Giù con gli insulti!
Ve lo dico prima, così siamo tutti consapevoli di quello che sta per accadere su questa pagina: l'articolo che state leggendo non ha lo scopo di accattivarsi le simpatie degli italici tifosi e neanche lo scopo (simulato o dissimulato) di procacciare sostenitori nella folta schiera dei contestatori di professione. Io li chiamo "i conservatori della rivoluzione", cioè coloro che riescono ad affermare, per prassi, sempre il contrario dell'opinione comune corrente: rivoluzionari nel non rivoluzionare nulla, in pratica. 
Forse, oggi, iscrivo anche il mio umile nome in questa lunga lista: non me ne dolgo né me ne compiaccio. Citando pari pari l'immenso Giorgio Gaber, nella canzone dall'eloquente titolo "Quando è moda è moda": "Sono diverso perché non sopporto il buon senso comune Ma neanche la retorica del pazzo Non ho nessuna voglio di assurde compressioni Ma nemmeno di liberarmi a cazzo".
E di moda si tratta, come in tutti i grandi movimenti pubblici e popolari che propinano a favor di telecamera l'espressione più palese del sentimentalismo nazionale. 
Il manifesto di questa stucchevole filastrocca lo troviamo stampato a colori nelle parole del presidente federale Gabriele Gravina, rilasciate quest'oggi all'ANSA: "Questa Nazionale è un simbolo di unità dell'Italia. E' il risultato di un'equazione semplice e straordinaria allo stesso tempo: è cuore, più anima e coraggio. Il concetto di bellezza di cui parlavo è il risultato di quest'equazione. Tutto il Club Italia ha lavorato su un progetto straordinario, il risultato più bello non è la finale ma tutto ciò che quel risultato sta portando al Paese. C'è un concetto di unità che emerge: tutti gli italiani avevano bisogno di un collante che oggi è dato da questi ragazzi che stanno tracciando e disegnando dall'11 giugno".
Tutti ad applaudire, petto in fuori ed occhio adeguatamente lucido. Tutti che confondono (senza porsi la questione) il gioco del calcio con concetti del tutto astratti da esso come il patriottismo, il sentimento nazionalista, l'identità nazionale: cose che con quel gioco che si pratica prendendo a calci un pallone di cuoio, non c'entrano francamente nulla. D'altronde lo diceva già un secolo fa il grande statista inglese Winston Churchill: gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio.
Mi spiace per i fautori del calcio da guerra civile, ma il tifo non è una questione di tipo etnico.
Mi riferisco, in prima battuta, a coloro i quali ritengono che un essere umano nato fisicamente in un determinato territorio geografico, sia costretto, anzi divinamente condannato, a sostenere la squadra di calcio con sede legale in quel medesimo territorio.
Se sei nato a Trapani devi tifare per il Trapani, se sei nato a Pavia devi tifare per il Pavia: se non lo fai, sei un rinnegato. Me lo sono sentito dire tante volte: sei di questa città ma tifi per una squadra di un'altra città (come se il Milan fosse espressione di una singola città del mondo..), quindi "sei un rinnegato!". 
Eppure, stando alla mera e semplice lettura della lingua italiana, uno può rinnegare qualcosa che aveva precedentemente ed in qualche modo affermato. Dice l'Enciclopedia Treccani: "Rinnegare [lat. *renegare, der. di negare «dire di no»]  – 1. Dichiarare di non aver conosciuto una persona che si è conosciuta, rifiutando con questo atto gli obblighi o i legami di obbedienza, di affetto, o di rispetto che a essa legano; si dice per lo più in tono di riprovazione e di condanna; Pietro rinnegò Gesù (con riferimento all’episodio narrato in Matteo, 26). – 2. Riferito a idee o istituzioni religiose, morali o civili, non voler più dare a esse, dichiarandolo esplicitamente o anche solo dimostrandolo coi fatti, la propria adesione o devozione o fedeltà giurata o solennemente promessa o anche solo mantenuta per un certo tempo: r. la propria religione, la fede, la patria; ◆ Part. pass. rinnegato, anche come agg., che ha rinnegato un’idea o un’istituzione religiosa o civile: cristiano rinnegato; e come s. m. (f. -a): un rinnegato politico; spesso, assol., chi ha rinnegato la propria fede religiosa, o anche politica, per abbracciarne un’altra".
Quindi, se un bergamasco non ha mai tifato per l'Atalanta, ma ha sempre tifato (per motivi suoi, personali, individuali, attinenti alla sua indiscutibile libertà) per il Napoli, perchè avrebbe rinnegato l'Atalanta? Ha semplicemente scelto di amare, calcisticamente, sportivamente, per un gioco, il Napoli.
Il club di calcio, la squadra del proprio cuore, è una cosa che si sceglie, non può venire imposta: il sottoscritto autore di questo articolo, scelse di tifare per il Milan tanti tanti anni fa, poichè si riconosceva in un certo modo di intendere il calcio fatto di princìpi offensivi, meritocratici, anti-speculativi. Insomma, mi sono innamorato del Milan di Silvio Berlusconi ed Arrigo Sacchi, pur non essendo nato a Milano, pur non vivendo nel capoluogo lombardo, pur non essendo un berlusconiano: eppure scelsi di sostenere quel club che, nella mia visione, rappresentava il massimo grando di espressione calcistica del suo tempo. E comprendo perfettamente coloro i quali, per ragioni uguali e contrarie alle mie, hanno scelto di tifare Inter o Juventus o Lazio pur non essendo milanesi, torinesi e romani.
Per lo stesso motivo, ed arrivo al nocciolo della questione, non capisco il motivo per cui un essere umano che accidentalmente si ritrova a nascere in quel lembo di terra dalla forma di stivale, compresa tra le Alpi ed il Mar Mediterraneo, debba essere costretto a tifare per la selezione di calcio italiana, la cosiddetta Nazionale, i cosiddetti Azzurri.
Questo accade nel Libano dilaniato da decenni di conflitti, soprattutto nella capitale Beirut, dove molti club hanno un chiaro riferimento etnico, religioso o politico che rispecchia le profonde divisioni della società. Il rischio che i problemi politici causino scontri fra i tifosi è così elevato che il governo ha inibito agli spettatori negli stadi la visione del campionato di calcio del 2008. Tra i club più seguiti dal pubblico islamico c'è l'Al Ansar Beirut, posseduto da una ricca famiglia sunnita, o gli sciiti Al Nejmeh Beirut (forse la formazione più seguita del Paese) e Al Ahed, sponsorizzato direttamente da Hezbollah.
In Scozia, il derby più acceso è quello tra le squadre dell'Old Firm e la divisione principale che contrappone le due tifoserie non è politica, bensì l'appartenenza territoriale e religiosa. Il Celtic è principalmente la squadra della comunità cattolica irlandese di Glasgow (infatti ha nel suo logo il trifoglio, già simbolo dell'Irlanda, oltre che i colori nazionali irlandesi del bianco e del verde) mentre i Rangers sono il club della maggioranza protestante e lealista. Quale simbolo dell'indipendentismo irlandese il Celtic ha tra i suoi tifosi gruppi dichiaratamente di sinistra (come la Green Brigade) e può vantare storiche alleanze con club di estrema sinistra come il St. Pauli di Amburgo e club che condividono una forte impronta autonomista, come l'Athletic Bilbao in Spagna.
Al contrario i Rangers, a parte le pulsioni filo-protestanti e monarchiche, sono totalmente non ideologici, annoverando legami storici sia con tifoserie di squadre politicamente a destra (come il Chelsea) sia con i rivali londinesi dell'Arsenal, la squadra dal tifo più multietnico del Regno Unito. 
La tensione tra i due gruppi di tifosi si è resa notevolmente acuta con il deteriorarsi della situazione politico-sociale nell'Irlanda del Nord. C'è da sottolineare che entrambi i club ultimamente stanno cercando di unire i propri sforzi per evitare violenze accadute in passato e mantenere la rivalità una semplice questione sportiva. 
In Spagna, a causa della lunga dittatura di Francisco Franco terminata solo a metà degli anni Settanta del Novecento, sostenere una o l'altra squadra poteva essere un modo per esprimere le proprie simpatie politiche. A questo si sommava nelle province non castigliane l'ostilità verso l'accentramento portato avanti dal regime, creando in molte città una divisione fra la squadra sostenitrice dell'unità spagnola e la squadra sostenitrice dell'autonomia: Barcellona è la città simbolo di questa divisione.
Durante il governo falangista era stata vietata la produzione di bandiere catalane: per tale motivo la maglia blaugrana del Barcellona divenne una sorta di tentativo di riscatto del popolo catalano contro il regime di Franco. Proprio da ciò infatti nasce il cosiddetto El Clásico tra Real Madrid e Barcellona, ancora oggi il più seguito e atteso in tutto il paese.

Arriviamo, finalmente, al discorso Nazionale: stiamo ancora parlando di calcio, di semplice e banale giuoco del pallone. Non c'entra la fede politica o religiosa , la patria, il sangue, la razza, l'etnia: tutte stupidaggini quando vengono confuse (come troppo spesso accade) con una palla che rotola su un prato verde e che viene presa a calci da ventidue ragazzini multietnici e multimilionari.
Per tale motivo, il sottoscritto si sente libero di non sostenere questa Nazionale: ne riconosco il valore tecnico e fisico, le doti, le prestazioni sportive assolutamente eccezionali. Come riconosco in pieno il lavoro eccezionale del commissario tecnico Roberto Mancini ed i meriti di staff e giocatori nel disputare un torneo continentale di valore assoluto.
Riconosco tutti i pregi, ma preferisco non salire sul carro del vincitore.
Se il vincitore è Gianluigi Donnarumma
, colui che si cela dietro al peggior mutismo di facciata pur di fuggire a parametro zero dal club che l'ha reso uomo ricco e calciatore affermato. Quello che disse al Signor Maldini Paolo: "Devi parlare con Mino, io faccio quello che dice lui": io preferisco restare giù dal carro.
Se il vincitore è Leonardo Bonucci,
quello che si trasferì dalla Juventus al Milan già con i galloni di capitano sul braccio, per spostare gli equilibri e per far sciacquare la bocca a tutti, salvo pentirsi a metà del guado e tornare indietro con la coda tra le gambe. I tifosi rossoneri diranno: "Sei peggio di Schiettino" ed io preferisco restare a terra.
Se il vincitore è il capitano Giorgio Chiellini
, la cui goffa e tremenda gestualità del "you pay, you pay" rivolta ai colleghi del Real Madrid è passata tristemente alla storia del calcio e della commedia grottesca: che il carro parta pure senza di me, siete già in tanti.

"Vergin di servio encomio e di codardo oltraggio" lascerò a voi il privilegio di esultare, di cantare l'inno nazionale a squarciagola, di inveire contro i maledetti inglesi come contro i rinnegati spagnoli e gli odiosi austriaci, di abbracciarsi a milioni nelle piazze da Nord a Sud del Bel Paese, salvo riporre le bandiere in ripostiglio tre giorni dopo la finale.
Io continuerò a tifare per la squadra di calcio che ho scelto, non per quella che mi viene assegnata per diritto divino o per etnica: sono pronto a ricevere insulti ed accuse, ma la mia coscienza è del tutto scevra da pesi morali e banalità politically correct.
"Scusate non mi lego a questa schiera, morró pecora nera".