Diogene affermava: “Per la virtù si ha bisogno o di amici valenti o di accaniti nemici”. Tale pare essere la situazione attuale del calcio. Per carità, non si vuole vedere la critica come un nemico del pallone, ma in questo momento penso sia veemente. E’ un “tumulato di massa”. E’ un attacco a questo mondo forte e diretto come non avevo mai visto per dimensioni e continuità. Un’intensità simile, forse, non si raggiunse neanche nel 2006 ai tempi di Calciopoli.

D’altronde il coronavirus non poteva scatenare dibattiti semplici o leggeri. Si tratta di una piaga che sta colpendo duramente l’umanità lasciando una scia di addii, solitudini e desolazione. Una simile situazione non può che accendere gli animi e qualsiasi argomento si sfiori diventa difficile trovare idee equilibrate o giuste parole. Basta un nulla per stuzzicare nervi scoperti o tasti dolenti e le persone reagiscono immediatamente in maniera impetuosa. Occorre avere il sangue freddo e la mente calda. E’ giusto comprendere le difficoltà di ognuno e percepire che le persone vivono le sofferenze in modo diverso. Può starci, quindi, che a tratti si sollevino i toni per poi tornare immediatamente all’interno dei ranghi. Chi è dotato di un maggiore self control o di un’elevata capacità dialettica deve essere abile nello sfruttare al meglio il suo talento perché in una situazione simile la domanda di tali capacità è assolutamente primaria. E’ fondamentale che “dalla fiammella non nasca l’incendio”.

Sono sempre stato del parere che le discussioni siano formative. Quando gli individui si scaldano ed emerge la loro animosità, sempre restando entro i canoni della legalità, si giunge a una conclusione soddisfacente. I motivi sono piuttosto semplici. In primo luogo, se un confronto si trasforma in “diatriba” significa che il tema d’analisi è certamente molto importante per le parti. “Litigare” non è mai divertente. Nessuno oserebbe alzare la voce se non ritenesse esservi una ragione valida. Sarebbe francamente uno spreco vano di energie e la paura di rompere un rapporto o di eccedere avrebbe la meglio impedendo il prosieguo della vertenza. Una seconda causa è proprio legata “all’avversario”. Se l’argomento non merita, non ci si raffronta in modo vigoroso con una persona verso cui non si nutre una certa stima e un particolare affetto. Che senso avrebbe? Che valore avrebbe? Si ritorna a quanto precedentemente sostenuto. Sarebbe uno sperpero inutile di tempo e forze. Meglio soprassedere. Nel momento in cui la discussione è utile, però, diventa salutare. Rigenera corpo e spirito. Innanzitutto, purifica l’animo da una rabbia che, se a lungo repressa, può risultare sempre più pericolosa. E’ come un frutto lasciato a marcire. Maggiore è il trascorrere delle giornate, più la sua ingestione può essere velenosa. La discussione serve pure per trovare un punto di incontro che altrimenti rischierebbe di essere sproporzionato da una parte o dall’altra. E’ semplice. E’ come una bilancia utile a contrappesare. Avete presente il gioco del tiro alla fune? Se si tende solo da una parte questa avrà la vittoria facile, ma non credo che il risultato sia soddisfacente. Ecco un’altra situazione che il mondo può sfruttare durante l’attuale pandemia. Il confronto con l’obiettivo di migliorarsi. Occorre, però, rimanere tra le righe perché se si varca una certa soglia si ottiene l’effetto contrario. E’ sempre così. L’esagerazione non conduce mai agli obiettivi sperati. In nessun caso.

Ciò vale anche per il calcio che deve essere abile nel difendere a ragion veduta le sue posizioni, ma pure capace di apprendere dalle critiche che gli vengono mosse e convincente oratore nel motivare correttamente il proprio punto di vista. Sono 3 operazioni davvero complesse, ma non esiste momento più idoneo per portarle a compimento. Ancora una volta mi trovo d’accordo con il Direttore Agresti e, fidatevi, che non lo faccio per ruffianeria. Osservo sempre con attenzione le sue pagelle e recentemente ha speso parole che mi sento di sottoscrivere nei confronti del Nostro Presidente Federale Gravina. Sono fiero che il pallone italiano possa avere una guida simile a quella del pugliese. A mio parere, si sta mostrando uomo saggio, deciso ed equilibrato. L’esperienza sicuramente non gli manca perché è da parecchio tempo che ricopre cariche importanti all’interno del mondo del calcio e dell’imprenditoria. Non voglio risultare inutilmente prolisso o raccontare storie di vita che potrebbero pure non apparire utili a definire una persona, ma quando un uomo ha sempre occupato posizioni di rilievo significa che le ha meritate. Non si tratta di una tantum. Il dottor Gravina, laureato in giurisprudenza, è stato per 15 anni alla guida del Castel di Sangro, club che sotto la sua auge e quella del collega Pietro Rezza, ha pure raggiunto la promozione in serie B. Non è certo poco per una cittadina lontana dalle metropoli come quella abruzzese. Ha ricoperto la carica di consigliere della Lega Professionisti di serie C e di seguito in Figc. Ha fatto parte della commissione Uefa per l’assistenza tecnica e amministrativa. E’ stato capo delegazione dell’Under 21 Italiana per l’Europeo 2004, vinto, e per quelli del 2007 e del 2009. Ha occupato il medesimo ruolo durante le Olimpiadi del 2004 e del 2008. Nel 2015 è diventato presidente di Lega Pro e il suo incarico è stato confermato anche l’anno successivo. Dal 2019 è Presidente della Figc dove è stato eletto con il 97,2 percento dei voti. Gravina non è soltanto grande uomo di calcio. E’ docente presso l’Università di Teramo e ha detenuto posizioni di rilievo per Istituti bancari. Nel 2019 è stato pure insignito di un premio dal Parlamento Europeo per attività volte a contrastare il razzismo nel mondo del calcio. Mi scuso nuovamente, ma volevo solo motivare tramite i fatti, le affermazioni di apprezzamento che ho manifestato nei confronti di questo Dottore. Sta dimostrando fini doti diplomatiche e da oratore. Pur difendendo le sue idee e tutelando il prezioso prodotto che deve gestire, è sempre calmo e pacato, ma allo stesso tempo fermo e deciso. Bravo, davvero.

Il calcio può ritenersi fortunato di trovarsi, durante la burrasca, un ottimo timoniere. Gli attacchi a questo sport non sono stati pochi e molti giungono persino dall’interno. “Tu quoque, Brute, fili mi”. Verrebbe da appellarsi al noto “sfogo” di Giulio Cesare e mi rivolgo ad alcuni giornalisti o presidenti di club. E’ chiaro che il mio riferimento non può che essere un’iperbole e una metafora eccessivamente sballata. Qui non si vuole la rovina di uno dei “giochi” più amati nel Belpaese, ma soltanto si manifestano punti di vista differenti tutti volti a uno sviluppo della situazione. E’ strano, però, notare tanto pessimismo nei confronti di un movimento chiaramente migliorabile, ma comunque capace di rappresentare un settore fondamentale dell’italica economia e un magnifico passatempo di massa. Il calcio è positivo per la società e mi appello ancora una volta alle parole di Gravina in un’intervista a Rai Radio1: “Chi invoca oggi ad alta voce l'annullamento e la sospensione dei campionati credo che non voglia bene né al calcio né agli italiani, perché non vuole dare una speranza di futuro e di ripartenza. Mi dispiace, terrò duro fino alla fine”. (Calciomercato.com). Più recentemente a Che Tempo che Fa su Rai 2:”io parlo di giocare a giugno, quando spero che l'Italia possa vivere un momento di sollievo rispetto allo stato attualee ancorall calcio movimenta circa 5 miliardi: noi non siamo preoccupati nel fermarci oggi, che sarebbe comunque un disastro, ma siamo ancor più preoccupati perché se il calcio non riparte ci sarà un grande impatto negativo sul futuro”. Poi: “Chi vincerà il campionato? La squadra che farà più punti, perché sono convinto che continueremo a dare gioia e speranza agli italiani“ (Repubblica). Ceferin è sulla stessa linea e tratta il tema con il Corriere della Sera: “La priorità è la salute di tifosi, giocatori e dirigenti. Sono ottimista di natura, credo ci siano opzioni che ci possono permettere di ricominciare campionati coppe e portarli a termine. Potremmo dover riprendere senza spettatori, ma la cosa più importante credo sia giocare le partite. In tempi così duri si porterebbe alla gente felicità e un certo senso di normalità anche se le partite saranno solo in tv. È presto per dire che non possiamo completare la stagione. L’impatto sarebbe terribile per club e leghe. Possiamo terminare, ma dobbiamo rispettare le decisioni delle autorità e aspettare il permesso per tornare a giocare”. Se l’Uefa portasse a termine la stagione è chiaro che, nel rispetto della salute, l’Italia dovrebbe adeguarsi.

Non mi stancherò mai di ribadire, e chiedo venia per la ripetitività, i dati enunciati dalla Lega Serie A in una nota recente: “In Italia oltre 32 milioni di appassionati seguono il calcio, un fenomeno sociale ed economico che dà lavoro a più di 300mila persone generando l'1% del PIL nazionale. La Serie A da sempre svolge un riconosciuto ruolo di locomotiva del comparto, producendo direttamente ogni anno circa 3 miliardi di euro di ricavi totali e generando un indotto di 8 miliardi a beneficio dell'intera piramide calcistica, oltre a una contribuzione fiscale e previdenziale di 1 miliardo di euro(Sky). Bastino ancora questi numeri per spiegare il valore che il pallone ha nella nostra società. Non è una semplice passione, ma è un’azienda che sfama una discreta fetta di popolazione e dissetando la voglia di serenità e di svago di un’altra. Scusate se è poco… Non si badi soltanto ai dirigenti o ai giocatori, ma si pensi ai media sportivi, ai magazzinieri, ai giardinieri, ai massaggiatori, ai medici e a tutto il turismo pallonaro che coinvolge, per esempio, alberghi, bar o ristoranti. Il richiamo del calcio sulle persone è troppo importante. L’interesse per questo sport è assolutamente impressionante e veicolo di emozioni. Gioia, dolore, entusiasmo, rammarico, esultanze, il pallone insegna ad affrontare i più vari sentimenti. Deve avere la corretta attenzione e il massimo valore. Sarebbe opportuno ricordarlo anche alla politica e nella fattispecie al Ministro della Salute Speranza che utilizza toni piuttosto semplicisti su Radio Capital: “Sono un grande appassionato di calcio ma con più di 400 morti al giorno con sincerità è l'ultimo problema di cui possiamo occuparci. Lo dico con il massimo rispetto però viene prima la vita delle persone. Le priorità del Paese oggi sono altre. Lavoreremo perché a un certo punto si possa riprendere la vita normale ma ribadisco che la priorità in questo momento deve essere ancora salvare la vita delle persone”. Vero, ma se non si valuta nel dettaglio ogni esigenza si rischia di creare sofferenze di serie A e B. Non si vuole che questo accada, vero?

Spero così di aver quantomeno provato a replicare a una delle tante critiche che odo attualmente e che riassumerei così: “ci sono cose più importanti nella vita di un semplice gioco. Vero, ma non si sta evidentemente trattando della partita a carte il sabato sera. Troppe persone ancora non si rendono conto del valore socioeconomico di questo sport e proprio per tale motivo, forse, sarebbe il caso che valutassero la situazione con maggiore attenzione. Non siamo di fronte a un’effimera pratica ludica. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Come il resto delle imprese sta cercando la via migliore per ripartire con il minor numero di danni che è sinonimo di salvezza per molti posti di lavoro. Se mi si parla di sostenibilità, sono pienamente d’accordo. Il pallone non può privare il resto della società di strumenti fondamentali per la sua esistenza altrimenti si verrebbe a creare un paradosso. Se il calcio deve avere un’importante utilità all’interno del tessuto del Paese non può rovinarlo per salvare se stesso. Sarebbe assurdo. Detto questo, se il pallone ha la forza di autosostenersi con suoi protocolli che non vanno a inficiare sull’esterno, non vedo assolutamente il motivo di una qualsiasi lamentazione. Non esiste alcun privilegio, ma soltanto un tentativo di autotutela che significa anche salvaguardia dei propri dipendenti. Penso che così si dovrebbe comportare il buon padre di famiglia. Un genitore non userebbe tutte le armi lecite a disposizione per salvare i propri figli? Per inciso occorre pure sottolineare i molti esempi di interventi attivi che il mondo del calcio ha messo a disposizione durante il corso di questa emergenza. Penso alle tante donazioni e alle molteplici attività poste sul campo come, per banalizzare con esempi concreti, la concessione del Centro Sportivo di Coverciano per la cura degli ammalati o le raccolte fondi di Del Piero e Ibrahimovic. La rubrica Style Magazine del Corriere della Sera ricorda che Cristiano Ronaldo e il suo agente Mendes hanno donato 2 unità di terapia intensiva a un ospedale di Lisbona. In Italia si sono mossi, tra gli altri, pure Bonucci, Bernardeschi, Petagna, Zaza e Insigne. Anche i club non hanno voluto mancare questo appuntamento così come Leo Messi. Il pallone ha mostrato ancora una volta una solidarietà davvero importante e non credo proprio si possa disporre dei motivi per dipingerlo come una realtà egoista. Sicuramente sulla base delle critiche ricevute, il calcio potrebbe effettuare qualche riflessione. Il popolo è stanco di vederlo come una “bolla dorata” al di fuori della realtà. Potrebbe essere giunto giocoforza il momento di rispondere a tale esigenza e di limitare il circolo di denaro all’interno di questa attività rendendola più sostenibile e umana. Forse, però, sarà proprio il coronavirus e il susseguirsi naturale dei fatti a spingere verso una simile direzione. Non sono un esperto di economia o di finanza quindi non voglio sostenere tesi che non riuscirei a spiegare adeguatamente.

Federica Pellegrini è una delle immagini migliori che lo sport italiano possa mostrare. E’ una fantastica atleta, capace di glorificare il tricolore per molti anni con vittorie e successi straordinari in molteplici competizioni. E’ un vanto del nuoto del Belpaese. Nel programma di Radio 24 Tutti Convocati aveva recentemente affermato: “In un pensiero di riapertura generale, lo sport deve essere considerato come un grande lavoro che serve alla nazione. Mi spiace sentir parlare solo di calcio” (Sky Sport). Più tardi, in un’intervista a Rete Sport Radio Roma Capitale e Radio Sei sostiene: “Sappiamo perché si parla soprattutto del calcio in questo momento di emergenza: ci sono tanti interessi dietro ed è lo sport più importante d'Italia. La mia, ovviamente, era una provocazione: il calcio deve ripartire, ma perché ci si dimentica degli altri sport? Mi sento un po' la portavoce delle discipline minori e vorrei che non vengano trascurate”. Ancora: “In questo momento siamo tutti fermi, dagli sport individuali agli sport di squadra: per noi più che tornare a gareggiare sarebbe invece importantissimo tornare ad allenarsi” (Repubblica). Come darle torto? Ancora una volta, la campionessa si dimostra donna di grande spessore. Gravina, con la consueta sensibilità, replica a Rai Radio1: “Ha ragione, io l'ho inteso come un complimento. Io faccio il presidente della FIGC, parlo di calcio e ho grande rispetto nei confronti del presidente del CONI che deve parlare di sport in generale. Io porto avanti gli interessi del calcio italiano, ma quello che dice la Pellegrini è giusto” (calciomercato.com). Non penso vi sia necessità di aggiungere altro a questo interessante dibattito tra grandi personalità del mondo sportivo. A inizio articolo ho sostenuto che dalle discussioni possono sorgere le situazioni migliori. Ecco, questo potrebbe essere l’esempio palese. Sarebbe magnifico che scoppiasse “una pace virtuale” tra il pallone e i rappresentanti delle altre discipline che lo vedono come privilegiato rispetto a loro. Insieme, si potrebbe costruire un futuro migliore con il quale avvicinarsi e collaborare per il bene dell’intero movimento. Sarebbe utile scambiarsi idee e progetti e avere valori condivisi. Il calcio potrebbe favorire lo sviluppo di quelli che la nuotatrice veneta definisce “sport minori”. Questi avrebbero così la chance di migliorare la loro cassa di risonanza che, al momento alle nostre latitudini, non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella del pallone. Anche a livello giovanile sarebbe interessante osservare maggior unità con atleti che possono capire, durante il percorso, quale sia l’attività più conforme ai loro gusti e caratteristiche personali senza per questo dover essere sbalzati tra società sportive o ambienti diversificati. In sostanza una collaborazione generale.

In quest’ottica non può che intervenire il Coni come organo superiore dello sport italiano. Non voglio entrare nella discussione sorta tra il Presidente Malagò, che personalmente ho sempre stimato, e la Lega Serie A. Anche in questo caso, la diplomazia ferma di Gravina pare essere molto utile: “… ci siamo chiariti. Forse Malagò non era a conoscenza delle attività che stiamo portando avanti e delle criticità che sono legate al momento in cui io dovessi staccare la spina e sospendere il nostro campionato. Non ne ho il diritto, non ne ho il potere e credo sia molto complicato mettere insieme le diverse anime” (Rai Radio1 come riportata da Calciomercato.com). Occorre collaborare per creare un mondo dello sport migliore e che espleti l’importante funzione sociale di svago. E’ necessario che le persone si appassionino a queste attività sia praticate che ammirate in modo tale da facilitare un utilizzo sano del loro tempo libero. Sogno un mondo nel quale un individuo possa divertirsi con un simile modello di vita evitando magari di ricadere per noia o mancanza di stimoli in soluzioni deleterie per il suo animo.

Il mio pezzo non ha certamente lo scopo di orazione in difesa del calcio o a sostegno di Gravina. Questo sport e il suo maggior rappresentante non hanno di sicuro la necessità dell’intervento del sottoscritto per tutelarsi e comprendere quale sia la soluzione migliore per il prossimo futuro. Anzi, penso che il pallone sia davvero in ottime mani.