In una recente diretta Instagram Paolo Maldini aveva confidato al suo amico Filippo Inzaghi la propria intenzione di fare il dirigente solo al Milan e non in un'altra squadra. E' stata la conferma di un fatto assodato, che non avrebbe avuto bisogno di altre dichiarazioni, visto che il nome Maldini è legato indissolubilmente alla storia del Milan. Una storia di vittorie, di conquiste europee, ma anche di cadute, dove il diavolo ha saputo sempre rialzarsi. Ma Paolo ha voluto dichiarare di nuovo amore al "suo Milan" e forse nel momento in cui lo raccontava al suo ex compagno di squadra avrà pensato a tutto quello che sta accadendo in società. Il Milan è come una casa in ristrutturazione, come una nave che sta imboccando una via, ma ogni tanto si ritrova a correggere la rotta e cambiare il suo comandante.

Dopo Allegri, ultimo a vincere lo scudetto con una squadra di campioni, c'è stato un via vai di allenatori. Tra questi anche il maestro di calcio Giampaolo, scelto da Maldini e rinnegato dopo che i risultati son venuti a mancare. Si dice che la scelta di aver affidato la panchina all'ex tecnico blucerchiato sia stata il peccato originale dell'ex capitano del Milan, ed ora responsabile dell'area tecnica. Un errore che ha condizionato la stagione e l'ha resa mediocre fin da subito. Ma nel momento del cambio, è emersa più che mai la frattura tra le due visioni societarie che, nonostante abbiano portato alla fine a scegliere Pioli (bravissimo nel rianimare la squadra nonostante la sconfitta umiliante contro l'Atalanta e l'ennesimo derby perso), un "normal one" che ha fatto da collante  tra la diverse anime, si ritrovano da quel momento in lotta per indirizzare la linea societaria. Ed è da quel momento che Rangnick diventa un fantasma ingombrante per il duo Maldini-Boban.

Un fantasma che pian piano prendeva forma, anche grazie alle prime indiscrezioni e alle storie che venivano raccontate su di lui. Un ammiratore di Sacchi, ossessionato dal lavoro e uomo Red Bull, che era riuscito negli anni a plasmare le squadre a sua immagine e somiglianza. Gioco veloce, verticale, con atleti disciplinati ai tempi e ai modi da lui indicati. Un sergente di ferro che mette bocca su tutto e vuole piena autonomia e allo stesso tempo lavorare in un ambiente che crede fermamente in lui e nelle sue idee di calcio. Un uomo che è passato dal campo alla scrivania, ma che il Milan vorrebbe nel duplice ruolo in seno alla società. Un manager all'inglese, lui fiero di essere tedesco e mentore di Klopp e di Nagelsmann, suoi allievi che bene stanno facendo.

Ma lui silenzioso, fino a qualche giorno fa, non aveva mai fatto trapelare nulla. Anzi aveva parlato solo di timidi sondaggi e aveva chiuso il discorso viste le problematiche legate al coronavirus. Invece, è bastata una dichiarazione più dettagliata rispetto alle altre a far decidere Paolo Maldini che era il momento di mettere le cose in chiaro.
Solo chi non conosce Maldini poteva pensare che sarebbe rimasto a friggere nel silenzio di "Casa Milan". Un silenzio tipico degli ultimi anni, quelli del fondo Elliott, contraddistinti da cambi dirigenziali e di panchina, che non hanno portato certamente ad ottenere risultati sul campo. Chi ricorda il Maldini calciatore sa che, da buon capitano, ha sempre portato, con onore sulle spalle la maglia del Milan e da leader non aveva esitato anche a scontrarsi con la curva. Ha sopportato in silenzio l'allontanamento del suo amico Boban ma stavolta, all'ennesimo spiffero su Rangnick (che tanto non è, visto che oramai è un forte vento di burrasca) non ci ha visto più ed ha valuto rilasciare un'intervista che sa tanto di ultimatum alla società.

Maldini e Rangnick sono due uomini di carattere, forti e decisi, che difficilmente scendono a compromessi. Sono contrapposti uno all'altro e già in passato il buon Paolo non aveva esitato ad appostrofare "il professore" come un profilo non da Milan, pur di non ritrovarsi a Milanello una figura tanto scomoda ed ingombrante. Tutti e due cercano di condizionare, con le loro dichiarazioni, affinchè la società chiarisca, dove ce ne fosse bisogno, chi dei due sarà al Milan il prossimo anno. Infatti sia uno che l'altro hanno voluto che emergesse pubblicamente questo. Non c'è spazio per tutti e due ed è arrivato il momento che qualcuno si prenda le responsabilità e lo dica chiaramente a chi di dovere.

A detta di molti il dado è tratto, ma non da ora. Già Boban lo aveva fatto capire, anzi c'era andato giù pesante per mezzo stampa e per questo è stato allontanato. La società non ha smentito ma per tutelarsi aveva parlato di contatti e non di contratti. Ora Paolo ha voluto giocare le sue ultime cartucce, sapendo che potevano non bastare. Il Milan sta assumendo sempre più una dimensione, a livello dirigenziale, che non ritiene indispensabile avere il dna rossonero al suo interno. Paolo, paga anche errori di inesperienza (che ci possono anche stare) ma che diventano pesanti se le ambizioni del tuo amministratore delegato non collimano più con quelle del capo dell'area tecnica. E visto che il buon Ivan, uomo Elliott in tutto e per tutto, che ha aspettato anche troppo tempo ad incidere con i suoi uomini e con le sue idee in un Milan, prima targato Leonardo-Maldini e dopo Maldini-Boban, si è già mosso in anticipo e deve solo aspettare il momento giusto per collocare le varie tessere del puzzle al proprio posto.  

Gazidis sa che ha bisogno di Paolo, ma non certamente nella figura che riveste tutt'oggi  Ma sa anche che se lo perdesse non sarebbe un problema per lui, anche perchè ha già le idee chiare sul Milan che verrà e queste non sono in sintonia con Maldini. Si ritornerà all'idea originaria del Milan dei giovani che, non sarebbe una cattiva idea se questi fossero già pronti per palcoscenici come San Siro o avessero in squadra giocatori di esperienza. Tanto è vero che Maldini e Boban insistettero tanto affinchè Ibra potesse rivestire la maglia rossonera e, nonostante l'età, ha dimostrato di essere un buon custode dei vari Rebic & co. che con lui hanno avuto solo vantaggi. 
Invece, si cercherà di prendere prospetti da valorizzare, diminuendo ancora di più il monte ingaggi e tenendo bassa l'età media della squadra, col rischio di ricominciare daccapo e di ritrovarsi a raddrizzare la barca in corsa. Ecco perchè Gazidis, o comunque la società, vuole re mida Rangnick, capace di lavorare con ragazzi giovani per forgiarli, accrescendone anche il loro valore economico. Cosa che sia Maldini, Boban, e prima di loro Leonardo e Gattuso avevano bocciato.

In definitiva se una scelta è stata compiuta si metta in chiaro fin da subito. Si cerchi di evitare di far volare gli stracci al di fuori della sede societaria e si torni a programmare in assoluto silenzio, come si faceva un tempo. Perchè il Milan ci aveva abituato bene, non solo con le vittorie ma anche come modello societario che lavava al suo interno i panni sporchi. Ma soprattutto si cerchi di aver rispetto, sempre che si ritorni a giocare, per un finale di stagione che ha ancora dei protagonisti al suo interno che daranno tutto per la squadra e la società. E dopo scopiremo se l'ennesima totem rossonero saluterà. L'importante è che si creda nella strada che si vuole percorrere, qualunque essa sia, sostenendola anche alle prime difficoltà. Un po' come accadde con Sacchi. 

Sperando solo di non veder sventolare l'ennesima bandiera bianca, come si auguro molti gufi, ma solo bandiere issate in segno di vittoria.