Ezio Vendrame nasce 72 anni fa a Casarsa della Delizia, un paesino nel friulano di 8000 anime. È conosciuto da tutti come il “George Best dei poveri”, appellativo che probabilmente non rende giustizia ad una vita tutt’altro che ordinaria, tutt’altro che stereotipata, tutt’altro che paragonabile a chicchessia. Ezio Vendrame è l’anti-consuetudine. 
Per me, che son nato 50 anni dopo di lui, è una grave ferita non averlo vissuto tanto a pieno da appendere un suo poster nella mia camera, da onorare ogni mattina, prima di scontrarmi con la noia terribile di una società ancorata nelle sue necessarie scalette. 
Salire ai piani alti solo a condizione di scendere a compromessi. Guadagnare fredde monete rinunciando al tepore della propria ideologia. Per Ezio Vendrame, tutto ciò non era contemplato. Perchè lui si è identificato nel poster che non sono mai riuscito ad attaccare sui muri di casa: eroe ed antieroe. Insieme, in una sola persona. In una sola testa scollegata completamente da quei piedi che gli permisero di fare tunnel ad uno come Gianni Rivera, mica il primo che capita. Calciatore, poeta e scrittore. Prima e dopo il calcio. Su supporti diversi, prima in campo e poi su un foglio bianco. 

Eroe. Il ‘sistema’ gli chiese di combinare una partita ai tempi del Padova, all’epoca squadra che navigava in acque finanziarie torbide e che, come stipendio, offriva la “bellezza” (si fa per dire) di 22.000 lire per punto conquistato. Gli fu chiesto da un emissario dell’Udinese (avversaria nel match di giornata) di giocare male per 7 milioni di lire. Lui accettò, strinse la mano, scese in campo e… doppietta. Un gol da calcio d’angolo, mentre mimava ai tifosi avversari il gesto della sua futura esultanza, ancor prima di batterlo. Risultato finale: 3-2 per il Padova. “Fanculo i sette milioni, viva le 44.000 lire" dirà pochi anni dopo. Eroe.
Antieroe. Ai tempi del Napoli, venne mandato in tribuna nella trasferta insidiosa di Cagliari. Pochi allenatori potevano contare costantemente sul suo talento, in quanto decideva lui quando accendere e spegnere l’interruttore. Quel giorno di Marzo del 1975, al Sant’Elia non c’era persona più felice di Ezio Vendrame. "All'aeroporto conobbi una ragazza che venne poi al Sant'Elia a vedere la partita. Mi sedetti vicino a lei e, dopo qualche effusione, scendemmo nei bagni e giocai la mia partita, mentre i miei compagni giocavano la loro poco più giù, in campo". Fu quell’episodio a dare il nome alla più famosa delle sue 15 pubblicazioni: “Se mi mandi in tribuna, godo”. Antieroe.

“Cupo, introverso, sofferente”, definiva così lo sguardo del suo amico Agostino Di Bartolomei, morto suicida nel 1994, dopo una vita passata a non farsi capire dagli altri. E come “Ago”, probabilmente questo mondo non ha capito fino in fondo nemmeno Ezio Vendrame, geniale e sregolato tanto quanto triste e dannato. 
Da calciatore era un “disadattato”, dice nella prefazione del suo libro, facendo mea culpa per un talento cestinato e bestemmiato. Le priorità nei suoi 72 anni di eccessi? Altre. “Vi ringrazio per l'affetto che mi dimostrate, ma mi sembrate un po' fuori di testa. Io so soltanto tirare calci a un pallone! Chissà quante cose voi sapete fare meglio di me. Non sono un chirurgo che salva vite umane e nemmeno un operaio che si deve fare un culo così! Sono un fortunato ed è per questo che non vi capisco. Che cosa saranno mai queste partite di calcio! Inventatevi delle alternative domenicali.” disse in un discorso alla folla biancorossa dei tifosi del Vicenza, squadra per cui giocò dal ‘71 al ‘74. Parole che suonano come profetiche, in questa Domenica delle Palme che così triste non lo è mai stata. Senza pallone, perchè alla fine poi, le priorità sono altre. E lo abbiamo capito, purtroppo o per fortuna, grazie ad una pandemia.

Fantasia, coraggio, irriverenza. Una volta diede la carica alla squadra, di cui temeva si fosse accordata con gli avversari per un pareggio combinato, dribblando uno per uno i suoi compagni e fintando il tiro nella propria porta, per poi ripartire dalla difesa. Un tifoso sugli spalti morì d’infarto per quell’episodio. "Ci deve essere una ragione se un malato di cuore viene a vedere proprio me... Forse aveva deciso di suicidarsi!" disse in un’intervista dopo quella partita.
Regole? Mai. Avrebbe voluto allenare una squadra di orfani, lui che orfano lo è stato dai 6 anni di vita in poi, abbandonato nel peggiore dei modi dai genitori. L’orfanotrofio lo ha cambiato, la solitudine in una fase così importante della propria psiche lo ha formato o forse...deformato. Da lì in poi gli schemi non hanno avuto modo di esistere nella sua esistenza. Il tempo di gioco in campo? E chi se ne importa. Ezio Vendrame ferma la partita quando gli pare, magari per salutare il suo amico Piero Ciampi, scorto in tribuna quasi per caso ai tempi del Padova. Il politically correct? Che roba è? Lui veniva invitato nei programmi televisivi ed era impossibile imporgli di seguire la scaletta. L’eterna lotta all’ipocrisia giornalistica, come quella volta invitato a La Domenica Sportiva: “Ti regalo volentieri i miei piedi, ma la mia testa non la cambio con nessuno, tanto meno con te!” rispose ad Aldo Agroppi, reo di averlo provocato sul suo talento sprecato.

L’amore per la vita contrapposto ad un pallone quasi esorcizzato o declinato alla sua dimensione prettamente “commerciale”. Lui che era passato indenne dal più brutto dei collegi, ramazzando i campi di Udine per 1000 lire al giorno. Lui che quasi per caso venne notato dal medico dell’Udinese in un campetto di periferia, lui che nella sua prima esperienza da professionista spese 70 delle 300 mila lire dello stipendio per un cappotto, che poi donò al primo barbone che incontrò girato l’angolo, sofferente e battente i denti dal freddo. Ezio Vendrame ha avuto il cuore grande, così grande ma così grande... che oscurava tutte le sue bravate e -diciamolo in confidenza- sono state proprio tante.
Scomparire, la sua arte preferita. Dai campi di allenamento, per vivere a pieno la storia d’amore più bella della sua vita con la sua Roberta. Stagione 1967-1968: la prima da professionista, alla corte spallina di Paolo Mazza (a cui è tuttora dedicato lo stadio di Ferrara). 0 presenze, tra finti acciacchi e falsi infortuni. Mazza lo scoprì e ovviamente si arrabbiò, spedendolo in prestito in Serie C. Come avrà preso questa decisione il buon Vendrame? Ovviamente bene, perchè si sa... le priorità sono altre.
Scomparire, sì. Però poi riappariva, quando meno ce lo si aspettava. Come nel 2005, quando invitato da Paolo Bonolis nella kermesse sanremese, Ezio Vendrame iniziò ad attaccare un giovane Gigi D’Alessio, colpevole di “leccare costantemente il fondoschiena del conduttore”. Scendere a compromessi? Mai.

Ezio Vendrame non riapparirà più, almeno in questo mondo. Si è spento poche ore fa, all’età di 72 anni, perdendo la sua personale battaglia contro un tumore. 
Ho deciso di parlarvene non perchè io non creda nel potere e nell’utilità delle regole, sono quelle che ci tengono uniti in questa vita difficile di per sé. Credo piuttosto che ci sia un po’ di Ezio in tutti noi, ma che molto spesso rimane sopito per paura delle conseguenze o per timore di sbagliare un tiro che può rivelarsi fatale per le nostre esigenze, dettate dal più becero consumismo. 
No, non ci sarà mai il tuo poster nella mia camera, ma non avrò dubbi quando mi chiederanno di scegliere tra 7 milioni e 44mila lire.
Ciao Ezio.





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