La Lega ha definito le date del nuovo campionato 2019/20 (in attesa del via libera della FIGC): il Boxing Day è stato cancellato.
Una delle tante mosse esterofile del nostro calcio che ha avuto un coinvolgimento scarsissimo, sia per quanto riguarda le presenze allo stadio che per ciò che concerne gli ascolti televisivi.
Questo porta ad una riflessione più ampia: ma è davvero necessario fare proprio tutto ciò che viene praticato negli altri campionati, in particolar modo in quello più bello e ricco del pianeta universalmente riconosciuto quale la Premier?

Le eventuali risposte dovrebbero partire da un concetto basilare: si può importare tutto ciò che non vada in contrasto con le tradizioni nostrane e che, allo stesso tempo, sia vantaggioso (economicamente e commercialmente) per le società.
Ecco perché il giocare al 26 dicembre non avrebbe mai potuto avere successo: il Santo Stefano è la prosecuzione naturale del Natale, è un’altra occasione per poter condividere l’affetto dei propri familiari senza affanni o impegni di sorta; allo stesso tempo, gli incassi da stadio e soprattutto gli introiti televisivi non avrebbero alcun tipo di beneficio (motivo determinante per l’eliminazione delle partite durante le festività).

Un altro tema caldissimo riguarda l’ormai famoso “spezzatino”: la domenica alle ore 15, da momento sacro per gli appassionati quale era, è divenuto una sorta di riempitivo delle partite meno “attraenti” nel cartellone della giornata o, al limite, delle partite a rischio ordine pubblico.
Va bene calendarizzare due anticipi al sabato, sia per permettere una preparazione minima alle compagini impiegate in Champions League al martedì sia, quando l’Europa non c’è, perché comunque rappresenta un collocamento ideale per le esigenze economiche dei club.
Vada anche per l’antipasto delle 12:30 (la Cina reclama) e, chiaramente, per il posticipo domenicale che assolutamente dovrebbe rappresentare il piatto forte di ogni singolo turno.
Ma qual è il senso di inserire lo sgradevolissimo aperitivo del sabato alle 15 in concomitanza con la Serie B (a proposito, anche la serie cadetta non scherza: giocare il Primo Maggio alle 15 è qualcosa di onestamente spiazzante) o di piazzare una partita domenica alle 18, quando i centri commerciali o le piazze vengono presi d’assalto per la coda del fine settimana e, di conseguenza, anche gli ascolti ne risentono notevolmente?

Per non parlare delle inspiegabili partite del lunedì (in Spagna hanno capito l’andazzo e hanno mollato) che sono la più alta forma di mancato rispetto del pubblico principalmente da stadio.
Sulla questione orari si fa veramente fatica a concepire il senso di alcune scelte, anche perché, oggettivamente, seguire tutte le partite in tutte le diverse fasce orarie, anche per il più accanito dei tifosi, è verosimilmente insostenibile.

Perché, invece di prendere in prestito le cose più discutibili, non facciamo nostri altri elementi che caratterizzano, ad esempio, i Paesi inglesi?
Mentalità delle squadre aperta, gioco spettacolare e meno tatticismo.
Coppa nazionale rivoluzionata.
Stadi ammodernati e previsione di attività collaterali.
Queste le prime idee che potrebbero rappresentare un primo passo per rendere maggiormente attrattiva la Serie A. Sono soluzioni banali, spesso ripetute ma purtroppo mai realizzate. E’ ora di cominciare a muoversi nella direzione corretta e strutturare le parole con progetti concreti, inserendo novità che possano provocare un incremento della voglia e della passione e non provocare allontanamento.
E quando parlo di allontanamento non intendo quello da stadio o da TV, ma intendo quello emozionale.

Il calcio è quella cosa che ci fa vibrare una settimana intera attendendo la partita decisiva, quello che porta ad organizzarsi con amici per andare allo stadio o anche per trasformare il divano di casa propria in una curva per un pomeriggio o una sera.
Questo è lo spirito del calcio italiano: aggregazione.

Deve essere questo sentimento la bussola da seguire per rinnovare il campionato che per tanti anni è stato definito il più bello del mondo.