X PUNTATA

Due cose ti colpivano entrando in quel sacrario del gioco, il silenzio e il fumo. Il silenzio che ti faceva sentire il colpo sulle billie bianche del biliardo, il fruscio dei birilli al loro cadere, interrotto saltuariamente da brevi esclamazioni o risate emesse dai giocatori di carte e il fumo provocato dalle moltissime sigarette, sempre accese, dai presenti. I quattro biliardi erano diventati dieci, per poi lentamente sparire, lasciandone solo uno a ricordo di ciò che fu, di quel piacere di stare insieme giocando, che non ha né età né mode.                                                                                    Avevo rilevato quel Circolo degli Sportivi, con altri soci nel 1990, anno delle "Notti magiche", del Mondiale di calcio giocato in Italia. 
Puntavo a dare vita ad una casa dei giochi non elettronici, per tenere la mente viva. Il Bridge, il Badgammon, il Calciobalilla, il Risiko, i giochi di Ruolo, gli Scacchi, oltre logicamente al biliardo e a tutti i giochi delle carte, venete e francesi, vi avevano trovato gradita ospitalità,  proiettandoci ad inizio anni duemila, fra i locali più frequentati della città. Così accadde che, nel 2008, i "vecchi" subbuteisti per ricominciare a giocare e per poter avere una sede fissa, scegliessero proprio Calle due Portoni.  
Il gruppo storico di via Fiume non si era perso di vista e scoperta l’esistenza di un club di Subbuteo denominato, Sc El Leon Venezia, che si allenava presso il Dopolavoro Ferroviario di Marghera, avevano ripreso a giocare. Quella sede però non era più usufruibile. Vennero a propormi una soluzione e quell’incontro proiettò tutti indietro di molti anni. Sentendoli raccontare del gioco che tanto avevo amato e praticato, ebbi la sensazione di tornare ragazzo.

Ora il Subbuteo si chiamava calcio da tavolo e la federazione a cui affiliarsi era la F.I.S.C.T. 
Le regole principali erano rimaste uguali, mentre erano mutati totalmente i basamenti dei giocatori, molto più piatti rispetto al passato, costruiti in modi diversi e con caratteristiche non uguali, che implicarono tempo e denaro per imparare quali fossero i meglio adatti al proprio gioco. Si chiamavano con sigle e numeri, scelsi i basamenti C3 e non ci volle molto per capire che avevo sbagliato.
Il gruppo di giocatori fu subito numeroso. Si erano aggregati un gruppetto di veneziani che avevano curato i rapporti con la federazione ed erano intenzionati a riportare il Subbuteo locale ai vertici nazionali. Portavoce e leader di questo gruppo era Giorgio Portesan, persona gradevole e simpatica che però si trovò in rotta di collisione con il gruppo mestrino. Motivo? La scelta del nome da dare al Club. Su Vecio Leon, si sarebbe potuto discutere, ma non sulla città da rappresentare. Un punto fermo per chi come me,  pretenderebbe Mestre come Comune e non periferia della splendida città lagunare. Non c'erano margini per poter dialogare e li salutammo. Questo gruppo era tornato a giocare grazie a due persone, a due leader totalmente diversi, ma insostituibili, Alberto La Rosa e Edoardo Bellotto.  Cominciavamo a muovere i primi passi,  giocando amichevoli contro squadre collaudate come Vicenza e  Ferrara e mostrando le nostre capacità organizzative ospitando, nella nostra sede, un torneo Regionale. Eravamo fiduciosi di poterci togliere delle soddisfazioni anche a livello nazionale. 
Nasceva il Mestre Club Subbuteo e la prima occasione per verificare la potenzialità della squadra fu partecipando ad uno dei Tornei più importanti, quello di Natale, organizzato a Milano. La vita sa rendere tutto tragicomico, io che mi ero sempre definito il Gianni Rivera di questo splendido gioco ero lì, a Milano, la città della squadra che lo aveva consacrato un campionissimo e dovevo dimostrare se ero stato sincero sulla mia bravura, o se mi ero preso, totalmente, per il culo. Giocare a squadre è bellissimo. Ogni partecipante gioca una partita, per un totale di quattro. Il punteggio finale, è la somma degli incontri e sancisce se si ha vinto, perso o pareggiato.
Quattro solisti che cantano in coro: non si può stonare o il lavoro dei compagni viene rovinato. Eravamo inseriti in un girone contro formazioni molto forti. Firenze, Milano e una terza che non ricordo. La prima sfida era abbordabile, mentre le altre due talmente difficili che scalare l'Everest, in infradito, sarebbe stato più piacevole.
Prima sfida, il ricordo è nitido, quasi un fermo immagine volesse mantenere indimenticabile quel momento e ciò che accadde. Il mio avversario sfoggiava una bellissima maglia viola, con tanto di giglio rosso e pantaloni della tuta bianchi. Il mio pensiero non poté che andare ai molti amici di Mestre che tifano per quella squadra ed in particolare ad un vecchio amico, morto troppo precocemente, Amos Orsucci. Schierata la squadra in campo, regolato il cronometro del tempo, ero pronto. Aspettavo solo il fischio d'inizio dell'arbitro quando, subentrò il panico. Ciò che non mi era mai successo quando ero ben più giovane, mi succedeva lì in quel momento, oltretutto disputando un incontro così importante. A cinquant'anni, la mia mano tremava, avevo paura sicuramente di perdere, forse anche di fare una figuraccia con i miei compagni, amici, insomma di non essere all'altezza. Il movimento più semplice mi era impossibile, così che il mio avversario si portò, in pochi minuti, sul due a zero. Nel posizionare la pallina a centrocampo, feci finta di avere freddo alle mani e strofinandole forte, cercavo un rimedio che, non so per quale magia, improvvisamente si concretizzò. 
Alla fine del primo tempo ero come il Titanic, sotto di tre gol e destinato ad affondare. La giornata non era cominciata nel modo migliore e trovai conforto in una battuta che ci era usuale fra i "fioi", i ragazzi, della nostra piazza cittadina: "Se son fiori, fioriranno. E se sono cachi? Cagheranno, voce del verbo... siamo rovinati”. Riuscii a reagire. Segnai un bellissimo gol, al volo, liberando un grido di rabbia "sono tornato", non per mancare di rispetto al mio avversario, ma per rivendicare quei giorni di gloria, che avevo vissuto molti anni prima e che sembravano persi, svaniti, più illusioni che realtà. Il secondo gol, rendeva la sconfitta onorevole, ma specialmente allontanava definitivamente quella situazione di impotenza che mi aveva annientato e che, fortunatamente, non ebbi più occasione di ritrovare.
I restanti due incontri non ebbero maggiore fortuna, né per me né per i miei compagni. Eliminati dal tabellone principale accedevamo al torneo di Consolazione. Non rammento la formazione che affrontammo, ma la superammo di slancio.                           

Al turno successivo dovemmo giocare contro la squadra B di Sanremo. La Società ligure, con molti tesserati forti, partecipava al Campionato Nazionale nella massima serie, la A. Anche se non con i loro miglior giocatori, era un ostacolo impegnativo. Al fischio finale eravamo perfettamente in parità, bisognava giocare un extra time. Il giocatore che segnava il primo gol avrebbe decretato la vittoria per la propria squadra. Dopo solo otto secondi, un grido, “Gooolll”, avevamo vinto. Eddy, "il mio Cruijff", aveva realizzato il gol che, al di là di ogni più rosea aspettativa, ci portava in finale, contro Bergamo. 
Sulla carta doveva essere più semplice, ma per non farci mancare niente, ripetemmo lo stesso percorso della semifinale, giocando nuovamente un extra time. Io pensavo solo a non fare danni. Ci vollero dieci secondi e fu ancora Eddy a consegnarci vittoria e primo posto. Tornavamo a casa vincitori.
La nostra prima uscita ufficiale, si era conclusa con un trionfo. No, non erano stati cachi, ma bellissimi fiori.
Il Torneo di Natale di Milano, che negli anni è diventato sempre più bello e prestigioso, stampa sul suo manifesto i nomi di tutti i vincitori, sul 2009, troverete scritto: Torneo a squadre Consolation, Subbuteo Club Mestre. 
Nicola, il "mio Krol", ci fece un graditissimo regalo realizzando un filmato dal titolo “Subbuteo mania a Mestre il Circolo”, con musica, testo e commenti che sintetizzava la nostra storia (ancora oggi è possibile vederlo su youtube).  
Erano passati più di 30 anni, dall'ultimo torneo vinto, ma il tempo sembrava si fosse fermato.  


Continua  






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