Firenze, 4 ottobre 1992.
Fiorentina–Milan 3-7
Fiorentina: Mannini, Canasciali, Carobbi, Di Mauro, Faccenda, Verga, Effenberg, Laudrup, Batistuta, Orlando, Baiano. All. Radice
Milan: Antonioli (46’ Rossi), Tassotti, Maldini, Albertini (57’ Evani), Costacurta, Baresi, Lentini, Rijkaard, Van Basten, Gullit, Massaro. All. Capello
Arbitro: Sig. Gianni Berschin di Legnago
Marcatori: 14’ Baiano (F), 25’, 45’ Massaro (M), 34’ Lentini (M), 42’, 87’ Gullit (M), 48' Effenberg (F), 79’, 90’ Van Basten (M), 89’ Di Mauro (F).
Bla bla bla... ... Bla bla bla...
"... poi il Milan decide di spingere sull’acceleratore e trova il pokerissimo con Van Basten e il sesto gol con Gullit. Nel finale c’è gioia per Di Mauro che realizza il momentaneo 3-6 mentre al 90’ il "Cigno di Utrecht" chiude definitivamente il match e realizza la sua doppietta personale".

Intanto voglio tranquillizzare i pochi che mi seguono. Mangiato leggero; una ricottina di Gino, il "lattaio" vicino a casa, caro come un mutuo a tasso variabile e un'insalata mista con "du' ravanelli che fanno sangue" - come mi ha "berciato" la Ginetta - che mi fa pagare le primizie a rate come il cellulare nuovo che ho regalato a mia moglie a Natale.
Mi sono anche divertito iscrivendomi su Twitter per partecipare, se sarò capace a connettermi, alla "Stanza" (grazie a tutti per l'accoglienza) e, stranamente, sono riuscito a debellare, in parte, la mia insonnia dormendo quattro ore di seguito.

Perché questo preambolo?
Oggi parlerò di una delle più clamorose e belle sconfitte subìte dalla mia Fiorentina. 
Fu un campionato iniziato benissimo e finito con una retrocessione incredibile in serie B per tanti motivi che non voglio sottolineare. L'egocentrismo di Vittorio Cecchi Gori, conosciuto durante una cena per la sua elezione come deputato Europeo, ci portò a giocare stabilmente in Champions League ma anche a solcare i campi di Licata e, successivamente, Gualdo Tadino per il noto fallimento.
Ieri mi sono addentrato nella genialità di Diego Armando Maradona oggi, come promesso, nell'altro dio del pallone: Marco Van Basten.

Claudio Nassi, uno dei maggiori esperti di calcio in assoluto, era il nostro direttore sportivo in una Fiorentina che all’epoca era di proprietà, ma ancora per poco, del conte Flavio Pontello. Qualche settimana prima aveva consumato la vista a forza di guardare e riguardare una cassetta Vhs che declinava, come una promessa di felicità, i gol di Van Basten. Aveva prenotato il primo volo per Amsterdam. A fargli avere il materiale registrato era stato Apollonius Konijnenburg, uomo d’affari titolare dell’agenzia Interpro, i cui soci erano l’ex campione dell’Ajax Piet Keizer e il ricchissimo Cor Coster, il "Re dei diamanti" e suocero di Johan Cruijff. 
Quella sera, in un albergo cittadino, Nassi incontrò tutta la banda per chiudere il trasferimento alla Fiorentina. A un certo punto, nel salone fece la sua comparsa anche Van Basten, accompagnato dalla fidanzata Liesbeth, che di lì a poco sarebbe diventata la moglie. Erano giovani, bellissimi, timidamente sfacciati. Chiesero di Firenze, Marco conosceva bene l’Italia, ci era stato più volte in vacanza con la famiglia, d’estate, soprattutto a Peschiera, sul Lago di Garda. L'accordo fu presto trovato, erano tutti navigati uomini di mondo.
Van Basten si era appena svincolato dall’Ajax, il suo cartellino era di proprietà dell’Interpro. La Fiorentina avrebbe sborsato sei miliardi di lire, pagabili in tre anni, e un ingaggio da seicento milioni più casa e macchina a disposizione. A margine, come da preliminare del contratto, c’erano anche un miliardo e 600 milioni a titolo di commissione sull’acquisto di Kieft. Tre anni prima, infatti, Anconetani aveva pagato l’Ajax senza elargire alcun compenso ai tre olandesi che ne curavano gli interessi. Era arrivato il momento di saldare i conti in sospeso. Il funambolico presidente del Pisa si era molto lamentato (avrebbe perso l’olandese), ma non c’era stato niente da fare. Kieft entrava a pieno titolo nell’operazione che stava per portare il futuro Cigno di Utrecht alla società viola. Nassi aveva già immaginato un reparto d’attacco così composto: Van Basten e l’argentino Ramon Diaz titolari, Kieft di supporto. L’idea non era davvero niente male. Però a Firenze erano tempi cupi, Pontello stava passando la mano. L’affare sfumò.
Il contratto in cui Van Basten firmava per la Fiorentina oggi è incorniciato alla parete del salotto di casa Nassi. Se ne sta lì, appeso come un rimpianto.
Tutte queste cose furono raccontate nel ristorante gestito da Aldo Agroppi, ex cuore granata e allenatore viola, durante una serata divertentissima. Mio padre, "pazzo del Toro", si rifugiava ogni tanto, verso chiusura, nel locale del mister di Piombino per due spaghetti al pomodoro fresco e aglio ma soprattutto, penso, per ricordare Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli e Pupi, come chiamava il babbo, Pulici.
Dopo un limoncello, un amarino, un digestivo e un pacchetto di sigarette volatilizzato, cominciava il bello. 
Vi lascio immaginare quante ne ho sapute...
"Pensa un pochino Carlino" - diceva Agroppi con quello slang tipico della costa livornese - "al posto del pennellone olandese mi presero Rebonato capocannoniere a Pescara in serie B. Come mangiare le acciughe e farle passare per scampi...".
Van Basten era nostro! Era...
Quel pomeriggio mi trovavo occasionalmente in Maratona per accompagnare degli amici rossoneri; cedetti il mio abbonamento di Fiesole e, in una splendida giornata di sole, entrammo a goderci lo spettacolo. Io, per dire la verità, mi gustai solo la tagliata trafogata a pranzo in un noto locale del centro; gli "strisciati" fecero come i "micchi": bellimbusti che passano da una "figliola a un'altra", come si dice in Via delle Belle Donne a Firenze. Insomma, l'avrete capito e la redazione me lo concederà, "gl'eran bagnati dallo sta' bene!".
A un certo punto sarei voluto uscire dalla vergogna, ma vedere quell'immenso protagonista, che danzava in campo, fu una gioia per gli occhi e per il bello del calcio.
Solo due volte, lo ammetto, mi sono alzato, in segno di rispetto, applaudendo a scena aperta. La prima fu quel pomeriggio. Un tifoso viola, accanto a me, mi disse: "Ma che fai, sei impazzito?". Lo guardai appena e, deridendolo, risposi: "Come fai tu a non farlo, poero bischero". La seconda, molto tempo dopo, fu per omaggiare il più grande difensore che stava chiudendo la carriera: Paolo Maldini. La standing ovation dell'Artemio Franchi fu commovente; penso che il 3 del Milan lo ricordi con affetto.

Con l’Ajax il giovane Marco vince 3 scudetti, 3 Coppe d’Olanda, 1 Coppa delle Coppe, 4 titoli consecutivi di capocannoniere. Cruijff gli fa da allenatore e l’allievo impara tutto dal maestro. Stesse movenze eleganti e leggere, uguale velocità di pensiero e di azione, tecnica sublime per capolavori di classe pura. Segna a ritmi vertiginosi, 128 gol in 133 partite che gli valgono la Scarpa d’Oro nel 1986 e il primato nella classifica dei cannonieri dal 1984 al 1987.
Il 13 maggio 1987 Van Basten è già del Milan quando si presenta in campo per la finale di Coppa delle Coppe con il Lokomotiv Lipsia. E’ lui il leader della squadra, su di lui si concentrano le attenzioni degli avversari. E’ lui a condurre i Lancieri alla conquista del trofeo ed è sempre lui a marcare la rete decisiva che riporta in mano all’Ajax un trofeo internazionale dopo ben 14 anni.

Pisa, 13 settembre 1987.
E’ il giorno del debutto in serie A con il Milan. A 10 minuti dalla fine segna il suo primo gol in campionato. E’ suo il rigore, lo deve tirare per 2 volte, il portiere avversario è il pisano Nista. Ma c’è poco tempo per gioire, le caviglie di cristallo già toccate duro in Olanda chiedono adesso maggiori cure e attenzioni. Quello che sembrava l’inizio di un’avventura esaltante si trasforma presto in un lungo ritiro forzato fatto di sofferenza, pazienza, paura e voglia di giocare. Decide di farsi operare in Olanda e torna dopo 6 mesi con l’Empoli, mentre la sua squadra è impegnata nella rincorsa al Napoli capolista. Van Basten è subito decisivo al suo rientro: vittoria per il Milan e per il Marco ritrovato.

L’inizio per l’Olanda agli Europei del 1988 è disastroso: perde per 1-0 la partita d’esordio con l’URSS. L’Europeo è già a rischio. La partita con l’Inghilterra è già una finale per gli Orange, la sconfitta può voler dire addio ai sogni di vittoria. Michels corre prontamente ai ripari e si affida ciecamente a Van Basten. Marco è in forma, è una spina nel fianco degli inglesi che fanno fatica ad arginarlo. Al 43′ Gullit serve Van Basten in area che con una magia aggira un difensore inglese e batte Shilton con un vero e proprio tocco di bravura. Nella  ripresa è ancora Van Basten a segnare sul filo del fuorigioco con un sinistro rasoterra in perfetta coordinazione. La tripletta è servita ad un quarto d’ora dalla fine girando a rete un angolo di Koeman: 3-0. In semifinale Van Basten affonda la Germania procurandosi un rigore e segnando poi il gol decisivo a due minuti dal termine: taglio in area e destro in scivolata ad anticipare Kohler. Gli arancioni sono in finale dove affronteranno nuovamente l'Armata Rossa del Colonnello Lobanovski. Questa volta non c’è storia e prima Gullit e poi la famosissima rete di Van Basten, che con un’impossibile parabola dall’altezza del calcio d’angolo destro, spezza i sogni sovietici e consegna ai Tulipani il suo primo alloro europeo.
Nel vedere il frame di quel goal possiamo apprezzare la perfetta coordinazione che un fuoriclasse può solo aver pensato di fare.
Al Nou Camp di Barcellona, per la finale contro la Steaua di Bucarest, due doppiette di Van Basten e Gullit riportano la Coppa a Milano dopo 20 anni.

L’anno successivo Van Basten è ancora lui: la strada che porta alla finale di Vienna viene spianata dai gol dell'olandese, pallone d’oro per il secondo anno conseutivo. Fuori il Real, il Malines, il Bayern, la finale è con il Benfica. Il 23 maggio 1990 Van Basten si presenta subito con uno dei suoi numeri danzanti, ma il portiere para. L’assist per Gullit non viene finalizzato mentre il colpo da biliardo a liberare Rijkaard decide la partita. E’ la seconda Coppa dei Campioni.
A Tokio il Milan era già salito sul tetto del mondo nel 1989, un anno dopo la scena si ripete ed è sempre lui l’artefice del trionfo-bis. L’Olimpia di Asuncion cede sotto i colpi magici del centravanti milanista. E’ chiamato anche il Nurejev dell’area di rigore e a guardarlo sembra davvero danzare.
Pochi giorni dopo la vittoria del terzo pallone d’oro Van Basten si reca a St.Moritz per farsi operare ed è costretto a stare fuori per quattro mesi e mezzo. Rientra a fine Aprile nella trasferta di Udine e una settimana dopo ad Ancona, il 9 maggio 1993, realizza il suo ultimo gol della carriera ad Alessandro Nista, lo stesso a cui aveva segnato il suo primo gol in Serie A.
Pochi giorni dopo, nonostante una caviglia a pezzi, Van Basten scende in campo nella sfortunata finale di Coppa Campioni contro l’Olympique Marsiglia ma non riesce a segnare a causa delle sue precarie condizioni fisiche.
Segue il quarto intervento chirurgico alla caviglia e due anni di calvario in cui cerca di tornare in campo senza riuscirci. Nell’estate del 1995, a soli trent’anni, ufficializza il suo addio al calcio a due anni dall’ultima sua apparizione.

Si chiude così la bellissima carriera sui campi di gioco del “Cigno di Utrecht”, una carriera fatta di gol, gioie, infortuni e successi senza essere andato mai fuori dalle righe.
Marco Van Basten è stato uno di quei giocatori che fanno bene al calcio, uno di quei campioni che fanno della sportività la base della propria carriera. Mai un eccesso, una dichiarazione fuori dalle righe, solo calcio. E gol. Un fuoriclasse assoluto come lui manca al nostro calcio. In tutti noi Van Basten resta e resterà nella nostra testa e nella nostra anima. Sarà un pensiero, un ricordo, una voglia di emozionarsi per sempre.

Anche la carriera artistica di Van Gogh fu breve. Nel 1881, l'olandese, che era soprattutto un artista autodidatta si dedicò alla pittura e al disegno. Il fratello minore Theo, commerciante d'arte, lo aiutò economicamente ed emotivamente a sostenere i suoi progetti. Nel 1886 i due fratelli andarono a vivere insieme a Parigi. Quest'esperienza fu di fondamentale importanza per la sua crescita artistica, infatti egli fu esposto al lavoro di artisti impressionisti e neo-impressionisti che condizionarono il suo stile e le sue tecniche. Trascorse gli ultimi due anni della sua vita nel sud della Francia, dove diede vita a un gran numero dei suoi più noti dipinti. Solo al momento della sua morte, il 29 luglio 1890, riuscì ad avere l'attenzione, che gli spettava, dalla critica. Tuttavia, nel corso della sua decennale vita da artista, riuscì a vendere solo una manciata dei suoi oltre 850 dipinti e 1.300 opere su carta. Nel 1990, un secolo dopo la sua morte, il dipinto "Ritratto del dottor Gachet" fu venduto all'asta per una cifra record. Il prezzo resta uno dei più alti mai pagati per un dipinto.
Si pensa che Van Gogh sia stato ucciso accidentalmente da un colpo di pistola partito dalle mani di un sedicenne, famoso per aver deriso l'artista. Ma il pittore disse che si trattò di un colpo auto-inflitto, poiché vide quello sparo come una sorta d'aiuto da parte del ragazzino, che stava mettendo fine alla sua infelicità e alla tristezza causata dal fatto di essere solo un peso finanziario per suo fratello Theo.

In una lunga intervista a El Pais, Marco Van Basten ha raccontato i momenti più difficili della sua vita e della sua carriera, raccolti nella sua autobiografia pubblicata in Italia con il titolo "Fragile".
"La mia vita era giocare a calcio. E all'improvviso, dopo un'operazione che sembrava semplice, dovetti ritirarmi. Non era solo molto difficile accettare che non avrei giocato, è stato difficile andare avanti con la mia vita. Non solo non potevo giocare, la mia caviglia non mi permetteva di camminare o fare nulla. Sono stati anni molto duri. Sono stato fortunato che un medico abbia avuto l'idea di bloccare la mia articolazione saldandomi le ossa. Non potevo più flettere la caviglia, né potevo correre di nuovo, ma ero in grado di iniziare una nuova vita senza dolore".
Van Basten, cosa ricorda della cerimonia di addio al calcio sul prato di San Siro?
"Era tutto triste. Erano tristi gli sguardi dei miei ex compagni, che cercai di incrociare il meno possibile, perché mi ero promesso di non piangere. Correvo, perché non volevo far vedere che zoppicavo, battevo le mani alla gente. E intanto pensavo che non c’ero già più, mi sembrava di essere ospite del mio funerale". 
Era anche depresso?
"Dopo, quando ne sono uscito, ho capito di aver vissuto qualcosa di simile alla depressione. All’epoca non capivo. Ero troppo concentrato sul mio stare male. Mi chiedevo perché questa sofferenza dovesse toccare proprio a me. Non ho mai trovato una risposta".


Ho voluto incrociare volutamente, anche nella disgrazia del "buio interiore", due icone assolute della Bellezza.
Quando mi recai, anni fa, al Van Gogh Museum di Amsterdam restai in piedi ore ad ammirare i capolavori del pittore "maledetto". Nel vedere il quadro dei "Girasoli" annichilì. Quest'ultimi sono colti in ogni fase della fioritura, dal bocciolo all’appassire, con pennellate ruvide e dense. Domina la composizione il giallo cadmio, un pigmento all’epoca di recente invenzione. Senza rendermene conto mi comportai come quel pomeriggio in Maratona: incurante degli altri spettatori, applaudì estasiato e compiaciuto di quello che stavo ammirando. Di quanto Bello si può scorgere oltre il Bello.
Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti o che non hanno mai inciampato. A loro non si è svelato il fascino della vita. In fondo, la bellezza non è causata. Essa è.
Per questo non la vedono tutti.