L’immagine più iconica degli ultimi Mondiali di calcio non è un gol, non è una parata e nemmeno una premiazione. È quella della nazionale di calcio dell’Iran, che alla prima partita del girone eliminatorio in Qatar, decide di non cantare l’inno nazionale, in segno di solidarietà con la mobilitazione del movimento donna-vita-libertà.  
Le manifestazioni si erano attivate nel loro Paese a seguito della condanna - eseguita - alla pena capitale di una ragazza, di nome Mahsa Amini. Unica sua colpa, oltre all’origine curda, il fatto che non indossasse il velo in modo corretto.

In molti Paesi, come da noi,  l’8 marzo viene festeggiato con dibattiti, spettacoli, regali come fiori e cioccolatini. In maniera sbiadita rispetto al passato, come se la giornata di festa non avesse più mordente. Neanche più si ricorda la sua vera origine - che contrariamente alla narrazione comune non è la memoria del sacrificio delle operaie di una fabbrica di camicie, perite nell’incendio del loro stabilimento -. Questa versione è o sarebbe molto più di impatto emotivamente, ma è un falso storico; la festività dell’8 marzo in realtà ebbe il via da una lunga serie di conferenze ad alto livello politico internazionale, fino all’istituzione della giornata della donna da parte dell’Onu, nel 1975.
In altri Paesi invece, la Festa della Donna non si può nemmeno nominare, figuriamoci celebrare, c’è il rischio per chi lo fa di finire in carcere, o picchiata o addirittura uccisa. E questo avviene in luoghi non troppo distanti da noi, appunto in Medio Oriente.

Curiosamente, è proprio lo sport, soprattutto il calcio, ad offrire alle donne una prospettiva, una speranza di riscatto. Pensiamo a quanto è successo durante gli ultimi Mondiali, ma anche a quanto il calcio abbia aiutato le donne mediorientali a emergere e a conquistarsi nuovi spazi nella società.
In Iran il calcio femminile ha beneficiato di riflesso della grande crescita del movimento maschile. Le ragazze oggi hanno molte più possibilità di giocare, e non solo a livello amatoriale.
Il calcio femminile iraniano ha esordito nel 1969, grazie a Farvis Abutaleb, dirigente calcistico illuminato, che di ritorno da un viaggio in Giappone organizzò un torneo tra tre squadre nella capitale. L'evento riscosse l'apprezzamento dell'imperatrice Farah Palavi, che nel 1971 decise di invitare in Iran la nazionale italiana, in modo da offrire alle giocatrici di casa l’opportunità di imparare da una squadra più esperta. Due rappresentative iraniane affrontarono le azzurre, e naturalmente le presero-- 2:0 e 5:0 per l’Italia. Ma sicuramente il momento di confronto con le nostre fu una svolta per il movimento femminile persiano.
Ufficialmente, la nazionale femminile persiana è stata fondata nel 2005, e ha già partecipato a parecchi tornei internazionali, come la Coppa d’Asia, oltre che alle qualificazioni della Coppa del Mondo.
Nel 2019 la Fifa è riuscita, con le sue pressioni, a far abolire la norma che vietava alle donne di frequentare gli stadi, divieto che era in vigore fin dal 1989.
Chiaramente ciò ha contribuito ad avvicinare sempre più ragazze al football, a vederlo e a praticarlo. E a seguire anche i campionati maschili e le partite della nazionale degli uomini, il Team Melli.

Ricordiamo a questo proposito una vicenda, che è stata narrata anche da un film di grande successo; è l’8 giugno del 2005, e a Teheran si gioca l’incontro di calcio Iran-Bahrain, valevole per le qualificazioni ai mondiali di Germania 2006. È una partita decisiva per gli iraniani, a cui basta un pareggio per ottenere la terza storica qualificazione alla massima competizione calcistica.
Non tutti, però, possono seguire l’evento dagli spalti dello stadio. Come abbiamo già visto, per le donne iraniane c’è una proibizione che impedisce loro di poter vedere una partita di calcio mescolate ad altri uomini, a tifosi che non siano loro parenti.  
Jafar Panahi
, il regista, spinge sul ritmo per raccontare come in presa diretta la cronaca, ricca di ironia e tenerezza, delle ‘imprese’ che le donne protagoniste compiono pur di assistere alla partita. La pellicola in ogni caso non è contro l’Iran, o meglio contro il regime teocratico che lo guida; Offside - questo è il suo titolo - piuttosto narra come grazie al calcio ci sia la possibilità che qualcosa di nuovo nasca nel Paese, con una riconciliazione comunitaria e collettiva fra donne e uomini, come indicato dal bel finale. Per inciso, Offside è stato premiato con l’Orso d’argento al festival del cinema di Berlino, epperò in patria non ha avuto alcuna distribuzione nelle sale, per il tema considerato tabù, la condizione delle donne e il loro affacciarsi a realtà nuove come quella calcistica.
Il 28 aprile 2006 venne disputata a Teheran un'amichevole contro una rappresentativa tedesca, la BSV Al-Dersimspor, in quella che fu la prima partita di calcio femminile disputata in uno stadio dopo la rivoluzione del 1979 - la legge iraniana di allora prevedeva che i match di calcio femminile potessero svolgersi solo davanti a un pubblico di donne, in edifici al chiuso e sempre indossando l'hijab – il velo che tutto copre, tranne mani e faccia..

Ancora nel 2008/9 le donne manifestarono contro il governo, a causa della morte violenta di una giovane attivista femminista e tifosa di calcio, Sahar Khodayari, 22 anni appena. La ragazza si era data fuoco davanti a un tribunale di Teheran, proprio per protestare contro il divieto di ingresso delle donne negli stadi. I soccorsi erano arrivati troppo tardi, quando Sahar presentava ustioni sul 90% del corpo.
Era stata fermata allo stadio Azadif di Teheran mentre assisteva a una partita, travestita da uomo. Dallo stadio aveva postato un selfie, nel quale esprimeva tutta la sua gioia di poter tifare dalla tribuna per la sua squadra del cuore, l’Esteghhal. Purtroppo, qualcuna delle guardie in servizio s’era accorta del travestimento, e Sahar era stata arrestata. In un primo momento venne rilasciata su cauzione, poi nuovamente arrestata con l’accusa di oltraggio al pudore, con condanna a 6 mesi di prigione. Sahar, soprannominata blue girl per via dell’ampio mantello blu che indossava nella foto del selfie, non resse alla seconda condanna e sconvolta decise di ammazzarsi bruciandosi piuttosto che tornare in carcere.
Da allora, fortunatamente, molta acqua è passata sotto i ponti, e Sahar non è morta invano, dato che come abbiamo visto quell’assurdo divieto di partecipare al tifo negli stadi è stato revocato. E con esso l’uso del velo da parte delle calciatrici - prima obbligatorio - che oggi è contemplato solo su base volontaria.

Ci trasferiamo ora dall’Islam sciita a quello sunnita, e quindi ai Paesi Arabi.
Qui troviamo situazioni assolutamente disomogenee, con campionati e nazionali che registrano evidenti progressi, e altri che restano al palo.
Ad esempio, l’Arabia Saudita si è concentrata soprattutto sul fronte interno; viceversa, UAE e Qatar hanno investito sul versante esterno, in modo da accelerare lo sviluppo del movimento, organizzando anche trofei.
In altri Paesi, il football femminile si ritrova ad affrontare una mentalità ostile e retrograda, che osteggia tutto lo sport femminile. In questo caso, le iniziative per la diffusione del calcio sono spesso opera di singoli individui o di piccoli gruppi.

Ricorderete senz’altro le polemiche legate alla disputa di alcune edizioni delle finali di Supercoppa Italiana in terra saudita. Alle accuse di essersi svenduti per soldi, i dirigenti della Figc facevano osservare che questa ‘festa’ del calcio oltre confine avrebbe potuto segnare un passo in avanti nella conquista di nuovi diritti per le donne arabe. Sappiamo come è andata: donne presenti sugli spalti, ma in settori limitati, sempre accompagnate dagli uomini, e col velo ben calcato sulla testa.

La cosa migliore che il calcio mondiale può fare non è tanto esportare tornei importanti, o dare la possibilità a certi Paesi di organizzare i Mondiali. Quello che conta, lo dimostra il caso dell’Iran, è non smettere mai di far pressione a livello politico, diplomatico e anche calcistico. Solo così il vento del cambiamento in positivo, della tutela dei diritti, potrà soffiare con forza sui Paesi del Medio Oriente.

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