Prologo

Ricordo ancora piuttosto chiaramente, quando da piccolo, comodamente parcheggiato presso il divano dei miei nonni, mi capitava di osservare, quasi sempre un po’ di sfuggita, quei vecchi film di Sergio Leone, che tutti definivano comunemente “Western”.
Quegli sguardi erano così truci da non lasciar intravedere alcuna apertura, come se quegli uomini non avessero nemmeno un briciolo di paura di fronte ai proiettili, come se a tutti gli effetti, non potessero morire sul serio.
L’assordante rumore degli spari fuoriusciti da quelle vecchie pistole pregnanti di polvere da sparo, sembrava quasi che mi proiettassero direttamente dentro quel minuscolo schermo, tanto da ritrovarmi tramite la fantasia nel bel mezzo di quel mondo regolato dalla dura legge del West.

Soltanto anni dopo, studiando le vicende legate alla storia americana cominciai a comprendere di cosa si trattasse realmente, e di quale società si fosse sviluppata in quel periodo, così apparentemente lontano dall’attualità.
Ma quelle straordinarie opere, generate dalla sapiente mente di uno dei registi più illustri di sempre, divenute ormai veri e propri “cult”, non sono mai state così vicine alle vicende correnti.
Infatti, grazie ad un’interpretazione quasi goliardica di quello che un tempo rappresentava l’apice della suspense in televisione, si potrebbe giocare ad adattare tali vicende a fattispecie attuali, come se ogni personaggio corrispondesse ad una maschera.
In fondo, riflettendoci un attimo, la vera essenza dell’arte sta proprio nella sua capacità di adattamento, che la rende immortale e capace di sopravvivere ad ogni ricambio generazionale.
Nel caso dei fantomatici “Western” del maestro Sergio Leone, per un ragazzo giovane come me, essi rappresentano per certi versi un cinema ormai tramontato, ma allo stesso tempo restano incredibilmente vivi, poiché in quelle vicende c’è davvero qualcosa dal sapore leggendario.

Il CASO

Ed eccoci tornati nel presente, più precisamente di fronte all’analisi della 30esima giornata di Serie A, con il focus incentrato in modo particolare sul match che ha visto affrontarsi al Tardini di Parma, la formazione crociata ed il Milan di Stefano Pioli.
Vittoria “agevole” per i rossoneri, che trionfano per 3 a 1 sui padroni di casa, ormai destinati alla retrocessione, che continuano a tenere vive, anche se fievolmente, le proprie speranze scudetto. 
La partita si apre subito con la rete messa a segno da Ante Rebic, abile nello sfruttare l’assist perfetto di Zlatan Ibrahimovic; il raddoppio lo firma l'ivoriano Kessié, e per il Diavolo sembra ormai in discesa, con l’ennesima vittoria in trasferta praticamente in cassaforte.
Ma poi scoppia il caso, l’episodio che non ti aspetti, e che rimescola le carte in gioco: l’arbitro fischia un fallo in favore del Milan a centrocampo, e Ibra si avvicina al direttore di gioco, con uno sguardo tipico della sua ferocia sportiva. 
Lo svedese dice qualcosa al direttore di gara Fabio Maresca, che però ricambia con il cartellino rosso.
E qui scattano le ricostruzioni, nel tentativo di capire, di spiegare ai telespettatori e non solo, quali imperdonabili paroloni siano stati pronunciati dal fuoriclasse rossonero.
Dalle prime informazioni riportate dalle più note testate giornalistiche, sembra che Ibra abbia detto all’arbitro:“sembra strano”, in merito alla punizione assegnata, con il solito tono pungente che lo contraddistingue da sempre.
Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: allora perché cacciarlo dal terreno di gioco?
In realtà potrebbe essersi trattato di un enorme malinteso, con il direttore di gioco, colpevole di aver udito in modo errato le parole dette dallo svedese nella circostanza, a cui sarebbe stata inflitta un’esagerata punizione.

Eppure era già successo...

Ma attenzione gentili lettori, poiché come ben ricorderete non è affatto la prima volta che accade un episodio discutibile durante la conduzione dell’arbitro campano, il quale recentemente aveva già fatto parlare di sé in merito ad un’altra questione.
Trattasi dell’espulsione, anche in questo caso preceduta da eccessive proteste, dell’allenatore dell’Inter Antonio Conte, cacciato dalla sua area tecnica, in seguito alle parole rivolte al direttore di gara nel corso della fase finale del match disputato alla Dacia Arena contro l’Udinese.
In quell’occasione, sembra che il tecnico salentino gli abbia detto testualmente “sei sempre tu”, con un tono che di certo non traspariva amichevole, vista la situazione di estrema tensione che si respirava sul terreno di gioco. 
Inutile descrivere l’immensa quantità di parodie nate in seguito a tale episodio, con l’allenatore nerazzurro, che secondo alcuni comici della rete, avrebbe frainteso l’identità della persona che aveva di fronte, alludendo al suo vecchio compagno di squadra, Enzo Maresca.
Ma quale assurdo collegamento lega così da vicino le vicende calcistiche intorno all’arbitro Maresca ed i leggendari film di Sergio Leone?
In realtà si tratta dell’atmosfera tipica del film Western: infatti, in quel mondo così ricco di uomini dal facile e rapido proiettile, di solito conveniva non proferire parola, stare zitti e soprattutto alla larga da certi soggetti.
Nel nostro allegro mondo del pallone, per fortuna aggiungerei, non si discute mai del piombo da utilizzare come munizione, poiché le “armi” a disposizione per riportare l’ordine sono ben altre: i cartellini, sventolati a destra e manca, ad allenatori e giocatori, spesso colpevoli di aver pronunciato chissà quali “blasfemie”.
Per carità, quando si tratta di bestemmie non credo ci siano grossi dubbi, un uomo adulto deve essere in grado di trattenersi, soprattutto poiché si tratta di professionisti che rappresentano un esempio per tantissimi ragazzini che li osservano con ammirazione davanti alla TV.
Ma di fronte alle classiche frasi che possono nascere dalla concitazione di un match, sembra ormai davvero eccessivo discutere di punizioni così aspramente comminate, come se fossimo ancora nel "Vecchio West" narrato dal regista romano.
In quell’ambiente selvaggio, anche una parola, seppur semplice, aveva il potere di decidere le sorti di un uomo, in una costante lotta tra la vita e la morte per il sopravvento sugli altri, in cui alla fine vinceva solo il più veloce tra i proiettili.

Al giorno d’oggi potrebbe apparire assurdo un mondo come quello, ma se trasponiamo le stesse vicende, in fin dei conti anche un cartellino rosso equivale all’eliminazione di un giocatore, che rimane costretto ad abbandonare il rettangolo di gioco.
Ci tengo però a precisare che non vorrei nemmeno schierarmi dalla parte dei “cattivi” per così dire, perché come diceva qualcuno “le colpe non stanno mai da una sola parte”, e quindi appare chiaro che anche dal lato degli “squalificati” ci sia evidentemente qualcosa da correggere.

In conclusione

Per concludere questa mia riflessione su quanto accaduto in merito al caso Ibra, o meglio ancora alle vicissitudini avvenute intorno alla figura di quest’arbitro divenuto ormai più famoso di altri, credo che tutto possa convergere al buon senso.
La storia insegna chiaramente che anche nelle scelte che prevedono di comminare una sanzione, scegliere di utilizzare unicamente il bastone e dimenticare chissà dove la carota, non serva assolutamente a nulla. 
L’equilibrio di fronte alla necessità di una decisione resta comunque il primo elemento fondamentale da tenere in considerazione, perché rappresenta il modo migliore per bloccare una polemica e non permettere ad essa di trasformarsi in qualcosa di non gestibile.
Con quest’ultimo appunto, mi riferisco in particolare alla figura dell’arbitro Maresca, il quale se continuerà a comportarsi in modo così severo, rischierà seriamente di mettere in discussione la propria carriera, bloccando il suo processo di crescita professionale.
Anche un maestro del ruolo come Pierluigi Collina si ritrovava ben più di una volta a dover gestire situazioni complicate, ma la sua incrollabile incapacità di lasciarsi trasportare dai sentimenti lo ha reso il migliore tra gli imparziali.
E allora a tal proposito, il messaggio che nasce da questa riflessione risulta evidente, come affermato da un aforisma del celebre poeta Ezra Pound: “è facile andare agli estremi, difficile restare fermi nel mezzo”.