Era il 1968 quando l'outsider Aek Atene tra mille peripezie riesce ad arrivare in finale di coppa delle coppe, giunta alla sua seconda edizione, contro il colosso Slavia Praga.

L'Aek Atene, una associazione sportiva che portava e porta con sé valori che vanno oltre lo sport, valori germogliati nei semi della rivincita, di una rivalsa verso il destino che aveva colpito i loro fondatori, ossia quei greci che i turchi avevano deportato da Costantinopoli (Istanbul) ad Atene togliendo a loro tutti i loro averi, ma a loro non aveva potuto togliere la dignità, l'orgoglio, un anima ed un cuore e grazie a questi valori è nata L'Athlītikī Enōsis Kōnstantinoupoleōs - Unione sportiva di Costantinopoli.

La finale di coppa delle coppe fu giocata ad Atene al Kallimarmaron, ovvero l'antico stadio Panathinaiko, interamente costruito in marmo: costruito nel 560 a.C. per celebrare i Giochi Panatenaici e rimasto sepolto per numerosi secoli, venne riscoperto nel 1870 e ristrutturato in occasione dei primi Giochi Olimpici dell'era moderna, quelli di Atene del 1896, davanti ad 80.000 spettatori, record assoluto per una partita di basket, quella sera non vi erano solo bandiere, ma 80.000 candele che illuminavano lo stadio che era praticamente al buio, infatti vi era illuminato solo il campo di gioco.

Un inviato dell'equipe scrisse di quella partita:

"Il cielo stellato è stato illuminato da migliaia di razzi colorati ogni volta che la squadra greca ha segnato un canestro, per oltre due ore il suono scandito dei tifoso che gridavano AEK-AEK ha coperto ogni altro rumore."

Questa favola era stata già scritta da qualche parte tra le stelle, era il 1966, due anno prima quando l'Aek si era qualificato per le final for dell'attuale eurolega e dalle quali né uscì sconfitta proprio per mano dello Slavia Praga. I greci ne uscirono sconfitti sia in campo che nello spirito, perché nella partita persa con i cechi, la loro stella Giorgos Moschos scese in campo all'insaputa dei suoi compagni, per non lasciarli soli in quell'importante incontro, con un cancro in stato avanzato che lo aveva ormai debilitato al punto che dopo l'incontro dovette ritornare ad Atene dove trovò la morte pochi mesi dopo all'eta di 29 anni.

La Grecia viveva un periodo non facile e di grande fermento, avviandosi al primo anno di dittatura, in mezzo a contraddizioni e contestazioni alla stessa. Dicevamo le stelle e nelle stelle, c'era scritto Slavia Praga, la stessa squadra con cui aveva perso due anni prima con l'ultima partita che il destino aveva lasciato alla bandiera Giorgios Moschos.

Nell'edizione del '68 i gialloneri dell'Aek hanno dovuto sfidare la grande Varese di Meneghin con i quali avevano perso all'andata di ben 18 punti, al ritorno al Kalimarmaro davanti a 50.000 spettatori i greci vinsero di 20 punti, ribaltando il risultato e trovando così in finale lo Slavia Praga.

Pensare che ai tempi in Grecia non vi erano ancora campi al coperto e i giocatori si allenavano e giocavano sul cemento, uscendo spesso dagli allenamenti con le ginocchia insanguinate, ma ciò non impedì agli ellenici di prepararsi al meglio per lo storico evento che li aspettava.

Era il 4 aprile 1968 e già dal sorgere del sole si respirava un aria di leggenda, tutti sembravano concentrati come se gli stessi tifosi dovessero andare in campo quello sera ed in fondo lo furono, insieme all'anima del grande assente che faceva il tifo dall'alto, Giorgios Moschos.

Le gradinate del Kalimarmaro s'iniziarono ad affollare sin dal primo pomeriggio ed in poco era completamento affollato nella sua massima capienza, 80.000 spettatori, altre migliaia rimasero alle appendici del campo di gioco, a tifare ad urlare al cielo Aek! Aek! vivendo dei sussulti di chi poteva assistere al match dagli spalti. In ogni caffenio, in ogni suvlagidiko, negli autobus, ovunque c'era una radiolina accesa e non importava per quale squadra facessi il tifo, quella sera giocava l'Aek, l'orgoglio di una nazione, la stessa simbolo dell'alba della cultura occidentale.

L'atmosfera suggestiva non era sinonimo di vittoria, tant'è che lo Slavia Praga diede filo da torcere e per un attimo seppe ammutolire il pubblico di casa, quando si portò sopra di 2 sul 60-58 e con l'uscita dal campo per cinque falli in lacrime di Zoupas, uno dei leader della squadra, gli ellenici sembrarono smarrirsi, ma bastarono un tre canestri di fila ed in un istante sospinta dal pubblico e dall'anima di Moschos che veleggiava nell'aria, ebbe una reazione d'orgoglio e riuscì a portare a casa l'incontro e la coppa con il punteggio finale di 89-82.

Quando l'incontro volse al termine finalmente tutti poterono abbracciare i propri eroi, trasformati quella sera in dei dell'olimpo stesso, furono portati in braccio in trionfo in piazza Omonia.

Il 4 aprile 2008, dopo quarant'anni ci fu una premiazione simbolica di tutti i componenti della squadra e tra di loro scolpito per sempre nel marmo dello stadio Panathinaikò, ci fu anche il nome di Giorgos Moschos assieme alla mitica e storica impresa di quella squadra divenuta leggenda.