La pochezza bianconera nella partita di Champions contro l’Atletico Madrid - dell’invasato Simeone - sembra aver smosso la coscienza di molti circa la bontà del progetto tecnico e ringalluzzito i detrattori di Allegri. Pochi, e piuttosto rari, gli interventi a sostegno della compagine bianconera con un ritorno ancora da giocare.
D’altro canto spuntano fuori, come funghi, decine di figure tra addetti ai lavori, ex tecnici e giocatori, opinionisti, tuttologi improvvisati ecc. che custodivano, da tempo, la verità in tasca, solo che hanno aspettato che si rivelasse a tutti prima di rivendicarne la autenticità. Intanto, se è vero che solo gli stupidi non cambiano mai idea, e quindi chi per “opportunismo”, o scarsa perspicacia, oggi ha cambiato opinione, è altrettanto pacifico che non c’è particolare merito nel rinsavire quando la fruttata è già (mezza) fatta.
Io, che ho sprecato tempo e parole, talvolta intasando questa rubrica contro l’operato del tecnico bianconero, spesso tacciato come eretico per aver dubitato di chi, anno dopo anno, alzava trofei in Italia (e nemmeno tutti) - pur con una squadra che vanta tra le riserve giocatori spesso più forti dei titolari delle dirette concorrenti - dopo Madrid non ho goduto, né ho provato rivalsa, anzi. Piuttosto approfitto della presa di coscienza collettiva e guardo avanti, senza indugiare ancora sul calcio stitico, lento e antiestetico, nonché provinciale di Allegri.
Ormai è una verità condivisa e, come tale, appartiene agli appassionati di calcio come agli appassionati di cricket.

Detto ciò, chi doveva valutare l’operato del mister, più di chiunque tifoso o “esperto” pallonaro, era la società. E se la stagione in cui si porta a Torino CR7 dovesse concludersi - in Europa - con un’uscita agli ottavi di Champions e con un titolo nazionale, sarebbe un fallimento. Anche perché, le primavere del fenomeno portoghese cominciano ad essere tante per pensare di poter pianificare troppo in là un obiettivo che manca alla Juve da 23 anni. Una società che punta ai mercati globali e al rilancio del brand in campo internazionale, che vanta un fatturato da top club e gode di rinnovato appeal anche tra i migliori giocatori del panorama calcistico mondiale, non può perseverare su un progetto tecnico desueto, non in linea con gli standard (vincenti) del calcio europeo. Soprattutto del modello spagnolo. Non c’è niente di male ad ammettere che la scuola calcio italiana è superata da un sistema di gioco più propositivo, dinamico, dove si predilige la tecnica (e no la “fisicità”), votato alla ricerca del risultato attraverso lo spettacolo. E non è un caso che l’Italia faccia fatica in campo internazionale, discorso che vale sia per i club e che per la nazionale. Così come è tutt’altro che bollito chi, come Sacchi, da anni predica invano l’esigenza di un cambio di mentalità. Una volta si chiamavano saggi e si ascoltavano. In fondo, come in tutte le cose, anche nel calcio vale la regola che fare bene qualcosa significa, quasi sempre, farla meglio.

Eppure la dirigenza bianconera non ci sente da questo orecchio. Tuttavia è disposta anche a ristrutturare il debito con un’emissione di bond pur di consolidarsi nell’olimpo delle grandi e rimanere competitiva, ma poi si presenta con Allegri in panchina e con il suo calcio diversamente giocato. E c’è poi ci sarebbe da chiedersi se il “depotenziamento” di profili tecnici come Douglas Costa, Dybala, Bernardeschi ecc., a scapito di Mandzukic che non giocherebbe esterno nemmeno in Cina (figuriamoci nel calcio che conta), non comporti anche minusvalenze in termini di valutazione di mercato di giocatori che potrebbero avere ben altro rendimento se impiegati con sapienza.
Chissà cosa ha pensato Agnelli quando ha visto De Sciglio titolare a Madrid, ovvero un giocatore che fa discretamente nove giocate scolastiche su dieci, e in panchina un investimento come Cancelo, capace di assicurare nove giocate di classe, e quindi decisive, su dieci.
Arrivati a questo punto, rinnovare il progetto tecnico deve rappresentare per la Juve una necessità, non un’eventualità. Che poi è l’ultimo tassello (ma il più importante) che manca per completare un meraviglioso percorso di crescita che, a dire il vero, da tempo appare essersi arenato nonostante gli ingenti investimenti.
Averlo pianificato solo per giugno una colpa per aver alimentato, in questi anni, troppi rimpianti, soprattutto per aver saputo riscrivere la storia del campionato italiano con una serie lunghissima di vittorie, ma al tempo stesso aver tristemente mancato, ancora una volta, l’appuntamento per diventare leggenda consacrandosi nel calcio che conta.