Come sono lontani i tempi dei presidenti, dai più moderati ai più vulcanici, che per anni hanno dato anima e corpo per la loro creatura a conduzione familiare. Quelli che tiravano su il telefono e chiamavano le società ed il giocatore di turno per provare ad intavolare trattative, spesso anche le più improbabili, pur di poter far fantasticare improvvisamente i propri tifosi in una notte di mezza estate.
Momenti di calciomercato indelebili che hanno reso presidenti e dirigenti dei veri e propri beniamini al pari dei giocatori agli occhi dei tifosi. 
Strategia, pazienza ed arguzia come ingredienti essenziali per poter navigare nel mare di opportunità che il mercato poteva presentare, ma anche grande considerazione e rispetto per tutte le altre navi sia aventi il vento in poppa o, sfortunatamente, il vento in prua. 
Dinamiche, atteggiamenti e modus operandi totalmente differenti rispetto al calcio dei giorni d’oggi dove spettacolo e cinismo nel business hanno raggiunto livelli incommensurabili. 
Un mondo dove la lungimiranza dei dirigenti dell’epoca (anche oggi ce ne sono ancora molti fortunatamente, sperando che possano reggere l’urto della situazione) si è dovuta scontrare con il far-west che spopola in ogni angolo del globo in cui si respira calcio. 
Un mondo dove le intelligenti mosse di mercato delle società hanno dovuto subire uno scacco matto da un avversario diventato negli anni molto ostile. 
Un antagonista autodefinitosi sempre e comunque amante del dialogo durante la battaglia e capace di gestire i potenziali screzi e conflitti nella maniera più opportuna. 

MEDIARE? MACCHE’, QUESTA E’ UN’EGEMONIA!  
Chiamateli come volete, agenti, procuratori, mediatori o qualsivoglia. Fatto sta che in questo momento storico sono loro i padroni indiscussi di ogni manovra nel mondo del pallone a livello globale. Un crescendo di potere che da diversi anni sta stritolando le società a ruolo di semplici clienti, vittime di un sistema calcistico talmente sregolato nel quale la figura di questi personaggi ha assunto un ruolo chiave nelle trattative.
Un sistema, il loro, al contrario così efficiente e diretto in grado di fatturare ingenti milioni di euro all’anno. 
Se è pur vero che che sugli oltre seimila agenti a livello mondiale un numero assai ristretto ha accesso al segmento più ricco (sui 2.685 trasferimenti avvenuti nel 2019 soltanto 176 hanno superato i 10 milioni di euro), c’è da rimarcare il fatto che i più potenti procuratori hanno ormai assunto una fetta di mercato talmente importante da venir solo minimamente condizionati nei loro guadagni rispetto al picco di introiti che tutte le società hanno dovuto subire dall’avvento del Covid.
Un ‘peso economico’ da 138 milioni di euro in Serie A nel corso del 2020 (in leggero calo rispetto al 2019 causa pandemia quando il monte commissioni fu di 187,8 milioni), con la Juventus primatista con 20,8 milioni, seguita da Roma (19,2), Milan (14,3) e Napoli (12). 
E se vogliamo avere un quadro più generale basta dare uno sguardo agli ultimi cinque anni. A livello globale, infatti, le commissioni sono passate dai 241 milioni di euro del 2016 fino a 653,9 milioni del 2020. 
Un fatturato quasi triplicato che ha fatto ergere i procuratori come i veri giocolieri della competizione. 
Un parco giochi nel quale i vari Jonathan Barnett (142 milioni di dollari di commissioni) Jorge Mendes (104) e Mino Raiola (84,7) stanno svolgendo egregiamente il ruolo di burattinai con quel filo teso e diretto con le varie società pronte a ballare, seppur a malincuore, ad ogni schiocco di dita. 
Spesso pulite, curate ma anche in grado di diventare tentacolari durante le crisi altrui.
Come capitato proprio a Jorge Mendes che, con la sua agenzia Gestifute fondata nel 1996, ha lavorato sia con i club che faticavano a far tornare i conti sia con quelli più ricchi che speravano di approfittare delle difficoltà altrui. 
Nel farlo, in molti casi ha rappresentato tutte le parti coinvolte: il club venditore, quello acquirente ed il calciatore. Tra i casi recenti durante la pandemia il passaggio di Ruben Dias, suo cliente, dal Benfica al Manchester City per ben 80 milioni di dollari, mentre Nicolas Otamendi, un altro suo assistito, ha fatto il percorso inverso per 15 milioni di euro.
Anche il Porto, club particolarmente afflitto dai debiti, si è rivolto a Mendes per riuscire a fare cassa. 
Il super-agente, in questo caso, ha persuaso il “suo” Wolverhampton (club inglese di proprietà del conglomerato cinese Fosun International, lo stesso che detiene quote di minoranza proprio in Gestifute) ad acquistare due giovani dal club portoghese per 60 milioni di euro. 
Un’iniezione di contanti sull’asse Inghilterra-Portogallo che desta, quantomeno, qualche dubbio dal punto di vista meramente sportivo in virtù del valore ancora tutta da dimostrare dei due giovani calciatori. 
Mentre Ferreira era già cliente della Gestifute, dei 40 milioni sborsati dal Wolverhampton per l’attaccante Fabio Silva (12 presenze e 180 minuti con il Porto al momento della firma con i Wolves, con il quale ad oggi ha all’attivo 32 gettoni e 4 gol), ben 7 milioni sono finiti nelle casse dell’agenzia del potente procuratore portoghese. 
Un giro interno d’affari che più che mai fotografa quanto ormai la condizione dei procuratori si sia evoluta da semplice agente calcistico a vero e proprio curatore d’interessi, un intermediario spesso al di sopra delle parti in causa. 
Colui che detta le leggi e che, passo dopo passo, è riuscito sapientemente a spostare il già labile concetto di mediazione ad un qualcosa di molto più effimero ed, in molti casi, privo di fondamento. 

DALLA LEGGE BOSMAN ALLA GIUNGLA DI OGGI 
Ma per capire a fondo lo scenario odierno bisogna fare un passo indietro. A quel lontano 15 dicembre 1995 quando la Corte di Giustizia si pronunciò a favore di Jean-Marc Bosman, calciatore belga, il quale fece ricorso in merito all’impossibilità di trasferirsi da svincolato dal Liege ai francesi del Dunkerque. 
All’epoca era presente un indennizzo obbligatorio per il club di appartenenza del giocatore e quella sentenza diede inesorabilmente inizio ad una reazione a catena che ha portato alla situazione odierna. 
Personalmente credo che quella decisione abbia avuto un peso specifico molto rilevante e che, considerando il periodo storico di ascendente prosperità economica nel mondo del pallone, non abbia tenuto conto delle possibili conseguenze. 
Una decisione non totalmente errata, a mio parere, ma necessariamente rivedibile in quanto inefficiente nella sostanza
La soluzione poteva e doveva essere trovata nel mezzo. 

Proprio in quel lasso semestrale di contratto dove la Corte di Giustizia dichiarò che un tesserato poteva firmare un pre-accordo con la nuova società senza tener conto della possibile volontà del club di appartenenza di rinnovare al giocatore in questione. 
Se ci fosse stata quella postilla contrattuale ogni società d’appartenenza avrebbe tutt’ora più potere rispetto ai procuratori che già a qualche mese di scadenza di contratto invogliano i propri assistiti a seguire le loro indicazioni da perfetti burattinai, auspicando loro lauti nuovi contratti dopo essere stati valorizzati dal loro club d’appartenenza. 
Nel concreto, ci doveva essere la possibilità entro 6 mesi dalla scadenza naturale del contratto di poter proporre al giocatore un rinnovo al ribasso, uguale o al rialzo, formalizzandolo in scrittura privata e con l’atleta libero di scegliere se firmarlo. 
Qualora venisse meno la scelta di mettere nero su bianco il rinnovo da parte del giocatore, la società interessata sarà ritenuta a pagare il 30% della nuova proposta contrattuale fatta dalla società d’appartenenza mettendo, di fatto, in stallo il ruolo di agente in materia di laute commissioni. 
Insomma, più soldi tra società e meno nelle tasche di quelle di procura e ‘consulenza’.
Purtroppo questo scenario non si è verificato ed il fenomeno dei cosiddetti ‘parametri zero’ e della ‘triplice rappresentanza’ (vedi caso Jorge Mendes sopracitato) stanno avendo un impatto devastante su una qualsivoglia trattativa, con le società schiave di procuratori e di un sistema che, a partire dagli organi competenti fino alle sedi opportune in materia di giudizio, ha il dovere di attuare una volta per tutte i giusti rimedi per poter ridare slancio alle società e di conseguenza un futuro al calcio europeo e mondiale. 

LA SALARY CAP E LIMITE ALLE COMMISSIONI COME PRIMO PIANO REGOLATORE 
E’ un tema di cui si dibatte da anni e per alcuni desta ancora molte perplessità, ma ora è arrivato il momento di regolare assolutamente il flusso del denaro. Senza entrare nel dettaglio dell’attuale vicenda che vede coinvolta la Juventus ed altre società italiane nell’operazione Prisma , in quanto dovrà essere la Magistratura e la Giustizia sportiva a fare chiarezza a riguardo, non si può non notare come questa situazione sia alla base determinata dagli enormi problemi economici che affliggono molti club. 
C’è bisogno di un tetto, di un limite a tutto questo. E gli organi internazionali come UEFA e FIFA devono essere più categorici a riguardo, in quanto non si può più permettere a delle società, spesso quotate in borsa, a giocare d’azzardo con i propri azionisti e tifosi. 
Dopo molti anni di parole ed una fase pandemica che ha visto dimezzare i ricavi di molti club c’è bisogno di un taglio per evitare il collasso. 

La Salary Cap deve essere la soluzione. Una programma diversa rispetto a quello ideato per la Lega NBA, dove esiste una soglia minima di spesa da parte di ogni franchigia sugli ingaggi pena denaro versato comunque nel roster, ma fondamentalmente un autofinanziamento reale che ogni club professionistico deve essere in grado di sostenere. 
Gli obiettivi, ovviamente, sono molteplici. Dalla maggiore disciplina e razionalità finanziaria, al contenimento dei costi di personale responsabilizzando ogni club, all’incoraggiamento a sostenersi tramite i propri ricavi, a tutelare la sostenibilità a lungo termine del ‘sistema calcio’, fino all’assicurare l’assolvimento dei debiti nel rispetto delle scadenze previste. 
A differenza della Salary Cap nella Lega Serie B, ovviamente l’incidenza dei costi e le percentuali di sforamento dovranno necessariamente essere differenti. Il progetto sulla serie cadetta rimane a circuito molto chiuso e dovrebbe essere revisionato, ma per le maggiori Leghe europee il processo sarà differente. 
Non ci saranno divieti a livello individuali per quanto riguarda lo stipendio dei giocatori ma a livello complessivo, invece, il tetto salariale sarà fissato in base al rapporto con il fatturato (il che conseguentemente porterà ogni club a stare attento sul monte ingaggi). 
Le voci che faranno da padrone saranno quelle del rapporto tra la somma degli emolumenti lordi dei tesserati ed il valore della produzione del club (riferito alla stagione precedente) che potrà essere compensato fino al 150% per il primo anno, 130% sul secondo, 115% sul terzo, 100% sul quarto, fino a stabilizzarsi sul 90% dal quinto in poi. 
Un progetto quinquennale che, se non rispettato, porterà a ad una multa sulla prima stagione e crescenti punti di penalizzazione dalla seconda stagione in poi. 
Un vero e proprio piano di risanamento dei debiti che UEFA e FIFA hanno il dovere di regolarizzare, stabilendo magari un accordo/tregua con le maggiori realtà calcistiche per quanto concerne gli introiti sui diritti televisivi ed i passaggi del turno sulle competizioni europee dando un potenziale boost sulla voce ricavi già dalla prossima stagione (se fortunatamente SuperLega non sarà!).
Un piano regolatore che toccherà non solo le società, ma anche gli agenti. 
Premettendo che la figura di intermediario (triplice rappresentanza) sia oggettivamente difficile da estinguere nell’immediato e che i più potenti procuratori del pianeta preannunceranno guerra su tutti i fronti, il punto focale sarà quello di regolarizzare la percentuale di compenso sulle transazioni. 
Ad oggi (solo formalmente) è attestata al 10% dal club venditore, 3% sullo stipendio del giocatore e 3% dal club acquirente. 
Parametri ancora troppo alti soprattutto per il club venditore che, se pur vero che si appoggia all’agente per la ricerca del miglior offrente, è anche vero che una parcella del genere rimane sempre assai corposa sulle finanze del club. Limitare al 5% questo tipo di operazioni in uscita sarebbe la via più congeniale.
Il Parlamento Europeo si è mosso proprio in questi giorni a favore della FiFA per trovare una soluzione e regolarizzare il tutto, ma credo che ci voglia un ulteriore step in più. 
Se vogliamo ridare ‘scacco matto’ servono intelligenza ed analisi in primis. 

AAHH COME GIOCA (E PENSA) DE BRUYNE! 
7 Aprile 2021. Kevin De Bruyne, uno dei centrocampisti più forti dell’attuale panorama calcistico europeo, si presenta nella sede del Manchester City per mettere nero su bianco il suo rinnovo di contratto per 5 anni a 18 milioni di sterline. Tutto ok la notizia in sé, se non fosse che il belga al suo arrivo non sia accompagnato da alcun agente in quanto il suo ex ‘mediatore’ Patrick de Koster è agli arresti dopo essere stato denunciato per riciclaggio di denaro e falsificazione della documentazione proprio dallo stesso giocatore. 
E quindi chi ha curato gli interessi per il suo nuovo accordo? Il ragazzo si è affidato ad un esperto team di data analyst, incaricando loro di dimostrare alla società in termini scientifici i perché della richiesta di un rinnovo al rialzo basandosi sulla sua storica e documentata incidenza sulla squadra.
Lo ha fatto attraverso i numeri, preoccupandosi di analizzare anche quanto i citizens siano in grado di lottare per il successo nei prossimi anni, in base all'età e alla qualità della squadra attuale, confrontando i dati del club di Manchester con quelli degli altri top club europei, e arrivando alla conclusione che la città inglese sia il posto giusto dove continuare a giocare ad alti livelli.
Un rinnovo rivoluzionario, insomma, che potrebbe in qualche modo azzerare il ruolo dell’agente-mediatore.
Stiamo però parlando di Kevin De Bruyne, che, oggi, non ha certo più bisogno di presentazioni ed è in grado di vendere se stesso al meglio in virtù della sua affermazione professionale conseguita negli anni. 
L’agente-mediatore è una figura che rimane fondamentale per la carriera, la serenità e la sicurezza di un giocatore, sia nell’affacciarsi al calcio professionistico che durante il proprio percorso professionale e sulle opportunità di mercato. 
Ma è comunque da questo episodio che si può ripartire per poter, passo dopo passo, diminuire la potenza di questa categoria

RIDIMENSIONIAMOLI ANALIZZANDO
Premettendo che questa ultima istanza debba essere necessariamente correlata alla salary cap ed a un limite sulle commissioni elargite ai procuratori, la vicenda De Bruyne potrebbe creare un nuovo asset sul quale le società avrebbero più gioco-forza riguardo alle contrattazioni di mercato.
Rimanendo ‘fedeli’ al fatto che gli agenti, purtroppo in molti casi, rappresentano non solo la parte relativa al calciatore bensì tutte e tre le parti in causa nella trattativa di intermediazione, facciamo un esempio pratico. 
Una società X è intenzionata a vendere un giocatore e la società Y è disposta a pagare i 50 milioni di cartellino richiesti (operazione da fare solo se il seguente bilancio, nonostante l’ammortamento, rientri nel discorso salary cap con rientro dai debiti prestabilito). A quel punto la trattativa può prendere forma con una stabilita commissione all’agente del 5% dal club venditore (2.5 milioni), il 3% sull’ingaggio del giocatore (5 milioni per 5 anni, ossia 750.000 euro di commissione) ed il 3% dal club acquirente (1.5 milioni). Operazione da 4.750.000 euro nelle tasche dell’agente.
Ma se per i primi due punti la situazione rimane la medesima, è sulla terza parte che in futuro bisognerà mettere un paletto necessario.
Il club acquirente ha il diritto di analizzare ‘l’indice di rendimento’ che verrà redatto al termine del primo anno di attività del giocatore, grazie alle informazioni che i data analyst metteranno in sede di pagamento.
Il procuratore riceverà, così, dal club acquirente solo l’1% in prima istanza, per poi procedere al restante 2% se tutte le analisi ‘oggettive’ verranno rispettate. 
L’agente da par suo ha il diritto-dovere di appoggiarsi ad un team esterno di data analyst riconosciuto (Opta per esempio) per poter matchare con i dati della società al termine della stagione se tutti i parametri siano stati rispettati. 
La metrica sarà il più oggettiva possibile e riguarderà principalmente: 

  • Presenze del calciatore con almeno 15 minuti effettivi giocati 
  • Percentuale riuscita di passaggi nella stessa zona di campo (superiore al 70%)
  • Percentuale riuscita di passaggi che ‘tagliano’ una Linea avversaria (superiore al 70%) 
  • Un corrispettivo di ammonizioni ed espulsioni non funzionali alle dinamiche di gruppo pari massimo ad 1/6 delle presenze totali (un fallo esplicitamente tattico non ha valenza) 
  • Percentuale di incidenza nella squadra (gol, assist, avvio di un’azione che determina una segnatura) in relazione alle presenze di giocatori offensivi pari allo 0,33% (ovvero una gara su 3 bisogna determinare) 
  • Percentuale di successo sui duelli individuali difensivi pari al 70%

Infine due postille fuori campo che riguardano comunque il lavoro di factotum dell’agente per il quale si potrebbe non ottenere la restante parte di commissione, ovvero:

  • Un’intervista non concordata con la società nel quale possa essere soprattutto minata in qualche modo la serenità del gruppo squadra 
  • Un impegno con lo sponsor personale non compatibile con quelli di squadra

Ovviamente questa analisi a favore della società acquirente è valida anche per i ‘parametri zero’, per i quali la formula del passaggio è stata disaminata in precedenza.
Tutto questo per essere da tutela ai club e non permettere agli agenti di speculare esageratamente sui movimenti di anno in anno, in quanto una grossa fetta di milioni che che le agenzie di ‘consulenza’ producono derivano da giocatori di dubbia qualità e venduti sistematicamente a peso d’oro. 

Claudio Brambilla