La Roma è in crisi. Crisi di risultati; crisi mentale; crisi dal punto di vista organizzativo; crisi delle idee; insomma, un’onda gigantesca che la Roma non riesce a cavalcare. Nel 2020 i dati sono impetuosi: in 7 partite la squadra di Fonseca ne ha vinta una sola, un pareggio al derby (la migliore Roma della stagione) e 5 sconfitte. Le partite diventano 9 nel 2020 se si aggiunge la Coppa Italia, ma qui, dobbiamo annotare una sola vittoria e un’altra sconfitta. In 7 partite la Roma ha collezionato 4 punti su 21 disponibili. Numeri da retrocessione. Peggio dei giallorossi solo Cagliari, Spal e Brescia. Un andamento che li vedrebbe quartultimi in classifica. A queste raccapriccianti statistiche si aggrega anche il comparto difensivo. Dalla partita con il Torino, la prima, di questo trend da incubo, la Roma ha subito 15 gol. 18 se si considera la Coppa Italia. Dati che parlano chiaro e che evidenziano i capitolini al quinto posto, a sei punti di distanza dal quarto presieduto dall’Atalanta, con due scontri diretti a suo favore. Eppure, a fine 2019, dopo il roboante successo in casa della Fiorentina per 1-4, c’è chi parlava di scudetto. Proprio da qui voglio partite nella mia analisi. Nelle righe precedenti ho parlato di due termini in stretto contrasto: “numeri da retrocessione” e “scudetto”. Come possono convivere due termini del genere? Iniziamo dal principio.

La natura etimologica della crisi

Ormai la parola crisi viene adottata ovunque. Ad ogni problema, ad ogni percorso che trova diversi ostacoli da superare (oggettivamente o soggettivamente parlando), si utilizza tale termine. Che poi, se andassimo a scavare le sue radici, la crisi (crisis, dal gr. KrÍsis, sec. XIV) viene definita come <<scelta, decisione>>. Ma non basta. Se andassimo ad analizzare in termini sociologici il suo significato, una definizione più che convincente arriva dal <<Dizionario di Sociologia>> curato da Catalin Zamfir e Lazar Vlasceanu. Vediamo cosa ci dicono:

Crisi: periodo nella dinamica di un sistema sociale caratterizzata da un’accumulazione accentuata di difficoltà, presenza di tensioni, con conseguenze conflittuali che inducono complessità nel normale funzionamento del sistema, scatenando forte pressioni verso il cambiamento […] L’uscita dalla crisi avviene sia attraverso un cambiamento strutturale del sistema, sia apportando modifiche significative e adattamenti nella propria struttura […]

Insomma, per uscire da un periodo conflittuale, pieno di incongruenze e tensioni bisogna apportare delle modifiche. E, se nemmeno queste piccole modifiche trovano la via della felicità, si prevede la completa disgregazione del sistema. In pratica una sorta di reset. Quello che ogni anno/anno e mezzo vediamo alla Roma. Arriva l’estate e si cambia. A volte anche a stagione in corso. Ma lo si fa continuamente. Risultato? Zero titoli da quando James Pallotta è alla guida.

Alcune società contemporanee affermano che <<il cambiamento generato dalla crisi viene considerato solo una delle tante modalità, sostanzialmente poco efficiente e, comunque, molto dispendioso>>. Anche in questo caso la Roma ne è l’esempio lampante. Giusto la prima stagione di Rudi Garcia è stata un “successo” in termini di cambiamento radicale della squadra e dello staff. In questo caso, però, ci viene in soccorso la statistica: è normale che dopo vari tentativi alla fine si centra quello giusto, ma non è questa la soluzione. Non si può cambiare ogni anno, sperare che le cose vadano bene e, appena viene a galla un periodo nero, allora bisogna gridare “aiuto, aiuto” e procedere nuovamente allo smaltimento della squadra e della dirigenza. Anche perché, la crisi, non è un periodo di due mesi o di quattro. Necessita di un periodo decisamente più lungo e, per di più, con le stesse persone (stessa rosa, stesso staff dirigenziale, stesso allenatore). Bisogna dare tempo. Se questo non lo si dà e si continuerà in questo pigro processo di reset, non si potrà mai ambire a traguardi eccelsi. Non suggerisco un allenatore alla Ferguson, ma solo una sacrosanta pazienza. Con la fretta non si va in nessuna direzione, perché poi succede che, nella stessa stagione, si fanno convivere due termini in stretta collisione: “numeri da scudetto” e “numeri da retrocessione”. Il primo, quando il periodo è roseo, dove non c’è nessuna difficoltà e si realizzano risultati positivi, con una classifica che vede la propria squadra a qualche punto di distanza dalla prima; il secondo, appena si incappa in momenti alternati tra pareggi e sconfitte. Può essere produttivo tutto questo?

Gli infortuni ci sono, non dimentichiamocelo mai

Faccio questa leggera premessa perché è un dato di fatto che i problemi fisici perseguitano la Roma già da agosto. Ovviamente non sono una giustificazione, ma nemmeno un modo per non guardare in faccia la realtà. Il povero Paulo Fonseca non ha mai visto giocare il suo undici migliore, ma ha dovuto sempre arrangiarsi dei giocatori a disposizione. Con tutti gli infortunati si potrebbe fare una seconda squadra. Ma quando le cose non vanno per il verso giusto ci si affida sempre al detto “peggio di così non può andare” ed ecco che l’ennesima disfatta bussa alla porta di Niccolò Zaniolo che si rompe il crociato (secondo stagionale dopo quello di Zappacosta). Non solo, ma l’unico uomo che sappia fare un lavoro discreto come diga a centrocampo dinnanzi alla difesa è Diawara e, anche per lui, una buona lesione al menisco.

Ovviamente non farò la lista completa di tutti gli infortuni, ma ci sono e bisogna sottolinearla questa cosa. I problemi fisici sono una cosa seria e da non sottovalutare durante la stagione, indipendentemente dall’entità. Giocatori che vedono più l’infermeria che il manto verde non troveranno mai la costanza che gli serve per essere incisivi. Saranno altalenanti e avranno anche paura di giocare.

Guardate Lorenzo Pellegrini: a fine dicembre ha subito una botta al piede che gli ha causato una microfrattura. Bene, questa microfrattura non l’ha mai smaltita e convive ancora con questo problema. È inutile leggere “Pellegrini involuto”, “Pellegrini così non va: a fine stagione il rinnovo è sempre più difficile” o ancora “Il vero problema della Roma trova in Pellegrini uno dei suoi artefici”. Diventa complicato per un giocatore fare buone prestazioni quando si convive con un problema al piede, anche perché è proprio da quest’ultimo che partono tiri, passaggi, controllo palla e movimenti.

Inoltre, senza far mai delle rotazioni che possano far riposare i giocatori e che obbliga il mister a schierare in campo sempre gli stessi undici, diventa complicato; specie per una squadra che, fino a qualche settimana fa, aveva tre competizioni. La Roma ha perso in campionato a Parma per 2-0 proprio per questo motivo. Quando Fonseca aveva schierato Mancini a centrocampo (non parlo dell’ultima sfida contro l’Atalanta, ma già da prima) è stato per un’urgenza in quel ruolo lì. Poi, che Fonseca è stato bravo tatticamente e che l’ha riproposto più e più volte perché faceva buone prestazioni è un altro conto, ma senza l’emergenza infortuni Mancini non avrebbe mai presieduto quella zona di campo.

Spieghiamoci perché la Roma è perseguita da problemi muscolari che hanno decimato la squadra. Perché anche questa è una motivazione valida se la squadra non gira più.

Fronte mercato con qualche anomalia

Non è facile fare mercato quando si ha in corso un passaggio di proprietà. Non solo dal punto di vista monetario (Petrachi questo l’ha ribadito in conferenza), ma perché non si ha quella certezza che la maggior parte dei giocatori rimangano a fine stagione; o anche perché il nuovo presidente ha altri progetti in mente e quindi grandi investimenti non possono essere effettuati. Ma allora perché prendere Ibanez, Carles Perez e Villar?

Non mi permetto di criticare ogni singolo giocatore e né l’operato del ds Petrachi, anche perché andrei in combutta con il primo paragrafo sulla crisi e poi perché non è nella mia indole. Ma se il problema è finanziario e riguarda anche la precaria permanenza dei giocatori visto l’ormai certo passaggio di proprietà, perché bisogna andare a prendere gente che, con ogni probabilità, non potrà mai ambientarsi immediatamente al gioco di Fonseca? Il mercato, specie quello di gennaio, bisogna andare quasi sul sicuro. Se si vanno a prendere giocatori che militano in campionati diversi, che si sa che avranno una seria possibilità di ambientarsi, che avranno problemi con la lingua parlata, problemi di intesa, che non conoscono il campionato, è meglio evitare. Perché così non si fa altro che rispondere ai problemi con altri problemi. È preferibile operare nel nostro campionato e, se non si riesce (come il caso Politano), bisogna affacciarsi in casa propria. Se si ha questa estrema morbosità nei confronti dei giocatori della Primavera, se si ha fiducia nei loro confronti visto che più e più volte non sono stati inseriti come contropartite tecniche, perché è stato riconosciuto in loro un potenziale, allora è bene dargli un’opportunità. Ovviamente, sempre sul fronte emergenza parlando. Questi giocatori (specie Villar e Carles Perez) sono stati presi per sopperire a dei problemi. Ma come si può pretendere che questi giocatori, presi a stagione in corso, da tutt’altro campionato, possano risollevare di punto in bianco la squadra?

Tornando al discorso di prima, diamo più fiducia a questi giovani, non andiamo a prendere giocatori dall’altra parte del mondo con scarse possibilità di successo e di integrazione. Puntiamo su di loro che sono i primi a voler bruciare il campo per ritagliarsi un posto tra i grandi.

Caso Smalling e Florenzi

Poi, aggiungo una cosa sul fronte Smalling: la trattativa è complicata a causa del passaggio di proprietà. È impensabile fare un investimento così importante con un passaggio di società in corso. Se il giocatore vuole rimanere nella capitale, l’accordo tra le due società non può che evolversi nel miglior modo possibile, proprio per il bene del giocatore.

Poi il caso Florenzi. Non si sa bene cosa sia successo, ma sta di fatto che Alessandro è andato al Valencia per ritagliarsi un po’ più di spazio in vista dell’europeo ormai alle porte. Alla Roma non avrebbe giocato quando voluto e quindi ha deciso di andare via.

Ma siamo davvero sicuri? L’ex capitano giallorosso ha detto che “ci sarebbero tante cose da dire ai tifosi della Roma” e che parlerà a tempo debito. Non voglio fare il complottista, ma la società ha mandato via un giocatore (capitano fra l’altro) che ricopriva più ruoli. Vista l’emergenza infortuni perché essere così autolesionisti? Perché si vuole accontentare un giocatore? Possibile, ma non credo che avrebbe fatto così tanta panchina.

Presenza, credibilità e affidabilità

Il presidente conta. È inutile che ci giriamo intorno, ma un presidente presente, vicino alla squadra, che li striglia quando le cose vanno male e si complimenta quando le cose vanno bene ci deve essere. Prendersi una squadra di calcio è diventato un business è vero, e non lo metto in dubbio, ma anche questo è un altro tassello fondamentale da aggiungere alla Roma. Al di là del momento attuale, James Pallotta non è stato mai presente. Ora si hanno tutti intermediari che ne fanno le veci. Come si fa ad assumere credibilità una persona che non esiste? Non presente negli spogliatoi, non presente nei momenti sereni, non presente in momenti cupi, non presente quando la propria squadra scende in campo, non presente allo stadio. Sempre assente. E, quando gli viene fatta una domanda sulla Roma, ecco che la parola d’ordine diventa “fake news”.

È inutile dire che “la cessione non deve creare malumori” perché il problema non è solo la cessione, ma il fatto che la maggior parte dei giocatori che hanno vestito la casacca giallorossa sotto il suo periodo, non l’hanno mai visto. Non sanno nemmeno chi sia. Questo è un problema con la “P” maiuscola. Senza una figura autoritaria, che gestisca in prima persona il tutto, una figura forte che sappia farsi sentire nel momento del bisogno, la squadra e tutto il complesso dietro, perde credibilità. Si diventa la squadra di nessuno.

Ora si attende questo passaggio di proprietà, che rischia di slittare a fine stagione. L’importante è che non diventi un’epopea come la storia dello stadio, altrimenti, rimandiamo anche questo. E anche qui, senza credibilità, non si fa altro che rimandare, anno dopo anno, una stagione di successo. Se non sarà questa lo sarà la prossima.
Ormai è così da dieci anni.