“L’Inter deve ringraziare uno juventino se è tornata ad essere competitiva”

Questo, in sintesi, il pensiero di gran parte del popolo sostenitore della “Vecchia Signora”.

In queste parole non c’è apparentemente nulla di sbagliato o di non veritiero: effettivamente, mai come negli ultimi nove anni, l’Inter appare una squadra tenace, coriacea, capace di lottare e di soffrire e, forse, in grado di contendere il titolo alla regina incontrastata del decennio che sta per volgere al termine.

E il merito, oggettivamente, è in gran parte di Antonio Conte: la sua fame è stata trasferita in modo osmotico alla squadra, permettendo ad elementi quasi divenuti ologrammi negli anni scorsi di tornare ad essere calciatori validi e di dare un’impronta di approccio, gioco e carattere degne della storia del club meneghino, permettendo l’integrazione dei nuovi acquisti con calciatori finalmente esplosi (la coppia Lautaro-Lukaku su tutti).

Dove sta, però, il problema della frase in apertura di articolo?
Il punto è che, con quelle poche parole, il tifoso juventino medio (non tutti, dunque, sia ben chiaro) pare voler sostenere la tesi per cui il suo omologo interista non dovrebbe gioire dei grandi risultati ottenuti fin qui dalla sua squadra, in quanto derivanti dal contributo di un mister dal passato trascorso sotto la Mole.

È evidente la molla che spinge ad esternare queste considerazioni: i sostenitori bianconeri hanno, per la prima volta, dopo tantissimi anni, un po' di paura di perdere il titolo. Non sarebbe un dramma, prima o poi (è statistico) il ciclo di vittorie deve terminare. Sarebbe innaturale vincere per sempre, a meno che non ci avvicinassimo a campionati di un livello medio-basso.
Nei tornei di prima fascia, invece, regna ovunque l’alternanza e l’Italia non può sottrarsi.

Attenzione: per chi scrive, la Juventus vincerà lo Scudetto. È ancora la più forte di tutte. Ma, sicuramente, avrà un ostacolo molto forte e non sarà una passeggiata mantenere il tricolore cucito sul petto, operazione a cui spesso è stata abituata negli ultimi anni.

Detto ciò, è chiaro che quando si vuol far passare il messaggio per cui ci si debba quasi “vergognare” di essere felici perché i risultati ottenuti sono frutto del lavoro di un ex bianconero, stiamo parlando di parole pronunciate frutto di paura mista a rabbia.

Ragioniamo in maniera oggettiva: qual è la colpa del tifoso interista se a sedersi sulla panchina della propria squadra c’è una persona e un professionista che in passato ha scelto di consacrare la sua carriera ad una determinata società? Per quale motivo le decisioni di vita di un lavoratore debbono incidere sulla voglia di festeggiare dei sostenitori di un team?

È evidente che si tratta di un pensiero che fa acqua da tutte le parti.
Basterebbe un esempio per tutti: Giovanni Trapattoni.
Sotto la sua guida, la Juventus ha ottenuto una miriade di titoli, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Il mister è sovente citato come un altro esempio di juventino che ha poi trionfato anche con l’Inter (Conte, allo stato attuale, non è ancora nel modo più assoluto arrivato a questo livello). Eppure, non di rado ci si dimentica di ricordare che il passato di calciatore del tecnico di Cusano Milanino è legato ai colori rossoneri, di cui è stato elemento cardine del Milan di Nereo Rocco vincitore di due Coppe dei Campioni. Applicando lo stesso metro di giudizio, dunque, i successi bianconeri di quel periodo sono stati ottenuti grazie al lavoro di un milanista.
E potremmo citare una marea di nomi a titolo esemplificativo in tutte le direzioni, non solo in casa Juve.
Bisognerebbe porre un freno a questa idea per cui una persona, se legata ad un club per sua scelta durante la carriera, sia necessariamente etichettata come tale e, pertanto, qualsiasi azione futura debba essere condizionata dal suo passato, andando a influenzare persino le “gioie” di coloro che quella decisione la subiscono.

Perciò, smettiamola di considerare dei professionisti di “proprietà” esclusiva di una o altra società: esistono dei contratti, non dei vincoli sacri per la vita.
E quando cessa di esistere un contratto, il professionista è libero di accasarsi altrove, offrendo le sue prestazioni e il suo massimo impegno per la causa di quella società.
Inoltre, siamo ancora ad un terzo di stagione e tutto è ancora da dimostrare, da una parte e dall’altra.

Conte è stato juventino e la casacca bianconera non potrà dimenticarla mai.
Ma adesso, fino a quando siederà sulla panchina della Beneamata, è interista.
Che piaccia o no.