Agnelli sembri volver confermare sulla panchina il pluriscudettato Allegri, nonché euro fallito. Se il tecnico bianconero dovesse persino spuntarla per il rinnovo con adeguamento ci sarebbe da ridere. Il presidente juventino sta collezionando trofei nazionali e rimpianti europei, ma ancora non ha capito che il calcio italiano è ancorato ad una scuola superata, con buona pace dei dinosauri che si professano pro Allegri, e che non riescono a vincere nemmeno in Cina. Un modello di calcio che nonostante le indimenticabili vittorie in campo internazionale, sia come nazionale che come squadre di club, non tornerà più.

Il calcio si è evoluto a tal punto che non potrebbe mai concepire il tatticismo esasperato - associato alla stitichezza offensiva - come unica soluzione percorribile. Basandosi su logiche di spettacolo associate ad uno degli sport più belli al mondo, ha sviluppato un business globale. Difficile immaginare che si possa tonare indietro. O che si possa investire ancora sul prodotto scadente italiano, di cui Allegri ne incarna la massima espressione.

Che poi dove sta scritto che se giochi bene arrivi terzo? Non è forse vero che fare una cosa bene aiuta a farla meglio? Tuttavia le chiacchiere di Allegri possono essere propinate solo a chi, per opportunismo o partigianeria, è costretto ad accettarle come verità assoluta, la sola. Naturale che nei salotti in TV fa rumore chi osa mettere in discussione l’egemonia provinciale della grande Juve dei potenti Agnelli. Piuttosto meglio allinearsi, non si sa mai. Adani è un saccente, non uno scriteriato. Il calcio non è una scienza, non ci vuole chissà quale studio illuminato per poterne capire le dinamiche. Altrimenti non si spiega la proliferazione di semi analfabeti che popolano il mondo pallonaro. Di calcio possono parlane tutti caro Allegri, dal tifoso al bar sport agli addetti in TV. Non è roba solo per boriosi che si atteggiano dall’alto di pulpiti dorati, al cospetto di poveri incapaci di rivendicare un giudizio. Perché i tifosi guardano il calcio per passione, non ci guadagnano. Al massimo ci rimettono, e di sicuro contribuiscono a rendere ovattato un mondo che spesso li considera come opzionali.

Per giocare a calcio bisogna possedere le giuste qualità tecniche, talento e una gran dose di fortuna. Per giocarci in Italia serve – troppo spesso – anche la raccomandazione. Nulla di nuovo, c’è poco da scandalizzarsi. Quando non c’è la famiglia ad agevolare la carriera dei pargoli, ci vuole l’amicizia di faccendieri (e questo vale in tutto, non solo nel calcio). Ecco perché è facile vedere nei settori giovanili figli d’arte, oppure profili proposti da una rete di scuole associate, tante più floride quanti più squali si aggirano intorno. Il talento e il merito sono sciocchezze per romantici, sono piuttosto rare le occasioni in cui emergono le doti dei ragazzi.

Per fare l’allenatore basta pagare e iscriversi ai corsi. Ma poi per sederti in panchina valgono le dinamiche sopra esposte. La carriera di Gattuso post giocatore, in questo senso, è da briefing illustrativo. Copia e incolla per guadagnarti una scrivania e occuparti di calcio. Oppure pensiamo che l’ex presidente uscente della FIGC, Carlo Tavecchio, eletto dalla stragrande maggioranza delle leghe guidate da masaniello Lotito, abbia ricoperto la massima carica istituzionale pallonara per merito. Perché trovare di peggio è un’impresa, anche pescando ad occhi chiusi tra i passanti di una città qualunque. O che la Capotondi sia legittimata ad occuparsi di calcio solo perché suo nonno l’ha portata a vedere la Roma. E il sottoscritto, per inciso, non ambisce a fare il giornalista, né tantomeno l’allenatore e nemmeno ha figli che sognano di fare i calciatori. Io non guardo il calcio per convenienza, ma solo per passione.

Di conseguenza, mi scuseranno quanti troveranno scomodo chi, come me, occupa posizione terze e rivendica opinioni proprie. Non credo debba vestire la camicia di forza se sostengo la pochezza del calcio italiano, e non riconosco chissà quali meriti ad un Allegri che prende ceffoni appena incontra una squadra che gioca a calcio. Mi spiace ma non ci vedo grandi capacità nel vincere in Italia con un rapporto di forza almeno doppio della concorrenza.

Giusto tre anni fa, nel primo articolo nella community, celebravo la grandezza della Juve che riusciva a risollevarsi dalle macerie di calciopoli, individuando in Allegri il punto debole per le ambizioni bianconere. Quelle che fanno la differenza tra storia e leggenda. Dopo tre stagioni siamo ancora qui, allo stesso punto. E se nemmeno con CR7 si va oltre l’Ajax allora due sono le soluzioni: o Agnelli mette a disposizione del tecnico bianconero anche Messi, De Ligt, Mbappe ecc.., per riproporre in Europa lo stesso rapporto di forza che gli permette di primeggiare in Italia nel nulla, oppure è giunto il momento che il presidente si svegli.

Tra l’altro, ad Allegri non rimprovero solo il gioco, ma anche la gestione della rosa, con la fissazione per i profili prossimi alla pensione (e non parlo certo di Ronaldo) scartati da anni dal calcio che conta; per il modo in cui impoverisce le qualità tecniche dei giocatori più dotati a scapito dei muscoli dei paracarri (di solito quelli come Matuidi agiscono come frangiflutti nella mediana, non giocano nella trequarti con Dybala arretrato); per come utilizza i giovani. Io non sono sicuro, ma di più, che se Mbappe venisse dalle giovanili della Juve non si sedeva nemmeno in panchina. Al massimo poteva aspirare al prestito biennale in società satellite.

Uno studio recente parla di 34 milioni di italiani interessati al calcio, di questi 33 milioni tifano per almeno una compagine di Serie A e 19 milioni (ovvero il 37% circa della popolazione adulta) si dichiarano accaniti tifosi che leggono articoli sul calcio e si informano più volte a settimana. La Juve con quasi 14 milioni di tifosi è la squadra più amata. Se consideriamo che la maggior parte dei tifosi bianconeri non ama Allegri, e che chi professa altra fede - piuttosto che neutrale - rivendica posizioni anti juventine, possiamo tranquillamente sostenere che il tecnico bianconero è mal digerito da circa una trentina di milioni di appassionati: se ne faccia una ragione.  

Tuttavia, come detto prima, i tifosi sono opzionali: non hanno voce in capitolo. E se il rumore di questi inutili romantici - senza senno - dovesse disturbare la quiete di chi vuol fare dei propri limiti l'unico dogma del calcio, ad Agnelli non resta che presentare il nuovo prototipo di tifoso sostenibile: lo JJ-supporter. Magari sarebbe una soluzione anche per certi salotti televisivi con giornalisti sovversivi, da sostituire con lo JJ-giornalista. E chissà che non sia la volta buona di celebrare l’ennesimo scudetto come la coppa tanto agognata, nonché attesa da ben 23 anni (quasi 24).