle migliori retroguardie di tutti i tempi, con Franco Baresi e Paolo Maldini su tutti, ma in tutti i reparti aveva campioni e stelle internazionali per gentile concessione dei miliardi di Silvio Berlusconi. Marcel Desailly pattugliava incessantemente il centrocampo, Zvonimir Boban creava e Dejan Savićević dava il suo tocco di magia tra le linee. I rossoneri avevano tutto, e i loro grandi rivali cittadini non potevano che guardare con invidia.
In questo periodo l'Inter era solamente “l'altra” squadra di Milano ed era passata dal titolo dell’ 88/89 ad un anonima metà classifica con una velocità sconcertante. Tuttavia, nel 1995, Massimo Moratti divenne presidente del club e, nel tentativo di ringiovanire il gigante in difficoltà, spese molto sul mercato. Paul Ince fu uno dei primi ad arrivare, proveniente dal Manchester United, e nei due anni successivi l'inglese fu affiancato da una processione di nuovi entusiasmanti giocatori. L'Inter comprò Youri Djorkaeff, Iván Zamorano, Aron Winter, Nwankwo Kanu, Benoît Cauet e Diego Simeone nel tentativo di competere ancora una volta per lo scudetto.

E poi c'era Ronaldo. A soli 20 anni, il brasiliano era già un campione di fama internazionale e l'Inter pur di averlo pagò l’intero ammontare della clausola rescissoria di 48 miliardi di lire, una cifra record, al Barcellona nel giugno del 1997. In tutte le competizioni durante il suo anno con i catalani aveva segnato 47 gol in 49 partite, 54 gol in 57 partite il suo score col PSV Eindhoven nei due anni precedenti. Inoltre, nel 1996 fu incoronato miglior giocatore dell'anno FIFA, diventando il più giovane vincitore del premio. Ronaldo non firmò semplicemente un contratto, ma una vera e propria dichiarazione. In un periodo in cui molti dei migliori giocatori di tutto il mondo si trovavano in serie A, il migliore aveva scelto l'Inter come sua destinazione. La sfortuna era finita, la luce aveva fatto posto all’oscurità. Moratti aveva finanziato quell’incredibile campagna acquisti per non essere più solamente “l’altra” squadra di Milano, non più. Non c’era più il bisogno di maledire Berlusconi, la fortuna era girata e si poteva interrompere l’egemonia di Milan e Juventus.

I primi sei mesi furono sorprendentemente prevedibili. Ronaldo segnò gol su gol. E l'Inter vinceva regolarmente. I nerazzurri rimasero imbattuti per le prima 12 giornate del 1997/98 e si ritrovarono a lottare per il titolo con la Juventus punto a punto. Inoltre avevano battuto i rivali di sempre della Juve a San Siro grazie a un gol di Djorkaeff, propiziato proprio da un assist di Ronaldo dopo aver essersi sbarazzato di un paio di avversari, superato spalla a spalla Paolo Montero ed evitato un affondo da dietro di Ciro Ferrara, fornì un pallone facile facile al francese che andava solo spinto in rete. Gigi Simoni, nominato allenatore nell'estate del 1997, aveva plasmato la squadra sulle caratteristiche di Ronaldo che era l’unico finalizzatore, tutta la squadra giocava per lui, un'unità compatta, veloce, reattiva che sfruttava il contropiede e le qualità tecniche del brasiliano.
'Il Fenomeno' era l'unico giocatore dell'Inter a non rimanere dietro la palla nella fase difensiva, fungendo da faro per le transizioni in attacco dell'Inter con il suo passo, la sua forza e la sua corsa aggressiva. L'adattamento di Ronaldo ad un calcio così tattico ed impregnato sul migliore gioco difensivo al mondo, come quello italiano (a quei tempi), fu così rapido e degna di nota, che di pari passo alimentò anche le aspettative ed i sogni di proprietà e tifosi per un successo disperatamente desiderato da anni. Sulle spalle aveva un peso impressionante considerando anche il calibro di coloro che avevano fallito prima di lui. Quando nel 1997 si riconfermò vincitore del FIFA World Player, infatti, il podio vedeva anche due vecchie conoscenze nerazzurre, Roberto Carlos e Dennis Bergkamp, che dopo aver lasciato l’Italia videro brusche e positive evoluzioni nelle loro fortune personali.

Dopo qualche passo falso di troppo a metà stagione, gli uomini di Simoni vinsero sei partite di fila in campionato, con Ronaldo sempre in rete almeno una volta. Questa striscia positiva incluse anche una vittoria per 3-0 sul Milan in cui il brasiliano segnò una fantastica rete in lob. Il momento migliore per l’Inter ed il suo giocatore più rappresentativo.

Ma, crudelmente, per Ronaldo la sua prima stagione della Serie A, con la maglia dell'Inter, finirà con l'acrimonia piuttosto che con la celebrazione. In sostanza, la gara dove si giocò lo scudetto fu ridotta ad una partita: il Derby d'Italia tra Juventus e Inter. Si incontrarono allo Stadio delle Alpi con quattro partite rimaste, e con un solo punto che li separava ai vertici della Serie A. La tensione durante la partita fu altissima; tante sfide nelle sfide costellarono questo speciale scontro tra titani del calcio italiano; Simeone era costantemente braccato da Edgar Davids, mentre Ronaldo era ripetutamente tenuto fuori dall’area di rigore con delle marcature senza compromessi. Alessandro Del Piero aveva portato la Juventus in vantaggio a metà del primo tempo con un bel tiro improvviso. Ciò costrinse l'Inter ad attaccare a testa bassa dal momento che la sconfitta avrebbe portato il distacco a quattro punti.
E, a soli 20 minuti dalla fine, ci fu l’esplosione delle polemiche per il famosissimo scontro tra Mark Iualano e Ronaldo che l’arbitro Piero Ceccarini non considerò – allora come oggi – rigore. Il successivo ribaltamento di fronte vide invece un penality per Juventus per un fallo di Taribo West su Del Piero. Simoni e i suoi giocatori riuscirono a malapena a contenere la loro indignazione e, anche se il tiro dal discetto fu parato da Gianluca Pagliuca, la sensazione di essere stati defraudati durò per tutta la partita, che poi vinse la Juventus, e anche successivamente fino alla vittoria bianconera del campionato.

Lontano dai controversi confini italici, Ronaldo strabigliò la concorrenza continentale, aiutando l'Inter a vincere la Coppa UEFA. In finale sconfisse la Lazio con un peretorio 3-0 ed il Fenomeno man of the match.  Tuttavia, nonostante il finale vittorioso, la stagione Inter 1997-98 è stata permeata da un profondo senso di ingiustizia. Cosa sarebbe potuto essere? Questa è la domanda che tutti i tifosi dell'Inter si fanno in silenzio quando riflettono sugli anni di Ronaldo. La sua prima stagione era stata inebriante. Persino le più ostinate difese italiane erano state scardinate. Il suo stile di dribbling, una valanga di “contropassi”, finte e cambi di traiettoria si svolgevano tutti in una volta e alla velocità della luce, era affascinante, addirittura ipnotico. La sua esplosività era un'autentica meraviglia, ma anche allora il suo corpo era in costante lotta per stare al passo con se stesso. Nel 1998/99 sono iniziate i problemi fisici. Giocò solo 28 partite segnando 15 gol, meno della metà di quello che era stato il bottino alla sua prima stagione. L'Inter scivolò all'ottavo posto in campionato. Gli allenatori andavano e venivano, e poi tutto ritornava alla mediocrità come se fosse normale. Ronaldo si ruppe il tendine rotuleo del ginocchio destro il 21 novembre 1999 in una partita di campionato contro il Lecce. Cercò di tornare più forte di prima, ma a questo punto le pressioni da gestire erano troppe: il peso delle speranze del club, le aspettative dei tifosi, i riflettori dei media e le offerte milionarie di sponsorizzazione. Tornò nella finale della Coppa Italia del 2000, emergendo con impazienza dalla panchina per sostituire un compagno, implorando il suo corpo di soddisfare le sue richieste. Ma la sua ascesa da un inferno molto personale è durata solo sette minuti. Mentre fluttuava da una delle sue stesse finte ci fu una inquietante disperazione per il suo infortunio. In precedenza, il nome di Ronaldo evocava un'aura feroce. Il mondo aveva visto la sua grandezza, il suo tocco di palla, la sua velocità, il suo dribbling, ma ora quello che stava vedendo era orrido, stava assistendo ad un dramma. Era prono, era fragile e, a 23 anni, il suo futuro era incerto. Seguirono innumerevoli operazioni nel tentativo di riportarlo al suo meglio, ma saltò l'intera stagione 2000/01, quando l'Inter finì quinta. Nelle lacrime del 5 maggio 2002, si sciolse la sua ultima occasione. Ronaldo sarebbe poi risorto, ma non con l'Inter. E l'Inter avrebbe finalmente terminato la sua lunga attesa per uno scudetto, ma non con Ronaldo. Il sodalizio fra giocatore e club è stato, in definitiva, un'aspettativa insoddisfatta, ma che, anche se solo per un breve periodo, ha prodotto risultati spettacolari.

A me piace ricordarlo in un'istantanea del 3 marzo 1998. Ronaldo è dove preferisce essere: l'area di rigore avversaria. È l'andata dei quarti di finale di Coppa UEFA e l'Inter affronta lo Schalke in Germania. Johan de Kock osserva attentamente, senza dubbio sussurrando a se stesso: "Tieni gli occhi sulla palla". Olaf Thon interviene per aiutare il suo compagno di squadra. Ronaldo vede il tedesco venire e tira indietro la palla. De Kock allunga la gamba sinistra, ma Ronaldo trascina di nuovo la palla lontano dalla sua portata. Tre secondi, tre movimenti sottili, due difensori senza palla. Ronaldo continua. I tifosi dell'Inter guardano con la speranza negli occhi.

Perché questo era Ronaldo il Fenomeno. Un giocatore che da solo vinceva il Mondiale del 2002 in un Brasile pieno di operai, quello a cui bastava dare la palla nei pressi dell'area di rigore avversaria e poi ci pensava lui, quello che però negli allenamenti si fermava al primo giro di campo, ma quando era in partita faceva sedere sul prato chiunque provasse a fermarlo.
Non aveva di certo l'addominale scolpito, non aveva un'acconciatura da modello, né un fisico scultoreo, ma aveva tutto quello che era ed è necessario per essere considerato il più grande giocatore della storia del calcio.
Gli è mancata veramente solo una cosa, la fortuna.