Alla fine non è importante ciò che è presente al termine di un tragitto, ma se c’è un qualcosa che davvero conta sono gli eventi, le sensazioni e le semplici peripezie che conducono al traguardo di un’avventura: lo hanno capito un po’ tutti, dai grandi esploratori marittimi a coloro che si sono illusi nella famosa corsa all’oro di inizio novecento. Basta però un solo attimo per poter sognare, soprattutto quando la vita si piega come un libro e non resta altro che nascondersi nel proprio io, per poi tornare chissà quando, con il ricordo di un’emozione che brucia come quando la si è vissuta. Ecco che allora, iniziai a far lavorare la mia fantasia.

Era un pomeriggio diverso da tutti gli altri. Il Sole splendeva come una palla infuocata, ma soprattutto era il colore del cielo a regalare un’emozione primitiva e a tratti surreale; avevo già deciso che quello sarebbe stato il pomeriggio perfetto per fare una camminata all’aria aperta, ma il destino volle, forse per volontà superiore, che ad accompagnarmi fosse una persona a me cara.
Era un bambino, si chiamava Tommaso, e pur non vedendolo da circa un anno, fui felice nel comprendere che quella sarebbe stata la giornata ideale per un viaggio unico e indimenticabile.
Non dimostrava 10 anni, era ancora più maturo, ma si sa, l’intelligenza spesso non tiene conto della carta di identità: iniziammo a camminare uno a fianco dell’altro, come le coppie infallibili del cinema d’azione americano, per il semplice motivo che in un mondo in difficoltà, la fratellanza risulta essere l’unica chiave per uscire dal turbolento periodo che stavamo vivendo. Non credevo ai miei occhi, e anche Tommaso per certi aspetti sembrava sorpreso, ma l’occasione era imperdibile, potevamo conoscere un po’ meglio il mondo che ci circonda e che fino ad allora avevamo visto come un qualcosa di “normale”.  Tra gli alberi eretti e il dolce suono del vento si piazzava il silenzio, quell’entità oscura e improvvisa che nessuno si sarebbe mai aspettato: nessun uomo per la strada, niente rumore di auto, ma soprattutto nessuna voce. Non ci eravamo abituati, e anche Tommaso mi guardava con aria attonita, forse perché gli sembrava di essere un peso nell’enorme vastità della natura. Continuammo però a camminare e dopo circa 10 minuti di passo svelto ci imbattemmo in una piscina, un luogo assai familiare, ma fermo nella sua monotonia; sembrava un edificio abbandonato, diroccato, e pensare che dalle finestre si poteva vedere l’acqua illuminata dai raggi invadenti del Sole, con il ricordo di tutti i nuotatori che si allenavano per mantenersi in forma, in un periodo felice. Chi è che ha lasciato tutto così? Forse qualcuno che vuole trasmettere un messaggio?

Tommaso mi raccontava delle sue avventure passate, dei suoi giochi preferiti e della sua squadra del cuore, ma il silenzio smorzava ogni nostro sorriso. Sì, perché nel frattempo avevamo intrapreso a percorrere un viale del tutto alberato, ricoperto d’ombra: in sottofondo, il cinguettio degli uccellini, poi il canto di un’allodola e infine il rumore del vento a fare da paciere. Parlavamo dei nostri ricordi, ma ad un certo punto decidemmo di ascoltare un po’ di musica dal nostro telefono, e per caso o per fortuna ci imbattemmo in una piattaforma molto variegata per essere una semplice applicazione: si chiamava “RadioGarden”, ed era un dispositivo che permetteva di potersi sintonizzare in ogni stazione radiofonica del mondo.
Matte, andiamo a sentire cosa ci raccontano a Manchester?” 
"Certo”, risposi. Selezionai apposta una stazione della città inglese, ma non vi era musica, bensì un semplice notiziario che parlava di un virus assassino che mirava a piegare la popolazione. Poi, il desiderio volle portarci in Spagna, nella terra del sole e nel dominio madridista. Niente da fare, mezza canzone da discoteca e poi tutte notizie tristi; ci rimase la Francia, ma anche qui, sotto la torre Eiffel di Parigi non vi era più nessuno, ognuno rinchiuso nella sua abitazione, per difendersi da un mostro che non esiste fisicamente.

Continuammo il percorso e lo scorrere del tempo mi convinse ancora di più che per il piccolo Tommy ricoprivo un ruolo di guerriero, quella figura fiabesca che lo proteggeva dalla falsità degli uomini e dal furore di un mondo senza freni; non vi erano tracce di autovetture, solo qualche passante isolato, come un vecchio signore che dall’altra parte della strada mi guardò strizzando a malapena l’occhio destro. Sicuramente era un vecchio saggio, un illustre intellettuale che conosceva la vita e che soleva indicarmi la via giusta da seguire. Mi ricordo che andai avanti a testa alta, come avevo sempre fatto quando ad un certo punto arrivammo al termine del vialone alberato, a soli cento metri dal mare. Percorremmo l’ultimo tratto di strada: arrivati in spiaggia ci venne in mente di andare sugli scogli, e fu proprio quella la nostra scelta.

Il mare si apriva davanti a noi come il cuore di un’adolescente alla sua prima esperienza amorosa. Come per la piscina, il viale e le vie interne del paese, anche qui regnava un silenzio surreale, a tratti spaventoso: nessun pescatore in cerca di cibo, nessuna nave e nessuna barca mercantile. Forse la natura voleva stare un po’ in pace, amava rilassarsi sotto il dolce suono dell’onda che si infrange sulla battigia. Eppure, dal mio fedele amico partì una domanda che mi lasciò senza parole: che cos’è l’Infinito? Ammirando la vastità del mare provai a rispondere: l’Infinito altro non è che qualcosa di indefinibile perché noi essere umani non possiamo contenere la sua idea. Si tratta di una finzione, è l’avventura del pensiero fungente, che va oltre l’ostacolo e si immerge nel concetto di tempo, per poi tornare alla pura normalità.

Inizialmente il mio piccolo ma grande amico rimase un po’ sconcertato dalla risposta, ma forse il tempo lo fece riflettere attentamente, ed ecco che mentre il Sole stava pian piano avvicinandosi al mare, mi domandò con quella sua bontà infinita quale fosse la ricetta per essere felici nella vita di tutti i giorni. Non avevo mai affrontato un argomento del genere fino ad allora. Anni di studio, romanzi divorati nella mia solitudine, eppure poca esperienza nel settore. Cercai semplicemente di essere realista: felicità vuol dire valorizzare ogni singolo attimo della vita, per non avere alle spalle quel sorriso beffardo di chi è stato sconfitto e non ha avuto il tempo per riflettere sugli errori commessi.

Nel frattempo però, la giornata stava pian piano declinando, e c’era bisogno di ritornare a quella normalità che lo sguardo del mare ci aveva per un attimo fatto dimenticare. Riprendemmo il percorso inverso, ma se alla fine un’avventura lascia sempre una sensazione di vuoto, questa volta la mancanza di persone, autovetture, mercati ci lasciò ancora di più a bocca aperta: eravamo noi contro il mondo, o meglio, noi due in un mondo astrale che fino ad un mese prima ci aveva avvolto in ogni forma di divertimento. E così, ripercorremmo quel viale alberato che avevamo provato ad abbellire con un po’ musica, seguito dalla stranezza di una piscina senza nuotatori fino ad arrivare al punto di partenza, o meglio, di arrivo.

Sapevamo che dovevamo lasciarci, per rivederci chissà quando. Notavo il sorriso seppur malinconico sul volto di Tommaso, quello di un bambino che aveva avuto la possibilità di passare un pomeriggio insieme ad un ragazzo più grande, convinto che la meta non è un traguardo fisso ma è quello che si prova durante il tragitto. Alla fine, come ripeteva il sommo poeta, l’amore risulta essere l’unica melodia in grado di regolare l’Universo, e in un mondo trafitto dal dolore per un virus naturale e infame, ci sarebbe stato bisogno dell’unione fra le persone.

Ci guardammo negli occhi sotto la luce di un Sole che stava salutando la giornata. Intorno a noi nessun rumore, ma bastò quello sguardo per fissare in un modo indelebile la nostra eterna amicizia. Avremmo voluto riprendere il percorso il giorno seguente, ma non era possibile, perché si apriva di fronte a noi un capitolo di riflessione che si sarebbe concluso in un’altra era, sicuramente ancora più bella.
Ci abbracciammo e ci salutammo pronti per tornare al più presto sulla scena. Non sapevamo quando.