Si è già discusso tanto, forse anche troppo, di quanto accaduto sabato sera tra Massimiliano Allegri e Daniele Adani. Pare superfluo, quindi, narrare ancora una volta ogni singolo momento dell’evento.
Sia sufficiente ricordare che la discussione è avvenuta dopo Inter-Juventus quando l’opinionista di Sky ha incalzato il tecnico bianconero sul gioco della sua squadra. Quest’ultimo non ha accettato di buon grado quanto gli veniva contestato non essendo, inoltre, la prima occasione nella quale il calcio del toscano finiva sul banco degli imputati. La diatriba si è accesa e Allegri ha rivolto commenti poco lusinghieri all’ex calciatore. Ha sostenuto che questi non fosse un grande esperto di pallone e lo ha invitato a “stare zitto”. Dal canto suo, Adani ha affermato che il suo interlocutore abbia spazio davanti ai microfoni e non rilasci dichiarazioni interessanti. Il tutto si è concluso con l’allenatore della Juventus che, alquanto alterato, ha deciso di lasciare l’intervista.

Inutile negare che si sia assistito a un teatrino alquanto triste. L’aggettivo utilizzato, forse, è un po’ forte, ma rende l’idea del sentimento che ha mosso. E’ sempre ammirevole e godibile udire una discussione tra grandi uomini-filosofi di calcio, ma non è divertente esserne testimoni quando si oltrepassa un certo limite. Ora, però, sarebbe opportuno non crearne un caso e rubricare tale fatto come un’incomprensione chiudendo l’argomento.

Innanzitutto, occorre centrare il tema sul quale si è discusso e comprendere che questa diatriba si trascina da tempo. Si è parlato, ancora una volta, del gioco espresso dalla Juventus di Allegri. Sovente, al tecnico toscano, si è imputata l’incapacità di fornire un calcio propositivo. Taluni hanno anche sostenuto che le sue squadra non abbiano un’identità precisa, ma si affidi a una formidabile fase di non possesso per poi sperare nelle giocate dei tanti campioni di cui dispone. Si è, così, creato un dualismo. Vi sono coloro che sono più pragmatici e ritengono che il calcio di Allegri non sia esteticamente esaltante, ma sia vincente. Altri, invece, sostengono che la Vecchia Signora meriti un tipo di gioco diverso: più coraggioso, più positivo, più votato all’attacco e corale. Insomma, anche meno estemporaneo.

Il toscano ha sempre difeso il suo stile di calcio e ha scritto pure un libro dall’inequivocabile titolo “E’ molto semplice”. Pare chiaro “l’allegriano intento” di rimarcare il territorio. Max ha sempre sostenuto che il pallone sia uno sport facile, ma nel quale serve essere molto intelligenti per comprendere le sue varie situazioni. Ha sovente affermato come risulti inutile dar origine a tanta teoria che ruota intorno ai vari modelli di gioco con numeri e quant’altro.

Tutto questo per sottolineare come la situazione verificatasi sabato scorso avesse importanti precedenti. Come detto, sembra quasi che si siano involontariamente venuti a creare 2 schieramenti opposti. Da un lato vi sono i fautori del “bel gioco” i cui maestri sono Sacchi, Guardiola e Sarri. Dall’altra parte del guado, ecco i “pragmatici” coloro che sostengono che, alla fine, conta solo il “risultato”. Il loro vate è Allegri.

Sabato si è avuto, quindi, l’ennesimo scontro frontale tra queste 2 scuole filosofiche. Si è “andati un po’ sopra le righe”. Allegri si è risentito del fatto che fosse attaccato il suo lavoro. In realtà, Adani ha soltanto cercato di compiere la propria professione. E’ un opinionista e ha manifestato il suo parere. Il reggiano è un grande conoscitore di calcio. E’ uno studioso di questo sport. E’ un’enciclopedia di conoscenze relative a tale gioco. Vive per il pallone. Le sue telecronache, i suoi interventi manifestano assolutamente tutto il suo sapere e l’amore che nutre per il calcio. Emozionano, esaltano e, a tratti, commuovono. L’ex difensore non ha voluto certamente attaccare il lavoro e l’operato di Allegri. Ancora una volta, ha solo cercato la discussione relativa alle già citate correnti di pensiero.

Ci si deve rendere conto che il mestiere del giornalista, sovente attaccato, non è certo semplice. Basta poco per provocare incomprensioni. Nell’interloquire occorre valutare milioni di variabili e avere capacità empatiche oltre il normale. Non è assolutamente facile e banale. Tutt’altro. Senza i media, però, il calcio non esisterebbe. Questo è un aspetto che non si può sottovalutare. Coloro che fanno parte di questo magnifico sport devono tenerlo in assoluta considerazione. La comunicazione è il loro veicolo per arrivare nelle case degli appassionati, quindi, per sopravvivere. E’ necessaria maggiore comprensione verso coloro che svolgono una professione difficile e fondamentale.

Detto questo, la reazione di Allegri è comprensibile. In troppe occasioni, infatti, il suo calcio è stato attaccato in maniera eccessiva. Si sta parlando di un tecnico che ha vinto 6 Scudetti, 4 Coppa Italia e 3 Supercoppe Italiane. Si tratta di un allenatore che ha ereditato una Juve che, a dire della gestione precedente, aveva minime chance di successo in Champions. Con lui e il medesimo materiale a disposizione, la Vecchia Signora ha disputato immediatamente una finale. Tale risultato è stato bissato 2 stagioni più tardi giocando un torneo magnifico. Si pensi che nella “Coppa” 2016-2017, prima della triste debacle di Cardiff, la Juve aveva subito sole 3 reti. Dagli ottavi sino alla ripresa della semifinale di ritorno, aveva chiuso ogni singolo match con un clean sheet.

Allegri è un tecnico che ha dovuto sovente affrontare ambienti ostili. Difficilmente è stato amato. E’ arrivato a Torino nello scetticismo generale e con alcuni tifosi che emettevano, nei suoi confronti, ogni genere di improperio. Con umiltà, ha gestito la situazione. E’ divenuto uno dei tecnici più vincenti della storia di questo club e non si sta parlando di una società senza passato. In circa 110 anni di storia, la Vecchia Signora ha conquistato tutto e il toscano è nel gota di coloro che l’hanno guidata.

In 5 stagioni, ha vinto 5 Scudetti, 4 Coppa Italia e 2 Supercoppe Italiane. Tanta, troppa roba. Esiste, però, ancora una buona parte di tifosi bianconeri che non gli riconosce granché e, all’esterno del mondo juventino, le critiche sono miriadi. E’ davvero una situazione paradossale. La tesi principale di coloro che l’attaccano è quella per la quale, per i bianconeri, vincere in Italia è semplice e banale. La concorrenza, infatti, è distante anni luce. E’ vero. Detto questo, però, l’argomentazione è presto smontata. Trionfare non è mai facile a nessuna latitudine. Confermarsi, è ancora più arduo. E’ una questione di motivazioni, di mentalità. Se si sommano i punti di distacco che i piemontesi hanno inflitto alla concorrenza nelle ultime stagioni, si notano numeri esorbitanti. Per giustificare una simile situazione non basta guardare alla forza della concorrenza. Occorre anche combattere contro se stessi e l’avversario è certamente molto ostico. I giocatori non sono automi, robot, macchine perfette. E’ necessario mantenerli sempre stimolati, toccare le corde giuste per farli rendere al massimo. Nelle ultime 5 stagioni, Allegri ha visto passare da Torino molti volti nuovi e, conseguentemente, dovuto apportare relativi aggiornamenti del sistema senza mai variare il risultato, cioè, la vittoria. Questo sarebbe semplice?

Ora, gli si potrà rimproverare il tipo di calcio. Si potrà pensare che il suo ciclo juventino sia ormai giunto agli sgoccioli, ma non si dovrà mai non rendergli atto di quello che ha compiuto e sta facendo. Allegri è tra i migliori allenatori in circolazione e ben fa a rinfacciare ciò che ha vinto a coloro che troppo sovente cercano modo e maniera per sminuire il suo operato. Quest’ultimo riferimento non è a Daniele Adani, ma ai tanti juventini e non che ancora trovano il modo per non riconoscere le sue capacità.