“Incredibile”. “Pazzesca rimonta”. Tutte espressioni che ieri si sono lette e sentite ovunque, rimbalzando da una parte all’altra del web e tra gli addetti ai lavori. Come può essere spiegata la partita di ieri? Si può parlare per ore della strategia, del possesso palla, dei tiri, delle conclusioni, ma c’è un dato, una statistica che non viene mai citata: l’interismo.

È una statistica strana quella dell’interismo: eterea, impalpabile, eppure allo stesso tempo percettibile e riconoscibile. Certamente non la si può trovare nei manuali del calcio né nei libri di tattica dei migliori allenatori, non è un modulo o uno schema. Non si può nemmeno dire che si tratti di un giocatore, o almeno, non direttamente. Come Giovanna d’Arco, ispirata da Dio, guidò le truppe francesi durante la Guerra dei Cent’anni, spesso anche un calciatore dell’Inter, come accaduto in passato, guidò inconsapevolmente la squadra, diventando mezzo della volontà dell’interismo, “che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar”, come il Manzoni scrisse nell’immortale “Il cinque maggio”. Già, cinque maggio. Interismo ante litteram. Nella partita di ieri si è potuto riscontrare in tutta la sua pienezza, facendo esplodere con la sua potenza ogni settore del Meazza. Ma l’interismo non lo si vede al momento del calcio d’inizio né tantomeno al momento della presentazione delle squadre.

Nel capolavoro cinematografico “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino dona dei preziosi consigli a Kevin Lomax, interpretato da Keanu Reeves: “Devi mantenere un profilo basso, innocuo, sembrare insignificante”. Quanti nella partita di ieri lo avevano visto sin dal primo minuto? Quanti dopo l’1-0 del Tottenham? Nessuno? Pochi? L’interismo è così.

Le aspettative del match di ieri erano certamente alte: l’Inter doveva riscattare la brutta sconfitta contro il Parma, Il Tottenham quella ad opera del Liverpool; era il grande ritorno in Champions dei nerazzurri, dopo sei anni di assenza, lunghi come una vita e nei quali, proprio come in una intera esistenza, è successo di tutto; una cornice di pubblico straordinaria, ormai divenuta la normalità per la compagine interista ma che ieri sembrava ancora più viva e vibrante, pregna dell’emozione di tutti quegli interisti che non aspettavano altro che di risentire il tema della Champions, di urlarlo nel segmento finale come ormai è tradizione.

Il primo tempo, ad una prima occhiata distratta, poteva sembrare identico a quello già visto contro il Parma, ma guardando tra le righe si poteva ben notare qualcosa di diverso. I giocatori in campo mostravano una grinta e una voglia di fare vista solo a sprazzi in questo inizio stagione, lottando su ogni pallone, aggredendo la formazione inglese sin dalla loro linea difensiva con un pressing ben fatto e che solo poche volte ha concesso seri pericoli, come quello, forse il più grosso del primo tempo, che ha visto Kane sbagliare un gol per un cattivo controllo di palla, dopo aver dribblato Handanovic. Il Tottenham non è certo una squadra di poco conto, e contenerla del tutto sarebbe stato impossibile. L’atteggiamento era quello giusto, l’Inter finalmente sembrava essersi scrollata di dosso ogni paura, ogni incertezza.

Già, sembrava. Perché nel secondo tempo, pur iniziato bene, le cose iniziano a sembrare terribilmente familiari. E quando arriva il gol di Eriksen, soprattutto per come quel gol arriva, il sospiro giunge spontaneo. Più che la rabbia sopraggiunge la mestizia, la rassegnazione: tra la sfortunata deviazione di Miranda, e il volo non certo impeccabile di Handanovic, il risultato sembra deciso. E anche i minuti dopo sembrano voler confermare il trend delle ultime giornate, con la squadra che si sfalda, con il Tottenham che fa la partita e che spinge sempre di più in avanti ricacciando indietro l’Inter.

Sembra finita. Un’altra, ennesima partita dell’Inter da aggiungere al “si impegna, ma non riesce”, al “la grinta iniziale lascia il posto alla solita Inter”, al “ritorno in Champions amaro”. Icardi che non riesce nemmeno a fare un tiro in porta in tutta la partita, una manovra che con l’ingresso di Candreva aggiunge imprecisione e tocchi sbagliati, un Vecino che non tramuta i tanti chilometri corsi in idee concrete, per non parlare di un Perisic non proprio ispirato. I giornalisti sicuramente iniziavano a redigere un articolo ormai già visto troppe volte questa stagione. Il tenore della partita sembra non poter cambiare più, perfino il pubblico inizia a rumoreggiare, dopo una partita intera di sostegno totale ed indefesso.

E invece no. L’Inter inizia a rialzare la testa, e a fissare con occhi decisi la porta difesa da Vorm. Non è il classico colpo di coda, non ne ha le caratteristiche, e lo si vede chiaramente, lo si percepisce anche nello stadio: questa è grinta. E quando il Meazza vede voglia di fare, è il primo a schierarsi al fianco di questa garra. Salgono anche loro d’intensità, sospingono i nerazzurri, li incitano a continuare così, a non smarrirsi.

Il ritmo sale ancora, le azioni divengono sempre più pericolose, sino a che Asamoah non guida un cross preciso dalla fascia verso Icardi. Zero tiri in porta per lui. Zero tiri in generale. Ma l’interismo non guarda i meri dati e le mere statistiche, con quelle ci si è sempre fatto grasse risate. A lui non importa il possesso palla. A lui non importa nemmeno se il giocatore sta bene o male, o se stia giocando da nove o da quattro, che sia un portiere o un attaccante. Quando prende possesso di un giocatore, lo si nota subito, lo notano subito tutti.
Lo si vide in Zanetti nell’Inter-Roma del 2008 che ha deciso di fatto la corsa scudetto, in Recoba nell’ormai celebre Inter-Sampdoria del 2005. E proprio come loro, il capitano dell’Inter esegue un tiro perfetto che si insacca nell’angolo basso della porta del Tottenham, incendiando i supporters nerazzurri. Al suo primo tiro in porta, per il suo primo gol in Champions.

L’interismo è questo: i dati li lascia agli almanacchi sportivi, è emozione allo stato puro. E fosse finita così, sarebbe stato comunque un eccellente risultato.

Ma l’incontro non era ancora concluso, il climax ascendente non aveva ancora toccato il suo apice. E al novantaduesimo, l’interismo prende possesso di ben tre calciatori assolutamente non casuali: Candreva, De Vrij e Vecino. Candreva, l’uomo dal 100% di cross sbagliati contro il Parma, che mette dentro un corner preciso sulla testa dell’olandese. De Vrij, il giocatore emblematico di quello che a tutti gli effetti è stato lo spareggio per l’accesso alla Champions, che fa la sponda di testa per l’uruguaiano. E Vecino, l’eroe che quello spareggio lo ha deciso con un colpo di testa, che svetta improvviso sui difensori del Tottenham e prende in controtempo il portiere avversario facendola terminare in rete sempre con un colpo di testa. Perché l’interismo è così: non gli importa del presente, degli avvenimenti passati, quando vien fuori, non guarda in faccia nessuno. Il Meazza intero vibra di gioia, come tutti i giocatori dell’Inter.

Trevisani ed Adani in telecronaca faticano a mantenere la compostezza, come è normale che sia: dinanzi all’interismo, di fronte all’imprevedibilità per antonomasia, è impossibile restare composti e in silenzio, impossibile imbrigliarlo sotto gli schemi logici e razionali con cui ragiona la mente umana. I giornalisti presenti strappano la conclusione dell’articolo del giorno dopo e stralciano le valutazioni fino al momento scritte, perché, come hanno visto con i loro occhi, al cospetto dell’interismo, ogni valutazione espressa prima della sua apparizione è totalmente ininfluente. Il portiere Vorm, che ha appena subito il gol di Vecino, china il capo ed il busto, soverchiato dall’epifania dell’interismo, che ha provocato perdendo tempo e ricevendo per questo una ammonizione.

Ecco, cosa ha deciso la gara di ieri. Ecco cosa ha trasformato l’impossibile in possibile, anzi, in certo.
Questo è l’interismo. Un qualcosa che non potranno mai interiorizzare i tifosi delle altre squadre, ma che tuttavia, quando ne vedono la comparsa, lascia anche loro senza parola. Per questo è impossibile parlare dell’Inter prima che sia giunto il fischio finale, nel bene o nel male: perché, purtroppo, l’interismo al contrario fa perdere anche partite che sembravano vinte, fa entrare in porta palloni che sembravano innocui, insinua l’errore nel giocatore neroazzurro.

Ecco cos'è l’interismo, un concentrato di sentimenti unici, a volte beffardo, ma quando va a tuo favore ti regala le emozioni più grandi del mondo.