La spettacolarizzazione è un evento che si è diffuso negli anni Ottanta, quando con l’innesto sempre più innovativo del mezzo televisivo, bisognava aggiungere un po’ di salsa ai vari programmi che andavano in onda.
La spettacolarizzazione politica con interventi stravaganti per accaparrarsi consensi ai fini elettorali da parte dei leader; la spettacolarizzazione politica mista all’intrattenimento da parte dei conduttori per conferire hype al pubblico che sedeva sulle poltrone dello studio o sul divano di casa; e infine una spettacolarizzazione di solo intrattenimento che è arrivata sino ai giorni nostri, diffondendosi oltre le mura politiche, bussando alle porte dello sport, della musica e di tanti altri generi.

Ma chi è che offre spettacolo allo sport oltre ai conduttori associati a quel mondo?
Scendiamo in campo e osserviamo i ventidue che si apprestano a calpestare il manto verde.
Leggiamo le formazioni e sappiamo già chi potrebbe garantircelo: Ronaldo con la sua “Ronaldo Chop”, Kolarov con la sua classica finta a rientrare, Neymar che adora il trucco “Hop” (utilizzato spesso anche da CR7) e poi, passando a quelli meno mainstream, abbiamo un Pippo Falco che con le sue giocate illumina il “Via del Mare”. Ma abbiamo preso visione solo degli attaccanti, di quelli che giocano davanti e che si accingono a fare tanti gol. Scalando la formazione entriamo nel cuore della squadra, quello dei centrocampisti.
Ecco, qui la spettacolarizzazione subisce un appannaggio, ma per gli occhi dei più vigili non passerà di certo inosservato. Possiamo ammirare le verticalizzazioni, i passaggi filtranti, i cambi di gioco e ripulitori alla Strootman o alla Lucas Leiva. Ma tra questi c’è anche chi è stato incompreso, sottovalutato e che l’appannaggio ha preso il sopravvento allo sguardo vigile.
Parlo di Thiago Motta, ricordato da tutti come un centrocampista lento, che “uccideva” la sua squadra, vittima anche di molti meme e bersagliato da quando la Nazionale gli affidò la numero dieci.
Era un centrocampista che amava il possesso palla e serviva difensori o attaccanti nella maniera più semplice possibile. E non voglio snobbare il suo lavoro con l’aggettivo semplice, anzi, voglio esaltarlo, affermando che realizzava con semplicità i passaggi più difficili; possedeva freddezza e conferiva sicurezza alla squadra. Ma questo non era plausibile agli occhi di chi lo osservava, forse perché Thiago veniva infarcito da pregiudizi o perché portava il pubblico ad osservare solo la lentezza o a ricordare l’unico errore che commetteva.

Ma questo articolo non si basa sull’analisi del giocatore, ma su una proiezione di quel che è accaduto qualche anno dopo, quando dichiarò di avere già le idee chiare sul suo futuro: diventare allenatore.

Thiago Motta, dopo cinque stagioni al Paris Saint Germain, si ritira dal calcio giocato per passare al calcio raccontato; sì, perché appena conclusa la carriera passa ad allenare l’under 19 del PSG, raccontando la sua idea di gioco: il 2-7-2.
Da qui, il mondo del giornalismo sportivo è andato letteralmente in tilt, cominciando ad ipotizzare un possibile schieramento in campo dei giocatori, di come potesse ricoprire un ruolo fondamentale il portiere, vista la sua inclusione nel modulo, di come potesse rappresentare una rivoluzione nel mondo del calcio, spaziando fino al 5-5-5 di Oronzo Canà.
Ovviamente questo ha lasciato spazio ai pregiudizi, rincarando la dose nei confronti dell’ex centrocampista, lanciandogli aggettivi non troppo rassicuranti, sbeffeggiandolo a più non posso e riempiendolo di critiche.

Ma Thiago ha lanciato l’amo e tutti noi abbiamo abboccato; un po’ come il solito articolo clickbait. In un’intervista, l’ex centrocampista affermò di vedere il portiere come un centrocampista. Un’esca perfetta per tutti noi. Quando, in realtà, intendeva dire che dividendo il campo in modo verticale, l’estremo difensore sarebbe finito nella parte centrale del campo, leggendo il modulo da sinistra verso destra. In poche parole un 4-3-3 orizzontale.

Eccolo qui il centrocampista incompreso; incompreso sia nel campo verde con la tuta da gioco e sia nella sua visione da gioco in giacca e cravatta. Anche questa è spettacolarizzazione. Ha dato spettacolo prendendosi gioco dei nostri pregiudizi, creando fermento al suo modulo, quando per lui non è importante quello, ma i movimenti. Eravamo già pronti a vedere il suo 2-7-2 con il Genoa, prima sua squadra professionale; eravamo curiosi di capire come Zapata e Romero potessero difendere da soli; eravamo curiosi di vedere Radu regista; eravamo curiosi di vedere come sette centrocampisti potessero giocare tutti nello stesso ruolo senza calpestarsi in quel traffico immenso; ma allo stesso tempo, anche Thiago Motta era curioso di osservare cosa potesse scatenare una dichiarazione di questo tipo.

Non esiste nessun 2-7-2 nella mente del neo allenatore dei grifoni. Nessuno. Esiste un 4-3-3 con ampie visioni di gioco, non ridotto ai semplici numeri, ma acutizzato a movimenti fondamentali che possono mandare la squadra in porta senza faticare troppo. Esiste una squadra corta, pronta a pressare alto, mandando in difficoltà gli avversari cercando di far perdere loro il possesso; esiste una squadra compatta, che faccia buoni movimenti anche senza palla al piede e che riesca a trovare almeno 3 o 4 soluzioni per la giocata. Questo è ben visibile negli allenamenti con l’U19 del Paris Saint Germain e in qualche partita. Si vede come la squadra è concentrata nel mantenere possesso sin dalla difesa, cercando di far salire gli avversari e raggirandoli con breve e veloci triangolazioni.

Ora è in forza al Genoa. Al momento lo storico recita una vittoria, un pareggio e due sconfitte e un posto in classifica che non fa dormire sogni sereni ai tifosi. Vediamo come il suo modo di far giocare si adatterà al suo Genoa e se si adatterà. Quel che possiamo dire è che il 2-7-2 è solo una spettacolarizzazione del mondo calcistico.