C'è un filo rosso che collega le panchine di Napoli, Inter e Juve. Tutte e tre le società hanno infatti assunto altrettanti allenatori che poco o nulla avevano a che spartire con la propria storia e con l'identità delle rispettive tifoserie.
Di chi sto parlando? In ordine rigorosamente alfabetico: di Ancelotti, di Conte e di Sarri.
Intendiamoci: in questa sede non si sta scrivendo né del valore assoluto dei tre manager né dei trofei vinti in carriera e neppure dei loro trascorsi in compagini rivali. Semplicemente li si analizza per quello che sono in rapporto all'ambiente che li ha accolti, cercando di capire se potranno avervi un futuro o del perché hanno fallito.


1) ANCELOTTI - NAPOLI
Del primo caso sappiamo già tutto, quando è iniziato il rapporto lavorativo (1 luglio 2018) e quando è terminato (10 dicembre 2019). Nel complesso fanno 17 mesi, che è l'esperienza più corta del tecnico di Reggiolo su una panchina dai tempi della Reggiana 1995/96. Statistiche: 73 presenze, 38 vittorie (52%) - 19 pareggi - 16 sconfitte. Risultati: un secondo posto in campionato (a -11 dalla vetta), un quarto di finale di coppa Italia, fuori ai gironi di Champions, un quarto di finale di Europa League. 

Accolto come l'uomo che avrebbe fatto fare il salto di qualità definitivo al Napoli, ha subito avuto dalla sua parte l'appoggio incondizionato di stampa, giocatori e tifosi. Un ambiente, quello partenopeo, voglioso di migliorare i tanti secondi posti alle spalle della Juve affidando una squadra già collaudata all'esperienza internazionale di Ancelotti.

La domanda che però nessuno si è fatto all'epoca è la seguente: costui è la persona giusta al posto giusto? Attenzione, perché al di là della semplicità estrema non è banale. Il curriculum di Ancelotti non è in discussione: 20 trofei, di cui 9 internazionali, vinti in 5 nazioni parlano chiaro. Ma il Napoli era la piazza giusta per lui? 
Ebbene, assolutamente no.
I napoletani sono un popolo caldo, passionale ed emotivo, il problema è che vivono di folate e difficilmente tengono la concentrazione abbastanza a lungo da ottenere ciò che bramano. Il campionato italiano dura 9 mesi e focalizzare una città intera che ha i suoi tempi e il suo modo di vivere su una competizione dove contano disciplina e perseveranza è impresa ardua. L'unico ad esserci andato vicino, infatti, è stato Sarri, su cui torneremo.

L'aspetto che tuttavia rende Napoli unica nel suo genere è il fatto di porsi come realtà anti-sistema. Contro i poteri forti, il Palazzo, il nord, i Savoia, i non colorati... e mi fermo qua o facciamo notte. Napoli ha bisogno di un capopopolo che infervori la piazza con dichiarazioni incendiarie contro i soliti noti, che sia showman nelle conferenze stampa e che giustifichi le sconfitte alludendo a una qualche cospirazione che da secoli ordisce oscure trame ai loro danni. E sono caratteristiche diametralmente opposte a quelle del pacato e diplomatico Ancelotti, persona distinta e dai modi educati che mai si abbasserebbe a certi livelli per ingraziarsi la piazza. Carletto, in altre parole, è un uomo-di-sistema, abituato a dirigere top club dotati di ingenti risorse che richiedono una presenza in linea con l'immagine di aziende globali. Non è un caso che i primi a venire scartati dai top club siano tecnici considerati impresentabili.

Ricapitolando, Ancelotti è stato assunto per migliorare i risultati del precedente collega, Maurizio Sarri. Ha fallito, ma in ultima analisi il suo allontanamento non è stato per via dei tifosi. Lo scollamento si è avuto tra tecnico e società, in particolare dalla distanza di vedute tra Ancelotti e il presidente De Laurentiis, reo di aver innescato una reazione a catena nello spogliatoio del Napoli ormai irreversibile. A contribuire alla spallata decisiva si è mossa anche la stampa partenopea, delusa dalla mancanza di risultati e magari anche dall'assenza di pepe nelle dichiarazioni dell'allenatore emiliano. 

Carlo Ancelotti ha resistito ben 528 giorni in un ambiente in cui definirlo un pesce fuor d'acqua è un eufemismo. Gli altri due candidati riusciranno a fare peggio?


2) CONTE - INTER
Titolare inamovibile della Juventus plurivincitrice di tutti i trofei dell'epoca Lippi, della quale diventa capitano e leader carismatico. Volontà di ferro, sacrificio e un palmares di tutto rispetto: 13 trofei tra cui 5 campionati, 1 coppa Uefa e 1 Champions League. Giocatore simbolo di una squadra combattiva e mai doma, strenuo difensore della Signora sia sul campo che fuori. Appesi gli scarpini al chiodo inizia la carriera da allenatore e nel giro di pochi anni ritorna a Torino con un solo obiettivo: riportare la Juventus alla vittoria dopo i disastri di Farsopoli. Ci riesce al primo tentativo: scudetto dopo due settimi posti, al quale ne seguiranno un altro paio e altrettante supercoppe italiane. In totale fanno 18 trofei vinti in bianconero, che ne fanno non solo uno degli uomini più decorati, ma una vera e propria leggenda dell'universo a strisce, un gigante che cammina in mezzo ai nani, un mito, un... come dite? Ha firmato per l'Inter? Quando? Non ci credo....

Questo, in sintesi, è il pensiero del tifoso medio juventino che si sente tradito dalla scelta di Antonio Conte di allenare gli eterni rivali dell'Inter. Ma il focus non è puntato sugli ex supporters, bensì sui nerazzurri. Come ha fatto un ambiente così ostile ai colori bianconeri da rasentare l'odio sportivo (ricambiato) ad incorporare un elemento totalmente estraneo - da cui il titolo dell'articolo - alla propria cultura e storia?

In realtà è stato più semplice del previsto. L'Inter non vede l'ombra di un trofeo da 8 anni e, pur di spezzare il digiuno, società e tifosi sono pronti a turarsi il naso. Scelta comprensibilissima, per altro. Si pone tuttavia la medesima domanda di cui sopra: Antonio Conte è l'uomo giusto per questa Inter?
Vi stupirò, ma per me la risposta è sì.
Per quale motivo? Perché la storia dei meneghini è spesso stata anarcoide, guidata in modo paternalistico da presidenti come Massimo Moratti, senza però avere una solida dirigenza che 'parasse i colpi' diretti nei confronti dell'allenatore di turno o ne facesse le veci davanti alle telecamere o in Federazione. Essendoci dunque un vuoto di potere nel management societario, si sono imposti talvolta i giocatori, talvolta i tecnici. Per restare ai tempi recenti, i due che hanno avuto maggiore successo sono stati il primo Mancini e Mourinho, poiché entrambi hanno costruito "uno stato nello stato" accentrando su di sé poteri e oneri. Ebbene, Conte sta cercando di fare più o meno la stessa cosa, sia sotto il profilo tecnico sia riguardo quello mediatico.

Tutto liscio? Ni.
L'Inter di oggi sta cambiando pelle completando il passaggio da una società incentrata su un padre-padrone a un'azienda globale con ruoli chiari e difiniti. Ed è proprio qui che potrebbe sorgere un problema. Paradossalmente il salentino sarebbe stato perfetto nel periodo morattiano, laddove avrebbe potuto "espandersi" oltre le proprie competenze. Nell'organigramma societario plasmato da Suning il ruolo di "semplice" allenatore rischia di stargli stretto. Conte ha bisogno di spazi attorno a sé e di non essere intralciato da nessuno. Doversi confrontare con diverse anime dalle diverse opinioni che prendono decisioni diverse dalle sue può innescare un cortocircuito dagli esiti incerti.


3) SARRI - JUVENTUS
Accanito fumatore, barba incolta, calato in una immarcescibile tuta, espressioni ineleganti, carattere spigoloso, diretto e totalmente a digiuno di empatia. In due parole, Maurizio Sarri è l'ESATTO CONTRARIO di quello che dovrebbe essere lo stile Juve. E allora perché l'hanno preso? Ovvio: perché l'allenatore della Vecchia Signora non doveva essere lui, almeno non nelle idee della dirigenza. Sfumato il sogno Guardiola, rimaneva sul piatto l'opzione Conte, immediatamente abortita dal presidente Agnelli. Ergo: arriva la terza scelta.

Accoglienza? Tutto sommato buona, ma seguita a ruota da una pesante coltre di scetticismo. 

L'opinione che mi sono fatto è che il (poco) credito di cui è dotato Sarri non sia dovuto né ai risultati ottenuti in carriera (la miseria di un'Europa League in mezzo al nulla) e neppure al tanto sbandierato bel gioco, che tarda ad arrivare. E' lo spettro del suo predecessore Massimiliano Allegri ad aver fatto sì che andasse bene (quasi) qualunque allenatore al posto del livornese. In questo è racchiuso il paradosso del popolo juventino: un tecnico tra i più vincenti della storia del club (11 trofei) trattato come un appestato per non aver portato a casa la Champions League, sfiorata in due occasioni, e più in generale per il pessimo spettacolo offerto a livello di gioco. Paradosso che si fa grottesco quando si pensa al motto bonipertiano: "vincere non è importante, è l'unica cosa che conta", lavoro che Allegri ha svolto alla perfezione. 

Allora perché cacciare un tecnico pluridecorato per sostituirlo con un carneade? Le ragioni sono molteplici, ma si possono riassumere col concetto di "cambio di filosofia". La Juventus dopo l'acquisto onerosissimo di Cristiano Ronaldo ha lanciato la sua sfida globale e pretende di lasciare un segno nel calcio europeo. Sfortunatamente i profili giusti erano inarrivabili (Guardiola, Klopp) e si è scelto un nome di ripiego. Questo è Sarri: un ripiego

In 123 anni di storia, quasi mai alla Juve si è assistito al binomio vittoria-bel gioco. Probabilmente per deformazione professionale: Torino è stata la capitale industriale d'Italia, pochi fronzoli e tanto lavoro, pragmatismo e austerità prima di tutto. E la Juventus non fa eccezione, tant'è che solo nel quadrienno lippiano si può parlare di vittorie associate a un gioco spumeggiante senza cadere nella retorica. Di conseguenza, l'operato di Sarri andrà valutato solo ed esclusivamente per i risultati raggiunti.

E arriviamo alla fatidica domanda: Maurizio Sarri è l'uomo giusto per questa Juve?
La gran parte degli juventini dirà di sì a denti stretti, non per convinzione, ma perché vuole allontanare da sé il più possibile l'ombra di Allegri o di un allenatore che giochi in modo simile al livornese.
Se devo dire la mia: Sarri non c'azzecca niente con i colori bianconeri e lo dimostrano le sue dichiarazioni. In particolare le più recenti sono ben eloquenti: "Sono contento per i ragazzi [del Napoli n.d.r.] a cui sono e rimarrò affezionato per sempre, se proprio devi perdere per lo meno siano contenti loro."
In queste parole è racchiuso il piccolo mondo sarriano: un ottimo allenatore di provincia partito da zero che con perseveranza si è imposto anche a livello professionistico. Nessuno gli toglie i meriti che si è guadagnato sul campo. Il fatto è che oltre una certa soglia si ergono delle barriere invisibili contro le quali i non avvezzi ci vanno a sbattere. Se a maggio non dovesse arrivare in bacheca il minimo sindacale (scudetto e almeno i quarti di Champions) la riconferma di Sarri alla Juve sarebbe pura utopia.

 

CONCLUSIONI E PREVISIONI
Ancelotti, Conte e Sarri
sono profondamente diversi tra di loro per background, palmares e carattere, ma in una cosa sono molto simili: tutti e tre sono finiti in un ambiente che poco si confà al proprio modo di essere e di porsi.
Il primo, Carletto Ancelotti, è già saltato dopo appena un anno e mezzo. Gli altri due sono, per ora, saldi sulle rispettive panchine. In questa stagione non ci saranno ribaltoni, entrambi arriveranno a maggio senza problemi. Quello che succederà dopo dipenderà dai risultati, e chi rischia di più è senz'altro Sarri. A prescindere, Conte farà almeno un altro anno all'Inter, mentre Sarri la riconferma se la dovrà sudare.

Quale che sia il futuro, Conte e Sarri restano due corpi estranei nell'Inter e nella Juve. E se finora hanno goduto di parecchio credito da parte di società, stampa e - soprattutto - tifosi, non lo devono a loro stessi ma alla situazione che hanno ereditato dai predecessori. Resta da vedere quando terminerà la luna di miele: il giorno in cui subentreranno il disamoramento e la disillusione, il popolo si rammenterà che un corpo estraneo può facilmente trasformarsi in metastasi.