L’esperienza al Governo

Un tempo c’era il Governo Conte poi è arrivato Mario Draghi. Cosa c’entra questo con gli allenatori di serie A? Il quesito che vi starete ponendo è assolutamente logico e provo a spiegarmi. Il calcio è parte della realtà. E’ una sua componente e da essa viene influenzato. Ciò che accade nel mondo non può non interessare il pallone e, in qualche modo, indirizzarlo. Non sto sostenendo che un cambio all’Esecutivo abbia avuto effetti sulle scelte delle singole società di football. Ci mancherebbe. Sto soltanto ponendo un paragone. Quanto accaduto a livello politico potrebbe essere rispecchiato dalle scelte dei vari club. L’esistenza si allinea in ogni ambito. Nell’Amministrazione si è passati dalla freschezza condotta tramite la gioventù a un’opzione di maggiore esperienza. Attenzione! Non tratto di competenze e non intendo sostenere che questi siano “migliori”, uguali o peggiore dei precedenti. Utilizzo il vocabolo nel titolo per pura questione mediatica. Affermo soltanto che la maggior parte degli attuali inquilini di Palazzo Chigi ha trascorsi diversi rispetto ai suoi antecedenti. E’ un puro dato di fatto. La differenza è emblematica anche nel Premier. L’ex Primo Ministro non aveva un enorme pedigree istituzionale. Quello attuale, invece, ha guidato per anni la BCE. Insomma, ultimamente si opta per “l’usato sicuro” e lo scrivo con un senso positivo.

Perché si è intrapresa tale direzione? Beh… la storia insegna. La realtà è fatta di rivoluzioni e controrivoluzioni. E’ così da secoli e non so me mai tale trend si muterà. Prima di questo “ritorno al passato”, si era seguita la strada opposta. Si cercava il nuovo. Alcuni consideravano la politica come vecchia e incrostata nei palazzi, fuori da un tessuto sociale moderno che non si riconosceva più nelle sue Istituzioni. Una sorta di Ancien Régime. Così sono sorti movimenti che hanno conquistato parecchi voti e hanno avuto accesso al potere. Tali moti hanno diretto il popolo. Eraclito direbbe “Phanta Rei”. Tutto scorre e anche il loro tempo sembra essere scaduto. Occorre ammettere che non siano durati a lungo. Qual è il motivo? E’ semplice. E’ soltanto errata la deduzione. Non è vero che sono morti. Semplicemente hanno rallentato una foga iniziale troppo fervente. Ogni novità nasce con quelle caratteristiche. E’ come il bambino che vorrebbe spaccare il mondo. Crescendo si accorge che deve limitare i suoi impulsi. E’ successo proprio così. In medio stat virtus. Serve equilibrio ed è quello che si sta ricercando perché non si può pensare di nascere con la scienza infusa. Occorre maturare l’esperienza e farsi coadiuvare da chi è dotato di tale facoltà semplicemente in quanto, prima, qualcuno è stato suo mentore. Non ne faccio una questione di titoli di studio o di capacità particolari. E’ una pura analisi legata al cv. Sono fortemente convinto che l’attività sul campo sia il miglior professore che si possa avere, ma questa funziona se qualcuno aiuta a correggere gli errori di gioventù. Altrimenti, si rischia il disastro.

Allegri, Spalletti, Conte e Sarri: il ritorno dei “migliori”

Il mondo del calcio è la fotografia della realtà. Purtroppo, ultimamente, non si può trattare di pallone senza soffermarsi su tematiche che sono extra campo. Prima l’emergenza legata al covid, che lungi dall’essersi conclusa ma fortunatamente almeno il football pare trovare contromisure adatte per proseguire nell’intemperia, poi la Superlega. Gli strascichi di quest’ultima sono davvero pesanti e diventa difficile immaginare il futuro senza comprenderne bene la portata. Non si può dimenticare nemmeno il “Caso Suarez”. Al netto di ciò, la tendenza è chiara: siamo di fronte a un ritorno al passato. Conte, Allegri, Sarri e Spalletti. Tutti insieme a sfidarsi in una magnifica serie A che, forse, li aveva abbandonati troppo presto. Se le voci divenissero realtà, sarebbe quantomeno un grande spettacolo. In principio furono Capello, Lippi e Ancelotti. Questi rappresentavano i grandi che arricchivano il pallone nostrano. All’ombra dei supremi, cresceva una generazione che ha regalato gioie immense venendo abbandonata eccessivamente in fretta, in nome di leve ancora acerbe. Il riferimento è a Pirlo e Gattuso, ma pure a mister come Fonseca. Lungi da me il voler sostenere che non siano ottimi allenatori. Potrebbero diventare top manager, ma sono stati incaricati prematuramente di ruoli prestigiosi. Mi direte che il calabrese, per esempio, ha guidato Sion, Palermo, Creta e Pisa prima di sbarcare al Milan. E’ assolutamente vero. La gavetta c’è stata, ma si parla di un uomo di 43 anni che, in Italia, prima di entrare nel gotha, ha gestito soltanto due club. Con i toscani ha raggiunto una promozione in serie B per poi scendere nuovamente di categoria nella stagione successiva. La parentesi rosanero, invece, è durata 6 giornate. Poche per considerarla una vera e propria avventura. La carriera del tecnico romanista è diversa. Paulo veniva da storie come quella con il Porto, il Braga e lo Schakthar. Non aveva vissuto le fatiche della cadetteria o della lotta per mantenere un posto nel massimo campionato italiano. Sono esperienze fondamentali per il nostro calcio. Basti pensare che il portoghese è sbarcato nella Capitale senza neanche parlare perfettamente la lingua. Per chi deve condurre un gruppo di persone, ritengo sia fondamentale. Esistono, come sempre, le eccezioni. Vedi Mourinho. Si tratta solo di esempi molto maccheronici relativi all’importanza delle conoscenze di un certo tipo di football. Se penso a Conte, mi immagino le esperienze di Arezzo e il 4-2-4 di Bari. Ricordo la promozione in serie A nel 2009 seguita da quella con il Siena nel 2011 come la brutta parentesi atalantina nella massima categoria della stagione precedente. Allegri è partito dall’Aglianese per passare al Sassuolo in Lega Pro prima del Cagliari e del Milan. Anche Sarri e Spalletti hanno dovuto sudarsi la conquista del potere su campi ostili. E’ chiaro che non voglio fornire al vocabolo un riferimento denigratorio.

Allegri e la sua Juve: come due innamorati

Partirei da Allegri e la sua Juve che, nella primavera del 2019, decise di abbandonarlo. Ora molti tifosi lo rimpiangono e le voci sempre più insistenti di un suo ritorno li hanno ormai condotti a sistemare la bottiglia in ghiacciaia pronta per l’uso. Il long drink sta attendendo l’ombrellino? Così, più o meno, direbbe il noto telecronista Sky Nicola Roggero. Non si vuole gettare la croce su Pirlo. Per carità… Ci mancherebbe. E’ giovane e l’idea del calcio fluido è piacevole. A fallire non è stato il suo gioco liquido, ma altri fattori dovuti forse all’esperienza. E’ mancata l’emotività e la comunicazione che in Andrea potrebbero non essere doti naturali. Quando era un giocatore è riuscito a trasformare tale qualità in una freddezza magnificamente utile. Si ricordi, per esempio, il penalty realizzato con cucchiaio durante i rigori di un quarto di finale Europeo tra Italia e Inghilterra. Iceman. Il lombardo dovrà riuscire a tramutare la sua capacità di non essere impressionabile da nulla in un vantaggio anche nel ruolo di allenatore. Era partito bene. L’idea di riportare a Torino i sentimenti tipici del contismo, però, è rimasta sulla carta. Non è divenuta realtà e credo che non sia stato in grado di trasferirla alle tante nuove leve dello spogliatoio. Le varie dichiarazioni sono sempre state piuttosto scolastiche. Sovente è riuscito a stupirci con le formazioni, ma mai si è avuto un fremito o un brivido nella sala stampa. Se ricordo Conte, Allegri, Mourinho, Spalletti o Guardiola, il paragone è incredibile. Andrea è ancora troppo scolastico e temo che tale peculiarità sia stata trasferita pure al gruppo. E’ mancata la scossa che facesse svoltare la stagione. Max potrebbe davvero essere l’uomo giusto per ripartire con i giovani. Era lui a chiedere una mini rivoluzione? Beh… Se fosse così sarebbe stato accontentato con 2 anni di ritardo che potrebbero avere giovato a entrambe le parti. Se il toscano fosse rimasto in bianconero, al netto di un cambio nei giocatori, sarebbe stato complicato riuscire a trasmettere impulsi ormai logori all’interno del sistema Juve. E’ meglio essersi presi questa pausa per poi ricominciare. Come due innamorati che non si vedono per un po’ nel tentativo di riaccendere la passione tramite la distanza. Si mancano e, quando si ritrovano, “fanno il fuoco”. Non concordo, quindi, con chi sostiene che questo rewind non possa funzionare. Tutt’altro. Penso abbia ottimi ingredienti. Così capitò anche con Lippi, no?

Conte e l’Inter: ora viene il difficile

Trasferendosi sulla sponda milanese dell’A4, si trova Conte con la sua Inter. Questa sarebbe una conferma dello status quo ante. Serve, però, che le parti si chiariscano su alcuni punti. Appare lampante che il Capitano voglia qualche ricambio in grado di accrescere ancora maggiormente il valore della rosa nerazzurra. Vincere non è semplice, ma confermarsi è ancora più difficile. Il prossimo anno finirà l’effetto sorpresa che l’attuale girone di ritorno ha regalato donando un imput di fantastico alla Benamata. A meno di incredibili scossoni estivi, i lombardi partiranno come la squadra da battere e quasi certamente con lo Scudo sulla maglietta. Tutti proveranno a scucirle il vessillo. A ciò si aggiunge la tendenza di Antonio che sovente spreme le sue squadre come si fa con un agrume. Escono dal turbinio completamente sfibrate e la doppia stagione, quasi senza pausa, con un martello simile al pugliese potrebbe farsi sentire. Non si dimentichi anche la coda dell’Europeo. Not easy. Servono nuovi innesti pure perché i tifosi chiederanno di alzare l’asticella in Champions. Sono necessarie alternative valide e, vista l’attualità economica non semplice, penso che Conte voglia garanzie su una certa prosecuzione del progetto. A quel punto, non dirà di no e avrà una rosa micidiale. Attenzione, però, perchè gli juventini sanno bene cosa accade quando il leccese non è convinto della strada da percorrere.

Il sarrismo a Roma

Si passa, quindi, alla Roma e all’ipotesi legata a Sarri. Inutile negare che sia affascinante a vanti un appeal davvero elevato. La piazza giallorossa è passionale e sentimentale, com’è quella partenopea. Potrebbe davvero trovarsi divinamente con un tecnico alla stregua del Comandante. Il toscano è un uomo che trasmette tanto. Molto. Troppo. L’alchimia squadra-ambiente, con Lui, è ai massimi livelli. Ha trascinato i campani ad alcune delle loro stagioni più esaltanti dopo il periodo targato Maradona. Non ha vinto, ma è stato in grado di donare qualcosa di diverso che è rimasto nel cuore degli azzurri come se fossero successi. Di questo è capace il Maestro. E’ chiaro che i Capitolini gradirebbero qualche trionfo. La compagine è adatta all’allenatore? Intanto si dovrebbe passare dalla difesa a 3 di Fonseca a quella composta da 4 giocatori. I terzini sono devastanti, ma non rappresentano proprio l’ideale per Maurizio. Karsdrop e Spinazzola, infatti, sono micidiali, ma parecchio offensivi. Sarri predilige atleti maggiormente atti alla fase difensiva. Ci si può lavorare anche perché diventa difficile rinunciare a calciatori simili. Bruno Peres, Santon, Calafiori, Reynolds… La Lupa vanta esterni parecchio interessanti. Non ho molte perplessità su Mancini, Smalling, Ibanez e Kumbulla. Veretout e Villar potrebbero essere chiamati a svolgere i compiti di regia. L’ideale del toscano è Jorginho. Paiono avere qualche similitudine. Zaniolo o Cristante e Pellegrini sarebbero indicati come mezze ali e l’attacco sarà tutto da valutare. Direi che il matrimonio è fattibile e potrebbe regalare pure importanti soddisfazioni indipendentemente da come finirà l’avventura continentale targata Fonseca. Se il portoghese riuscirà a riportare una coppa all’ombra del Colosseo, compito quasi impossibile, la sua parentesi potrebbe essere ricordata in maniera molto migliore rispetto a quanto si possa sostenere oggi. Sono comunque convinto che sia giunto il momento dei saluti perché la compagine messa a disposizione del lusitano ha un potenziale che credo non sia stato espresso in maniera adeguata.

Spalletti il pratico per un Napoli concreto

Manca solo il Napoli di Gattuso. Ci si dimentica sovente che Rino ha riportato un trofeo in Campania dopo 5 anni. L’ultimo, infatti, a riuscire in tale intento fu Benitez e occorre tornare al 2015 quanto lo spagnolo conquistò la Supercoppa Italiana battendo la prima, micidiale Juve di Allegri. Nomi altisonanti come quelli di Sarri e Ancelotti non centrarono quel tentativo. In sostanza, a mio modo di vedere, l’operato campano del calabrese è buono. Se potesse condurre la squadra alla qualificazione in Champions, lo definirei persino ottimo. Con il tempo e completando ancora queste fortificanti esperienze, diverrà un grande tecnico. Per la panchina partenopea, però, si parla di Spalletti. Il toscano è l’emblema della praticità e penso che pure la costruzione della rosa campana rispecchi tale crisma. Giocatori come Manolas, Demme, Ruiz e Osimhen, componenti la spina dorsale, sono forti, ma non dotati di quell’inventiva clamorosa che consenta un gioco sfavillante. Se penso a Koulibaly, Zielinski, Insigne e Mertens, invece, noto una situazione diversa, ma è chiaro che molto dovrebbe modificarsi per tornare alla possibile applicazione del sarrismo. In quell’epoca, infatti, oltre ai citati interpreti, Napoli vantava calciatori come Jorginho, Allan, Callejon e, in un primo tempo, Higuain. Il mister di Certaldo pare il profilo adatto per far girare al meglio questo gruppo che Gattuso, comunque, sta portando a livelli molto elevati. Il cambio potrebbe davvero rappresentare soltanto un plauso all’esperienza che tanto sta tornando di moda.