La recente e inaspettata convocazione, da parte della nazionale argentina, di Soulé, giovane fantasista della squadra Under 23, offre ad Allegri l’occasione, nel corso della conferenza stampa alla vigilia di Juventus - Fiorentina, di seppellire qualsiasi  sogno o aspettativa che i tifosi possano coltivare riguardo ai ragazzi del settore giovanile che si stanno affacciando sul palcoscenico del calcio dei grandi. Con i suoi consueti toni secchi e una punta di arroganza, Allegri si barrica dietro concetti ormai evidentemente superati, appartenenti ad un’epoca e ad un calcio che si allontanano sempre di più nel tempo. Il tecnico parla di una maturità calcistica che si raggiunge dopo i 25 anni e della necessità di raggiungerla attraverso una lunga catena di prestiti che dovrebbe portare un ragazzo a scalare le varie categorie (Serie C, Serie B, bassa Serie A). Solamente a quel punto, secondo Allegri, è possibile capire se un giocatore possa essere inserito nella rosa della prima squadra. 

Evidentemente ignaro di vivere in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione offrono la possibilità di informarsi su quanto accade in ogni angolo del mondo, il tecnico, con le sue affermazioni, dimostra di non essere al corrente su quello che succede all’estero, anche nelle grandi squadre. Vorrei chiedere ad Allegri quale filiera di prestiti abbia favorito l’esplosione di Alexander Arnold e l'inserimento in pianta stabile di Curtis Jones nella rosa del Liverpool. Quale percorso abbiano compiuto Foden e Zinchenko nel Manchester City, Rashford e Greenwood nel Manchester United, Pedri e Ansu Fati nel Barcellona (e, a proposito dei catalani, verrebbe quasi da chiedersi se il tecnico toscano avrebbe proposto un passaggio in serie B anche per Iniesta, Busquets, Xavi o magari Messi. “L’è piccino, deve farsi le ossa”, mi sembra quasi di sentirlo). Oggi tutti giocatori affermati e costosissimi ma, fino a pochi anni fa, giovani promesse alle quali le società di appartenenza hanno offerto la possibilità di completare la loro maturazione a contatto con la prima squadra. L’elenco è lunghissimo e coinvolge tutte le squadre europee, più o meno importanti, ed apre una riflessione sulla differente maniera di costruire le rose. Nonostante la disponibilità economica praticamente illimitata, squadre come il Manchester City e il Liverpool basano l’ossatura della rosa su un nucleo forte di 16/17 giocatori. Il resto arriva dalle giovanili. In questo modo si aprono gli spazi per i ragazzi che dimostrano di meritare un’occasione, di viverla dentro il club in cui sono cresciuti e per il quale rappresentano un potenziale tecnico ed economico. 

Alla Juventus non succede, forse non è mai successo, dal momento che l’ultimo frutto del vivaio bianconero rimane Marchisio, la cui ascesa fu favorita probabilmente dalla retrocessione in serie B e sicuramente dal coraggio di Deschamps, che all’epoca vide in lui un elemento su cui lavorare direttamente nonostante la giovanissima età. Alla Juventus si allestiscono rose di 24/25 giocatori, tutti praticamente formati, tutti con un costo rilevante. Parlare con il senno del poi ovviamente è facile, ma viene da chiedersi cosa sarebbe cambiato in questa stagione se al posto di Ramsey e Arthur, costosissimi ma inutilizzabili, fossero rimasti in rosa Fagioli e Ranocchia, oppure se ci fossero Dragusin e De Winter (altro elemento interessante dell’Under 23 insieme con Miretti, Sekulov e Da Graca) come alternative in difesa al posto di Rugani. Forse avremmo assistito ad una crescita tecnica di questi ragazzi e di conseguenza all’aumento di un valore economico per la società. Forse ci saremmo ritrovati con degli uomini in meno, esattamente come in questo momento. Sicuramente, non avendo a bilancio i costi dei  giocatori citati, ci sarebbe lo spazio economico per intervenire sul mercato e acquistare almeno un giocatore di livello.

Quando parla, il tecnico forse dovrebbe anche ricordarsi che una recentissima finale di Champions League è stata decisa da un ragazzo che, arrivato giovanissimo alla Juventus, preferì andarsene dopo una sola stagione. Il ragazzo era Coman, l’allenatore, in quel suo unico anno in bianconero, fu Allegri.

Preso atto delle anacronistiche idee del tecnico juventino sui giovani, arriva il momento di concentrarsi sulla partita in programma allo Stadium. Si presenta per la Juventus la necessità di trasferire anche in campionato tutto quanto di buono ha mostrato nella recente sfida europea contro lo Zenit. A Torino, per l’anticipo del sabato pomeriggio, si presenta la Fiorentina che, la scorsa stagione, con la vittoria a sorpresa sul campo torinese, diede il via alla lunga crisi della Juventus. I bianconeri, senza Szczesny fermato da un problema fisico alla vigilia della partita, perdono all’ultimo momento anche Chiellini, bloccato da un infortunio quando era già stato annunciato nella formazione ufficiale. Toccherà quindi a Perin difendere la porta bianconera dagli attacchi di Vlahovic e compagni. Davanti al portiere, Allegri schiera una linea di quattro difensori formata da Danilo, Rugani, De Ligt e Alex Sandro. In mezzo al campo, scelta di discontinuità rispetto alla partita di coppa con l’inserimento di Rabiot, pungolato dal tecnico durante la conferenza di presentazione, al posto di Bernardeschi. Chiesa, McKennie e Locatelli completano il reparto. Si torna al modulo “storto” dunque. In avanti, ancora spazio per Dybala e Morata.

La Fiorentina di Italiano, reduce da un buon periodo di forma, si presenta sul prato dello Stadium, con Terracciano in porta, protetto da una linea difensiva di quattro uomini composta da Odriozola, Milenkovic, Martinez Quarta e Biraghi. Bonaventura, Torreira e Castrovilli agiranno in mezzo al campo, mentre Callejon, Vlahovic e Saponara formeranno il trio d’attacco.

Il collegamento di Dazn con lo Stadium si apre con le squadre, vestite nei loro tradizionali colori, già pronte nel tunnel degli spogliatoi. Le tribune, grazie ad una politica dei prezzi ricalibrata almeno parzialmente verso il basso, presentano un buon colpo d’occhio. Nel rispetto del protocollo anti covid, è la Fiorentina ad entrare per prima in campo, seguita pochi istanti dopo dalla Juventus.

Al fischio dell’arbitro Sozza, la Fiorentina batte il calcio di inizio e tiene la palla praticamente per i primi dieci minuti. Come al solito molto aggressiva, la squadra di Italiano dimostra di essere venuta a Torino senza particolari timori. La Juventus, come troppo spesso accade quando incontra un avversario che si dimostra propositivo, si abbassa a protezione dell’area di rigore, isolando i suoi attaccanti che, fin da subito, si ritrovano a contendere ad avversari sempre in superiorità numerica i palloni rilanciati dalla difesa. Rispetto alla recente partita contro lo Zenit, difensori e centrocampisti accompagnano poco la fase offensiva. I due terzini sono più attenti a coprire l’eventuale possibile ripartenza di Callejon e Saponara piuttosto che a supportare l’azione spingendo lungo le fasce.

Viene fuori un primo tempo equilibrato, nel quale fino alla mezz’ora non si registrano vere e proprie occasioni da gol. Un colpo di testa di Callejon facilmente controllato da Perin, una ripartenza di Morata conclusa da un sinistro alto di Dybala e un contrasto al limite dell’area piccola tra De Ligt e Terracciano, con conseguenze poco piacevoli per l’occhio destro del portiere, colpito inavvertitamente dall’olandese, racchiudono le emozioni espresse dal campo fino a quel momento.

Al ritmo imposto dalla squadra viola, la Juventus risponde gestendo per quanto possibile il pallone con i suoi difensori e rallentando il gioco. Cerca lo spiraglio per colpire in contropiede senza mai trovare l’iniziativa vincente. Dybala, sempre più spesso, è costretto a scendere fino al limite della propria area di rigore per cercare di favorire l’avvio dell’azione con la sua qualità. Gli esiti però non sono quelli sperati. In un paio di circostanze anche l’argentino commette errori di passaggio che vanificano sul nascere la possibilità di ripartire. Invano, per tutto il primo tempo, il capitano bianconero invita la squadra ad alzare il baricentro e a giocare una partita più propositiva.

La prima vera palla gol dell’incontro nasce da un’iniziativa di Odriozola che spezza il raddoppio di marcatura portato da Alex Sandro, da alcuni minuti in evidente difficoltà a causa di un problema muscolare, e Rabiot e serve un pallone invitante al centro dell’area sul quale Saponara non riesce a trovare la giusta coordinazione, finendo per calciare troppo alto sopra la traversa.

La gara scivola via così, con la Fiorentina più intraprendente ma alla resa dei conti incapace di produrre vere occasioni da gol, oltre a quella non capitalizzata da Saponara, fino al fischio conclusivo della prima frazione di gioco che arriva dopo un piccolo brivido per i tifosi bianconeri, costretti a trattenere il fiato a causa di un prolungato controllo degli arbitri al Var per un presunto tocco di mano di Danilo in area, sugli sviluppi di una punizione calciata da Biraghi dalla trequarti, proprio allo scadere dell’unico minuto di recupero concesso dal direttore di gara. Gli arbitri in sala Var, al termine del controllo, non ravvisano però gli estremi per richiamare Sozza a riguardare l’azione al monitor. Il primo tempo si chiude quindi sullo 0-0 e per quello che (non) si è visto sul terreno di gioco sembra il risultato più giusto.

Nel corso dell’intervallo, i soliti amici si interrogano sui motivi che possono portare ad una differenza tanto evidente di prestazioni a distanza di pochi giorni. Difficile credere che dipenda da una differenza netta di valori tra Zenit e Fiorentina, più verosimilmente le cause possono essere ricercate nel differente atteggiamento mostrato dalle due avversarie che si sono presentate allo Stadium. Il modo di giocare più disinvolto e aggressivo della squadra di Italiano ha forse suggerito ad Allegri di interpretare la partita in maniera più difensiva, rinforzando il centrocampo con un terzo mediano, badando soprattutto a difendere bene e affidando le possibilità di andare in rete alle iniziative dei tre giocatori offensivi. Difficile però ottenere anche lucidità da giocatori costretti ad una partita di combattimento contro tutta la difesa avversaria e sempre ad almeno 50 metri dalla porta quando entrano in possesso di palla.

La Juventus si presenta in campo per il secondo tempo con Pellegrini che, come preannunciato nei minuti finali della prima parte di gara, prende il posto di Alex Sandro infortunato. I bianconeri si rendono subito pericolosi in avvio di ripresa con Morata, bravo ad aggirare Milenkovic e a calciare in porta, mancando la rete per una questione di centimetri. L’illusione di vedere nella ripresa una Juventus più determinata nell’inseguire il successo viene però immediatamente frustrata da uno svolgimento di gara che ricalca quanto visto nella prima frazione di gioco. Rispetto ai primi quarantacinque minuti, la Fiorentina accusa un prevedibile calo atletico. La pressione è meno ordinata, gli interventi meno lucidi. Milenkovic ricorre più volte alle maniere rudi per contrastare Morata, rimediando l’ammonizione. Italiano interviene sulla sua formazione togliendo dal campo Torreira, sotto tono ed in evidente difficoltà contro un ottimo McKennie, e inserendo Amrabat. 

La partita scorre in maniera frastagliata. Tanti interventi arbitrali spezzano ulteriormente il ritmo. La Juventus, come spesso abbiamo visto negli incontri precedenti, propone una fase offensiva priva di continuità, sotto certi aspetti frammentata. Si presenta ancora al tiro con Rabiot, al termine di una buona trama che ha coinvolto Danilo, McKennie e Dybala ma poi torna per lunghi minuti ad abbassarsi davanti alla propria area di rigore. Non si contano vere e proprie palle gol da nessuna delle due parti. Vlahovic ingaggia un duello ruvido con De Ligt, uscendo spesso sconfitto. Morata, Chiesa e Dybala sono sempre costretti ad iniziare l’azione con le spalle rivolte alla porta avversaria e a giocare una partita molto fisica per contendere ai difensori viola le palle in uscita dalla difesa.

L’incontro, incanalato su uno 0-0 che può essere scardinato solo da un episodio, vive uno dei suoi momenti cruciali intorno alla mezz’ora del secondo tempo quando Milenkovic ferma Chiesa ricorrendo ad un intervento falloso di troppo. Inevitabile, arriva per il centrale serbo il secondo cartellino giallo. La Fiorentina rimane in dieci.

Adesso la Juventus, con un uomo in più, è praticamente costretta a cambiare la sua partita per cercare di uscire dal pomeriggio torinese con l’intera posta in palio. La squadra di Allegri alza il ritmo e si riversa nella metà campo della Fiorentina. Va subito vicinissima alla rete. Chiesa triangola con Locatelli, difende palla sul passaggio di ritorno, alto e lento, da parte del compagno e lascia partire un destro terrificante che colpisce la parte bassa della traversa. Mentre in tv scorre il replay di quel pallone che quasi rischia di spaccare la porta, il tifoso non può fare a meno di aggiornare il conto dei legni colpiti dai bianconeri nelle ultime partite. Scampato il pericolo, Italiano ridisegna la sua squadra mandando in campo, nel giro di pochissimi minuti, Sottil, Igor, Duncan e Nastasic. Sono Saponara, Callejon, Bonaventura e Castrovilli a lasciare spazio ai nuovi entrati. Allegri gioca invece la carta Cuadrado richiamando in panchina Rabiot, autore peraltro di una prestazione quanto meno sufficiente.

Tra cambi, interventi arbitrali e prevedibili perdite di tempo, la partita vive tanti momenti di interruzione che contribuiscono ad impedire alla squadra di Allegri di salire di ritmo e di intensità. Si difende bene la Fiorentina, aiutata anche dalla troppa frenesia e precipitazione dei giocatori bianconeri che raramente trovano la necessaria lucidità per saltare il muro difensivo viola. Quando riescono a manovrare però arrivano buone occasioni. Un fuorigioco di pochi centimetri cancella la rete di Morata, arrivato per primo su un cross di Cuadrado. Ancora Chiesa, servito da un’iniziativa dell’ala colombiana, impegna Terracciano con un tiro scagliato dal cuore dell’area. Allegri lancia nella mischia anche Kaio Jorge quando mancano appena un paio di minuti al termine della partita. Un cambio che, meglio di tante parole, testimonia la poca fiducia che il tecnico ripone nei giovani talenti. Lascia il campo Morata, al quale per impegno, sacrificio, difficoltà della partita è difficile muovere critiche se non per la tendenza a finire in fuorigioco qualche volta di troppo.

Il novantesimo è scoccato. Il quarto uomo ha appena segnalato quattro minuti di recupero che al tifoso davanti alla tv sembrano troppo pochi, quando Cuadrado, ricevuta palla da Locatelli, attacca la porta dalla destra, partendo dal lato corto dell’area. Il colombiano punta Biraghi, sposta il pallone e calcia di potenza battendo Terracciano. Il replay evidenzia una leggera deviazione, decisiva, del terzino viola. La Juventus è in vantaggio. Lo Stadium esplode di entusiasmo. I quattro minuti di recupero che un attimo prima apparivano pochi, adesso sembrano diventati di colpo troppi. Allegri, trovato il vantaggio, manda in campo Bentancur per alzare l’argine a centrocampo. Gli lascia il posto Dybala, autore di una prestazione sicuramente sufficiente anche se non allo stesso livello di quelle offerte contro Verona e Zenit.

Gli ultimi minuti trascorrono con la normale tensione di chi sta vivendo una stagione nella quale, spesso, anche il dettaglio all’apparenza meno significativo gira per il verso sbagliato compromettendo il risultato. Nedved e Agnelli seguono il finale in piedi in tribuna. I volti tradiscono l’evidente concentrazione. Non accade più nulla. Terminato il recupero, prolungato fino a sei minuti, l’arbitro Sozza decreta la conclusione dell’incontro. La Juventus ottiene la vittoria al termine di una prestazione certamente non bella, in cui la squadra non ha mai trovato, almeno in parità numerica, una vera continuità nel proporre gioco offensivo. Arriva un altro 1-0 che certamente farà molto felice Allegri per il quale l’importante è difendere bene perchè un gol prima o poi si fa. Questa volta ha avuto ragione sul filo di lana. Resta però la sensazione che la squadra avrebbe da offrire molto di più.

Tornano a farsi sentire dopo la partita gli amici su whatsapp. Contenti naturalmente per la vittoria ottenuta, decisamente meno per il gioco esibito dalla squadra. Un paio di battute su un noto giornalista di dichiarata fede viola e, soprattutto, il riconoscimento per la partita giocata da McKennie. L’americano, migliore in campo nel pomeriggio torinese, è stato protagonista di una delle sue migliori partite in bianconero, nonostante questa volta non abbia avuto l’opportunità per concludere a rete. Sempre presente nelle principali azioni proposte dalla Juventus, ha saputo offrire tocchi preziosi alla manovra e un grande contributo di intensità ed energia anche in fase di non possesso palla, portando alla causa un buon numero di contrasti vinti e palloni recuperati. 

Si chiude quindi con i tre punti questo ciclo di partite, annunciato alla vigilia da Allegri come decisivo per capire quali saranno gli obiettivi e le ambizioni che la Juventus dovrà porsi. Le cose non sono andate come l’allenatore si aspettava. Le sconfitte contro Sassuolo e Verona hanno estromesso la squadra dalla lotta per il titolo e inclinato in severa pendenza la strada che porta al quarto posto. Rimane, al rientro dalla sosta, un campionato da affrontare una partita per volta. Senza fare troppi calcoli e cercando di vincerne il più possibile.