A far tempo da martedì 20 febbraio, Juventus e Atletico Madrid inizieranno a darsi battaglia nei centoottanta minuti di gioco più eventuali supplementari degli ottavi di finale di Champions League. Una sfida che si preannuncia all’ultimo sangue dal momento che l’accesso ai quarti di finale della massima competizione continentale per club, rappresenta per entrambe le squadre l’obiettivo minimo stagionale.

Sulle panchine dei due prestigiosi club siedono due tra gli allenatori più quotati a livello mondiale, Massimiliano Allegri e Diego Pablo Simeone. L’italiano classe 1967 e l’argentino classe 1970 sono stati entrambi calciatori professionisti prima di diventare tecnici di valore internazionale. Due carriere che si sono sviluppate parallelamente, contraddistinte da importanti similitudini ma da altrettanto differenze.

Nell’attesa del responso del campo, proviamo a giocare un po’ andando ad analizzare cosa unisce e cosa divide questi due grandi strateghi della panchina.

SIMILITUDINI:

La praticità. Sia il livornese che l’argentino di Buenos Aires fanno parte di quella categoria di allenatori definiti all’”italiana”, vale a dire quel tipo di tecnici che prediligono la sostanza allo spettacolo fine a se stesso.
Recentemente Allegri ha dichiarato: “Quando non si attacca non bisogna vergognarsi di difendere bene perché l'obiettivo finale è il risultato che bisogna raggiungere in qualunque modo. Sono contento di quelli che fanno il calcio spettacolo, per me lo spettacolo lo si va a vedere al circo”, dichiarazione che lasciano pochi dubbi riguardo l’Allegri pensiero.
Diego Simeone la pensa in modo molto simile. Basti pensare che è stato addirittura coniato un neologismo per identificare il suo gioco: il Cholismo. Con questo termine si tende a identificare un gioco che attraverso la grinta, l’impegno, l’applicazione, la sostanza, lo stare stretti, uniti e compatti, può consentire anche chi è più debole tecnicamente di giocarsela, e spesso di vincere, contro avversari tecnicamente superiori. Un’idea di calcio dove il primo obiettivo non è quello di un gioco spumeggiante, fatto di tocchi di prima, colpi di tacco, giocate di fantasia, ma solo e unicamente la vittoria, da raggiungere con qualsiasi mezzo. Segnare un gol più degli avversari è l’unica cosa che conta, e se per farlo è necessario stare in undici dietro la linea del pallone e poi colpire in contropiede (oggi si chiamano ripartenze) va benissimo.

La cura della fase difensiva. Il mantra di entrambi è “Si vince con la difesa”. Le loro squadre, di norma, terminano i rispettivi tornei con il minor numero di gol subiti rispetto a tutte le altre compagini. Per entrambi la partita perfetta la si gioca quando non si subisce gol. Per la loro filosofia è molto più importante vincere uno a zero che cinque a due. Vincendo cinque a due il pubblico si sarà forse divertito di più, ma se la squadra ha subito due goal significa che nella fase difensiva ha commesso errori. E alla lunga, se non hai una fase difensiva perfetta, non vinci nulla; e questo lo dicono tute le statistiche, a qualsiasi livello. Potrai vincere qualche battaglia, magari anche in modo altisonante, spettacolare, ma se subisci troppo, alla fine le guerre le perdi. Molto meglio vincere un titolo segnando poco e giocando male che non vincere nulla pur magari segnando più gol.

Il gradimento dei propri atleti. Anche a distanza di anni, è raro sentire calciatori che sono stati allenati da loro parlarne male, anche se i due non hanno per nulla un carattere “facile”. Epici gli scontri fra Allegri e campioni del calibro di Ibrahimovic, Gattuso, Pirlo, Inzaghi, Lichtsteiner, Mandzukic, Dybala, Bonucci, ma tutti risolti con la schiettezza che contraddistingue il tecnico toscano; con il sorriso sulla bocca e senza rancori di alcun tipo. Anche il tecnico argentino pur essendo considerato un duro, e dispensando alle proprie squadre non poche urla e rimproveri durante allenamenti e partite, è molto amato dai suoi atleti grazie alla lealtà e al sostegno che non manca mai di dimostrare loro. Esattamente quello che farebbe un buon padre verso i propri figli. Famoso a tal proposito il “decalogo” che Simeone pretende dai propri atleti, tra i cui precetti spiccano: lavoro, sacrificio, disponibilità, determinazione e intensità, sia in partita che ancor di più durante gli allenamenti.

DIFFERENZE:

La duttilità. Simeone ha dimostrato nel corso della propria carriera di allenatore una visione del calcio tendente ad adattare i giocatori a sua disposizione al modulo di gioco da lui preferito, privilegiando quindi l’organizzazione rispetto all’individualità. Il Cholo nelle squadre fino ad ora allenate ha sostanzialmente alternato due soli moduli: il 4-4-2 e il 4-2-3-1. Quando si schiera con il primo di questi due moduli, il tecnico di Buenos Aires, al fine di rendere meno piatto il 4-4-2 di partenza, varia lo schieramento base attraverso i movimenti degli esterni di centrocampo. Ne alza uno in fase di possesso palla, passando quindi ad un 4-3-3 e abbassa l’altro in fase di non possesso in modo da formare una sorta di 5-3-2 molto solido e difficile da penetrare quando gli avversari attaccano. Il suo 4-2-3-1 è invece una variazione al 4-4-2 classico con entrambi gli esterni di centrocampo tenuti alti e un trequartista dietro la prima punta, modificando quindi la classica formula con un’attaccante di riferimento centrale e una seconda punta che gli gira attorno a svariare su tutto il fronte d’attacco.
Allegri si è invece dimostrato un tecnico molto più duttile dal punto di vista tattico, privilegiando le caratteristiche individuali dei propri atleti e adeguando ad esse il modulo di gioco. Basti pensare che all’inizio della propria carriera e fino agli anni in cui era tecnico del Milan, Allegri aveva come punti fermi delle proprie squadre la linea difensiva, rigorosamente a quattro e il centrocampo a tre, con un mediano a fare da schermo davanti alla difesa affiancato a destra e sinistra da due mezzali dinamiche, di gamba e con buona capacità di inserimento. Dal centrocampo in su, schierava tre giocatori con spiccate doti offensive, ma senza una regola fissa. Ecco che dalla trequarti in su, in relazione alle caratteristiche dei calciatori presenti in rosa, poteva esserci un trequartista e due punte, due ali e un centravanti classico piuttosto che una prima punta con alle spalle due fantasisti - mezze punte.
Una volta passato alla Juventus e accortosi che la famosa BBC, vale a dire la difesa a tre composta da Barzagli, Bonucci e Chiellini, rappresentava il punto di forza della squadra, non esitò a impostare in quel modo la propria linea difensiva, strutturando la squadra con un classico 3-5-2 che in fase di non possesso diventava un solidissimo 5-3-2. Dopo aver vinto con i bianconeri due scudetti sfruttando al massimo questo modulo di gioco, a metà del terzo anno di permanenza sulla panchina bianconera, fiutando che quel 3-5-2 era diventato un po’ asfittico e prevedibile, in una fredda domenica d’inverno in occasione di una gara interna contro la Lazio si inventò il famoso modulo a cinque stelle. Schieramento che prevedeva una difesa a quattro con Barzagli terzino destro bloccato, Bonucci e Chiellini copia centrale e Alex Sandro sull’out sinistro. Un centrocampo a due con Pjanic e Khedira e il famoso attacco stellare, con tre uomini di fantasia (da destra a sinistra, Cuadrado, Dybala e Mandzukic) alle spalle del bomber di riferimento, il “Pipita” Higuain.
Modulo che mantenne invariato per quel finale di stagione e per tutto l’anno successivo, per tornare a correggerlo nel corso dello scorso campionato, portandolo verso un più pragmatico 4-3-3, con tre uomini in mezzo al campo a dare maggiore protezione ad una difesa che, anche complice il passare delle primavere, mister Allegri non riteneva più così solida come un tempo. Fino ad arrivare al campionato attuale in cui la Juventus spesso si schiera in campo con un 4-4-2 piuttosto classico, con Matuidi mezzala sinistra che grazie al suo dinamismo e alla sua capacità di corsa, in fase di non possesso collabora con l’esterno basso alla copertura dell’out sinistro. Tutto questo per dare solidità alla squadra e per sfruttare al meglio il tandem d’attacco composto da Cristiano Ronaldo e Mario Mandzukic.

Le carriere da giocatori e da allenatori. Allegri e Simeone hanno raccolto in maniera molto differente, nelle rispettive carriere da giocatori e da allenatori.
Allegri da calciatore, pur avendo giocato come professionista per quasi vent’anni, non ha ottenuto grandi risultati; certamente meno di quelli a cui avrebbe potuto ambire se soltanto avesse messo nell’attività di calciatore un impegno diverso. Mezzala offensiva e anche trequartista di buona qualità, dotato di ottima visione di gioco e di piedi buoni, non sempre abbinava a questi talenti l’altro ingrediente che serve per diventare campioni a tutto tondo: il carattere. Il classico genio e sregolatezza.
Simeone ha invece ha raggiunto grandi risultati da calciatore. Centrocampista di grande sostanza (mezzala o mediano), personalità, dinamismo e facilità nell’andare in rete, a livello di club, vestendo le maglie di Siviglia, Atletico Madrid, Inter e Lazio ha ottenuto trofei importanti quali una Liga, una coppa del Re, uno scudetto italiano, una coppa Italia, una Supercoppa Italiana, una coppa Uefa e una Supercoppa Uefa. Anche a livello di nazionale è stato un atleta importante, disputando con la “camiseta albiceleste” ben tre Campionati del Mondo e quattro Coppe America, vincendone ben due (1991 e 1993). Molto diverse fino ad ora anche le carriere da allenatori che, a differenza di quanto accaduto ai due quando giocavano, vede Mister Allegri sopravanzare nettamente il collega argentino a livello di trofei conquistati. Cinque scudetti italiani, quattro coppe Italia, 3 Supercoppe d’Italia, un campionato di serie C e una Supercoppa di serie C, contro una Liga spagnola, una coppa di Spagna, una Supercoppa spagnola, due Europa League e due Supercoppe Uefa per il tecnico argentino.

Il tipo di Leadership. Entrambi leader, sia come giocatori che come allenatori, con grandi capacità di motivare i loro atleti e collaboratori a raggiungere obiettivi comuni e condivisi, sono portatori di due stili di leadership molto diverse. Più “autoritaria” quella di Simeone, fatta di regole, impegno, rispetto, grinta, determinazione, gestione maniacale dei dettagli. Una visione del capo come colui che impone la propria vision, esigendo rispetto senza ammettere troppe repliche da parte del gruppo da lui diretto. Più “partecipativa”, “visionaria”, quella di Allegri. Un tipo di leadership mano rigida, più flessibile, ma proprio per questo possibile da esercitare soltanto da un capo carismatico, sicuro di sé e fortemente empatico. Qualità che gli hanno consentito nel corso degli anni di creare gruppi coesi e di far emergere il meglio da ogni componente dei propri team. Due tipi di leadership molto diverse fra loro ma altrettanto efficaci.