Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni dalla vita, è che bisogna apprezzare quello che si ha prima di perderlo. No, non è un mio tentativo di strapparvi una lacrima, state tranquilli. È un elogio. È la sottolineatura di un costante e ben riuscito lavoro, che Mister Allegri ha compiuto in questi quattro anni di Juve. 

Se c'è qualcuno che è convinto che la sua sia stata in gran parte fortuna, di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, si ricreda immediatamente e abbandoni per sempre quelle sciocchezze sul campionato italiano di basso livello, sui fatturati, sui ristoranti da dieci e da cento euro, sulla Var usata male e sul brutto gioco.

Il calcio è semplice, dice sempre Allegri, che non manca mai di lodare il suo maestro Galeone tutte le volte che in un'intervista gli rimproverano tra le righe che la Juventus vince ma non esprime un bel gioco. È da lui che dice di aver appreso la ricetta magica: prediligere gli aspetti tecnici del calciatore, mettendolo nella condizione migliore di agire. Ma Allegri è molto di più. 

Se si pensa al suo predecessore Antonio Conte, viene subito in mente una Juve che azzannava le partite (con i più deboli), una squadra che imponeva il proprio ritmo forsennato, e riusciva a farlo anche senza grandissimi calciatori in fase offensiva (almeno nel primo anno). Era una juve corale, diretta dal maestro Muti del centrocampo, un certo Pirlo, che imbeccava con il contagiri a turno Vidal, Pogba e tutti gli altri. Quel centrocampo era probabilmente anche superiore a quello degli anni del dopo Pogba.

Nonostante quel gioco divertente però, Conte inanellò su palcoscenici europei più di una delusione. E lì si vide nelle interviste la vera differenza con Allegri: Conte era un sanguigno, troppo sincero, al limite con lo scorretto e non sempre in linea con la società, anzi. Forse fu in quelle interviste che la società si rese conto di dover fare un salto di qualità sotto il profilo della gestione, della serenità nei momenti difficili, della calma e del tuttomiscivoladdosso. Ed ecco che Il migliore di tutti in questo è indubbiamente Allegri.

Curriculum di tutto rispetto, la gavetta, importanti riconoscimenti e risultati che facevano presagire di essere davanti ad una persona molto preparata che avrebbe fatto bene alla Juve. Ma l'ultimo anno al Milan aveva annacquato, non per colpa sua (in futuro si è visto), il suo carisma calcistico. Arrivato a Torino nella quasi totale diffidenza, con il compito difficilissimo di sostituire uno di famiglia, con il sangue bianconero che ancora sgorgava da quella intervista con cui si sancì la fine di un amore estivo.

Quattro anni, quattro scudetti e quattro Coppe Italia. Due finali di Champions, giocate contro il Barcellona di Messi Suarez e Neymar dopo aver eliminato il Real Madrid (unici in quattro anni ad averlo fatto), e l'altra, proprio contro il Real di un Ronaldo all'apice dei suoi palloni d'oro, dopo aver eliminato il Barcellona. Negli anni altri due anni due brucianti eliminazioni, entrambe nel recupero, entrambe dopo probabilmente le migliori prestazioni di Champions della Juventus degli ultimi anni. Se Evra avesse spazzato la palla a Monaco, se Benatia non avesse dato la possibilità all'arbitro di indicare quel dischetto, chissà di cosa avremmo parlato. 

Dicono che con i 'se' e con i 'ma' non si fa la storia, ecco perché ha poca importanza se Pjanic andava espulso o meno. Conosciamo quello che è stato e non quello che sarebbe potuto essere. Di sicuro c'è che in tre minuti di Inter-Juve, mentre mezza Italia stava per liberarsi dalle catene di sei anni, Allegri e i suoi hanno inferto un duro colpo, di quelli che non ti lasciano spazio per replicare se non con i soliti mezzucci.

La verità è che quello che appare macchinoso, lento, poco spettacolare, è in realtà la più spietata e cinica macchina da guerra del calcio che l'Italia abbia conosciuto nei suoi ultimi tempi, è lo squalo che sente il sangue, è una squadra che non molla mai, che sa leggere i momenti della partita, che si fa preda in alcune fasi e cacciatore in altre, e lo fa meglio di chiunque altro.

È la creatura perfetta di un allenatore che difficilmente sbaglia le partite importanti ed i cambi a partita in corso, che il bel gioco ti invita a vederlo al circo perché a lui (e a tutti in realtà) piace di più vincere.

Onore a Massimiliano Allegri e al suo 71% di vittorie, la più alta percentuale tra tutti gli allenatori della Juventus di sempre.