«La strada insegnava, era esperienza di vita...ai miei tempi si poteva ancora giocare in strada. Ricordo che mettevamo delle pietre a cercar di fare due porte e si giocava stando attenti alle macchine. Si suonava ai campanelli e si scappava...  In tutto questo c'era un elemento di furbizia, si facevano corse, c'erano elementi di coordinazione perché magari dovevi saltare un cancello.   La strada "insegnava" e adesso nel nostro modo di vivere non c'è più. Nei giovani di adesso si nota questa mancanza».  

 

Racconta così Marco Giampaolo, intervistato qualche tempo fa da Paolo Condò, quella che secondo lui è la causa principale dell’assenza di grandi talenti in questa generazione calcistica del nostro paese. Un tema mai analizzato a fondo quello della strada, del vecchio luogo di divertimento dei ragazzi che è praticamente scomparso nei giorni d’oggi, sostituito dalle scuole calcio, dalla tecnologia, i cellulari, la play station e via dicendo. 

 

Spiega ancora il tecnico blucerchiato che quando si giocava in strada non c’erano le magliette dello stesso colore per riconoscersi. Maglia bianca, gialla, torso nudo..eppure si giocava e ci si riconosceva senza problemi. Era una questione cognitiva, si sviluppava una sensibilità diversa e una maggior capacità di reazione. La strada ha creato un livello di qualità superiore nei calciatori degli anni passati per questo motivo. La strada che ha sfornato quei talenti che qualche decennio fa rendevano la nostra Nazionale una delle più forti al mondo, da Baggio a Totti, da Del Piero a Pirlo. Classe, classe pura, istinto, passione, fantasia.  

 

E per fortuna ce lo ricorda ogni tanto anche qualche protagonista di oggi, di quanto la strada sia stata importante nella formazione sportiva, e non solo. Ciro Immobile, dopo aver ritirato un premio nella sua Torre Annunziata alla fine della scorsa stagione, spiega: «Un po’ dappertutto è cambiato il modo di crescere, si sta di più a casa tra social e computer ed è diverso. Io crescevo per strada, abitavo a pochi passi da qui e mi prendevo quello che offriva la giornata … Mi piaceva, mi divertivo, uscivo di casa la mattina e tornavo la sera. Ognuno deve seguire quello che ha dentro, quello che gli piace di più fare. I ragazzi di oggi e il calcio sono cambiati, si vede di più la televisione. Io ho imparato a giocare a calcio in strada quindi dico ai ragazzini che per giocare a calcio devono scendere in strada». E se ce lo dicono allenatori e calciatori che a quei livelli ci sono arrivati forse vale la pena crederci.  

 

La strada, non le scuole calcio. La strada con i suoi mille ostacoli, le sue regole non scritte, utile per lo sviluppo della personalità. Cassano, uno degli ultimi veri talenti italiani, in un’intervista di qualche tempo fa al suo vecchio compagno di squadra Olivier Dacourt «Giocavo per la strada, tra i vicoletti e naturalmente c'erano le persone più grandi che mi sceglievano, io guardavo a chi mi dava mille lire in più o in meno perché ero più forte di tutti. Non avevo soldi, mai visti nella mia vita: dicevo "scegli me, ti faccio vincere" e ogni giorno giocavo in strada, per guadagnare qualcosina». 

 

La strada dove non esistevano limiti di spazio o di tempo: si giocava ovunque e fino a quando non ce la facevi più. La strada dove o ti facevi valere e rispettare o ti sovrastavano. Ora nelle scuole calcio tutti i ragazzi, anzi, tutti i bambini, sono soldatini tutti uguali che fanno le stesse cose. Non ci si distingue più, non si affina uno stile proprio.E il problema è proprio quello, i bambini. Perché per la tattica e l’organizzazione c’è tempo, ma fino a una certa età lasciamo che si divertano. Così diminuisce il divertimento, di chi gioca e di chi guarda, che si annoia.

 

Ma cosa è cambiato oggi fondamentalmente? Si è ridotto al massimo l’elemento del rischio. La massima è «vince chi sbaglia di meno». Gli allenamenti? Partita a due tocchi, niente dribbling, niente giocate, niente che non sia qualcosa di prestabilito, di deciso a tavolino. Sembra di vedere una partita di scacchi: i giocatori sono i pedoni e il portiere è il Re. Occhio a non muovere troppo i pedoni che altrimenti scopriamo il Re.  

Ma purtroppo gli scacchi non sono il calcio, e viceversa. Nel calcio la mancanza di rischio comporta anche la mancanza di imprevedibilità. Perché alla fine il rischio è un fattore fondamentale per il conseguimento di grandi risultati. 

 

Ciò che sicuramente è cambiato è che oggi ci si prende troppo sul serio quando si tratta di dare due calci al pallone. Non c’era tutta questa serietà, quest’ansia, nelle partite e di conseguenza nelle giocate di un giocatore. La strada era libertà, libertà di agire, di scegliere, di sognare.